Note: [1] Anna Zafesova, La Stampa 1/12; [2] Franco Venturini, Corriere dellla Sera 26/11; [3] Sandro Viola, la Repubblica 1/12; [4] Giovanni Bensi, Avvenire 27/11; [5] Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera 25/11; [6] Marcello Foa, Il Giornale 25/11; [7], 1 dicembre 2007
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 3 DICEMBRE 2007
«Il presidente e il suo partito hanno vinto con un risultato schiacciante»: già la settimana scorsa il movimento giovanile Nashi aveva stampato i volantini inneggianti al trionfo di Putin alle elezioni per il rinnovo del parlamento russo svoltesi ieri. Anna Zafesova: «Da quando, due mesi fa, si è messo alla guida della lista di Russia Unita, il voto per la Duma è diventato un referendum per il presidente». [1]
Nel ”99, quando era ancora primo ministro e al Cremlino sedeva Boris Eltsin, la ripresa in grande scala della guerra cecena (a seguito di attentati ancora controversi) servì a rendere popolare presso un’opinione pubblica spaventata e nazionalista l’ex ufficiale del Kgp. Franco Venturini: «Quando fu lui a installarsi al Cremlino, Putin poté far leva sul vuoto di potere che Eltsin gli aveva lasciato in eredità e che portava i russi all’esasperazione, poté scagliarsi contro la banda degli oligarchi ladroni e promettere il ripristino dell’autorità statale, divenne, insomma, l’uomo forte con la missione di salvare la Nazione dal disordine e dalla rovina. Sull’onda di questo mandato e della sua riconferma elettorale quattro anni fa, la Russia di Putin ha imboccato la strada di un fatale autoritarismo sorretto dal consenso della popolazione». [2]
Una campagna elettorale come quella che s’è svolta in Russia non avremmo mai potuto immaginarla. [3] Le marce dei dissenzienti organizzate a Mosca e San Pietroburgo dal gruppo di opposizione L’Altra Russia sono state fernate con una dura repressione. [4] L’ex campione del mondo di scacchi Garry Kasparov, adesso leader del raggruppamento, ha passato cinque giorni in prigione. [5] Giovanni Bensi: «Una domanda che molti si pongono in Russia dopo i pestaggi e gli arresti di oppositori a Mosca e San Pietroburgo: che bisogno ha Vladimir Putin di ricorrere a simili metodi?». [4]
Il potere, nonostante la debolezza e la divisione delle opposizioni, deve temere gli scenari ”arancioni”, sul modello di quelli che in Ucraina hanno portato al potere Viktor Jushchenko. [4] Marcello Foa: «Putin è nervoso, dal 2004 teme che gli Stati Uniti possano organizzare una ”rivoluzione arancione” sulla Piazza Rossa. E fa di tutto per prevenire questa eventualità». [6] Luigi Geninazzi: «Se oggi permetti a un migliaio di persone di gridarti contro, domani te ne puoi ritrovare in piazza diecimila, poi centomila e così via». [7]
Oltre alle manganellate, ci sono state ingiustificate trasgressioni elettorali. Enzo Bettiza: «Con l’eliminazione mediante lo sbarramento preventivo del 7% di una decina di concorrenti deboli, eccetto il veterocomunista Zyuganov e il servile sciovinista Zhirinovskij. Basterà evocare il caso degli osservatori dell’Osce. L’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa ha rifiutato d’inviare i suoi osservatori, dopo la decisione del Cremlino di ridurli da 400 a 70». [8] Zafesova: «Per 108 milioni di elettori distribuiti lungo 11 fusi orari». [1]
Che non sarebbero state elezioni corrette si sapeva. Sandro Viola: «Con una legge elettorale scandalosa, e gettando dietro al partito di Putin, Russia Unita, il peso dell’apparato amministrativo, le televisioni pubbliche e miliardi di rubli, il regime s’era garantito in partenza tre quarti dei seggi parlamentari. Ma il frastuono demagogico, il populismo e le stimmate dell’epoca sovietica che hanno marcato la vigilia elettorale, sono andati al di là delle previsioni più pessimistiche». [3]
Ai tempi di Kruscev i russi rimpiangevano Stalin. Ai tempi di Gorbaciov rimpiangevano Breznev. Adesso non sanno più chi rimpiangere: Putin sembra riassumere troppi predecessori. Bettiza: «Egli si presenta come un condensato sinottico, una specie di bignamino in cirillico del peggio e meno peggio di due secoli di storia russa. Rivive alla rinfusa in lui un po’ di Stalin, un po’ di Breznev, un poco di Eltsin, molto Andropov». [8] Fabrizio Dragosei: «Sempre più spesso si parla non di Putin ma del ”Leader nazionale”, quasi ci si trovasse nella Corea del Nord del ”Caro Leader”». [9]
Nonostante i sondaggi dicano il contrario, secondo l’opposizione Putin soffrirebbe di un calo di popolarità. Denis Bilunov, direttore generale del Fronte Civico Riunito: «Il regime non è in grado di controllare i prezzi dei generi alimentari e quando i prezzi sull’olio e sul latte crescono di 1,5-2 volte al mese, questo diventa il più potente mezzo di propaganda contro l’attuale potere». [10] Foa:«In una simil-democrazia i sondaggi sono ancor meno attendibili che in una vera democrazia». [11] Vladimir Bukovskij, storico dissidente anti-sovietico: «I sondaggi in un regime autoritario sono senza senso. La gente ha paura di dire la verità. Mente per timore». [12]
Anche nelle file dell’opposizione, non manca chi concede a Putin almeno la popolarità. Irina Khakamada, personalità di spicco del fronte democratico russo: «La maggior parte della popolazione confronta la situazione attuale con l’epoca di Boris Eltsin. E adesso, naturalmente, stanno meglio». [13] Bettiza: «Contano per il popolo russo gli otto anni di stabilità e relativo benessere che Putin, facendo leva sulla ricchezza petrolifera, ha saputo assicurare dopo la bancarotta del regime oligarchico incrementato dalla ”famiglia Eltsin”. Si aggiungano l’apparente quiete in Cecenia, la fine degli attentati a Mosca, l’alleanza con la Chiesa ortodossa, il tutto coronato dalla sfida all’Occidente con il ”niet” allo scudo americano e la ripresa dei voli intercontinentali dei bombardieri nucleari». [8]
Che bisogno aveva il popolarissimo Putin di drammatizzare la sua elezione alla Duma, proponendosi come candidato assoluto di Russia Unita, partito ondivago e «senza precisa ideologia» secondo le sue stesse parole. La spiegazione è forse una sola. Bettiza: «La lotta intestina. Cioè la lotta per il potere e l’eredità del potere fra gli stessi putiniani, in un momento di transