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 2007  dicembre 02 Domenica calendario

DUE ARTICOLI SULLE BUSTE DI PLASTICA

PAOLO FOSCHI
ROMA – Il divieto dovrebbe scattare dal primo gennaio 2010. Ma chi lo infrangerà, non rischierà nulla. Anche l’Italia ha deciso di mettere al bando le buste di plastica: sacchetti per la spesa, imballaggi e via dicendo. Con un piccolo particolare. La norma della Finanziaria 2007 approvata un anno fa che dovrebbe mandare in pensione il «polietilene » ha infatti solo valore di indirizzo. Doveva essere seguita da un altro provvedimento.
Nessuno l’ha visto. La legge resta monca, almeno per adesso.
Il dibattito, fra polemiche e veleni e con gli ambientalisti divisi, si è riaperto in questi giorni. Quando le autorità locali di Londra hanno avviato l’iter per vietare gli shopper non biodegradabili. Molti Paesi hanno preferito un’altra strada: dall’Irlanda alla Danimarca, da Taiwan alla Germania, è stata già adottata una mini-tassa sulle buste in plastica, considerate dannosissime perché possono resistere per 400 anni nel deserto, in fondo al mare, sulle rive dei fiumi o sulle cime del Tibet. Un pericolo per qualsiasi ecosistema.
Il nostro Parlamento ha puntato sul divieto «all’italiana». Senza multe o sanzioni per i trasgressori. «La norma è giusta – dice Angelo Bonelli, capogruppo alla Camera dei Verdi ”, ma in Europa c’è la libera circolazione delle merci, senza una direttiva comunitaria il veto non può essere imposto». «La Finanziaria 2007 ha segnato comunque un primo passo, ha sancito il principio secondo il quale si usa solo il biodegradabile », spiega il senatore ulivista Riccardo Ferrante, direttore generale di Legambiente, autore dell’emendamento anti- plastica.
L’alternativa si chiama mater-bi: è un «polimero biodegradabile» ricavato dall’amido di mais, brevettato e prodotto dalla Novamont, azienda nata come costola della Montedison e ora autonoma, con sede a Novara e stabilimenti a Terni. L’eco-plastica, dunque. La capacità produttiva però è limitata: 20-30 mila tonnellate all’anno, a fronte delle 300 mila consumate per le buste non biodegradabili. Al Cnr di Portici invece hanno messo a punto un altro materiale, derivato dalle bucce di pomodoro. L’uso industriale è ancora lontano. «La scadenza del 2010 rischia di creare problemi seri – dice Giuseppe Rossi, presidente dell’associazione PlasticsEurope Italia, aderente a Confindustria ”, prima di tutto perché Novamont, che è nostra iscritta, non è in grado di produrre tutto il materiale necessario. Il mater-bi è più costoso. E poi i sacchetti in amido di mais vanno bene per alcune funzioni, come la raccolta dei rifiuti, ma sono meno adatti per altre perché non sono resistenti. Anziché vietare la plastica, bisognerebbe utilizzarla meglio, incentivando il ri-uso delle buste e il riciclaggio ».
Secondo il Wwf, la diffusione del mater- bi non è esente da rischi ambientali: «Non siamo contrari – commenta Massimiliano Varriale, responsabile del settore energia e clima dell’associazione di Fulco Pratesi ”, ma poniamo degli interrogativi. Siamo sicuri che la coltivazione estesa del mais non alteri gli ecosistemi? una pianta che consuma tantissima acqua ed energia. Siamo sicuri che il mater-bi sia completamente biodegradabile? Non ci risulta. E non vorremmo dover ricorrere all’import del mais, ci sarebbe il pericolo di utilizzare piante transgeniche.
Il mater-bi probabilmente è ottimo, ma la sostituzione totale della plastica con questo materiale forse andava studiata meglio».
Per Coldiretti, la materia prima non manca: «Basta adibire al mais 200 mila ettari», cioè un quinto delle terre agricole non utilizzate.
Gli ambientalisti comunque non si fermano. «Nella Finanziaria 2008’ annuncia Angelo Bonelli – vogliamo introdurre il divieto delle lampade a incandescenza dal 2011 e una norma che preveda per gli elettrodomestici sistemi di spegnimento alternativi allo stand by, che consuma inutilmente energia. Potremmo così evitare la produzione di oltre 3,2 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno ».
Paolo Foschi

ROBERTO RIZZO
MILANO – Droga e sacchetti di plastica. Introdurli e usarli a Zanzibar, l’arcipelago al largo della Tanzania nell’oceano Indiano, è «illegale». La droga da sempre, i sacchetti dal novembre 2006. «Danneggiano l’ambiente marino e nuocciono all’industria turistica », hanno detto le autorità. Chi non rispetta il divieto rischia una pena fino a sei mesi di prigione o una multa di 2.000 dollari. E fa niente se l’immondizia ha invaso le strade di Zanzibar, indietro non si torna.
Tolleranza zero verso le buste di plastica, un movimento che sta crescendo ovunque. Il caso più recente, e che ha fatto più rumore, riguarda Londra. Dopo che la Bbc ha trasmesso la lenta agonia di un albatros che muore soffocato da un sacchetto di plastica, i rappresentanti dei 33 council, i comuni che formano la capitale britannica, hanno deciso di aderire alla campagna nazionale per bandire, a partire dal 2009, i classici shopping bag dall’Inghilterra (ne circolano 13 miliardi di pezzi l’anno, pari a 60 mila tonnellate di rifiuti il cui smaltimento dura circa 400 anni). Vi aderiscono già 80 piccoli centri e il 27 novembre una proposta di legge è stata presentata in Parlamento. Intanto, i produttori inglesi hanno siglato un impegno con il governo di Gordon Brown per ridurre del 25 per cento l’impatto ambientale dei sacchetti di plastica sperimentando nuove tecniche di biodegradabilità e scoraggiando la distribuzione gratuita delle buste più inquinanti, mentre la catena di supermercati Tesco regala punti fedeltà ai clienti che riutilizzano gli shopping bag non biodegradabili. Nella vicina Irlanda, dal 2002 è stata invece introdotta la PlasTax. E’ bastato far pagare 15 centesimi di euro ogni sacchetto per abbattere il consumo del 90 per cento Dall’altra parte del mondo, in Australia, il partito laburista è tornato al governo dopo 11 anni grazie a una campagna elettorale centrata sui temi ambientalisti. Tra questi, l’iniziativa Plastic Bag Free Town: entro la fine del 2008 i sacchetti di plastica, il cui consumo è già stato ridotto del 45%, spariranno da tutte le città del continente. Negli Usa, da aprile i grandi magazzini di San Francisco impacchettano la loro merce solo in buste biodegradabili mentre Annapolis, nel Maryland, sarà la prima città americana a bandirli completamente al fine di proteggere la fauna marina (balene, delfini e tartarughe scambiano i sacchetti per meduse, il loro cibo preferito). A New York, dalla fine di ottobre sul tavolo del sindaco Bloomberg c’è la proposta per obbligare gli esercizi commerciali che superano i 500 metriquadrati di superficie a dotarsi di macchinari per il riciclaggio delle buste.
In Cina, dove la crescita economica ha messo in secondo piano le problematiche ambientali, la città di Shenzhen, uno dei simboli del rapido sviluppo industriale del gigante asiatico, si appresta a votare un’ordinanza per vietare la distribuzione gratuita di buste di plastica. Durissima, in merito, la legislazione del Sud Africa: chi getta un sacchetto di plastica rischia una multa di 100.000 rand (10 mila euro) o una condanna fino a 10 anni di prigione e quando si va a fare la spesa è obbligatorio portarsi da casa lo shopping bag. Vietati quelli non biodegradabili.
In India, nello stato dell’Himachal Pradesh, chi usa buste di plastica rischia sette anni di carcere e una multa pari a 1.500 euro. Goa, la città di Vasco de Gama, ha lanciato la sua campagna nel 2006 distribuendo borse di iuta in cambio di quelle di plastica e multando i commercianti che non utilizzano sacchetti di carta. Oggi Vasco si fregia del titolo di «prima città al mondo senza buste di plastica» anche se le proteste non sono mancate. In strada sono scese le donne più povere, quelle che si guadagnavano da vivere raccogliendo la plastica. Il loro business è scomparso in nome dell’ambiente, ma nessuno le ha ascoltate.
Roberto Rizzo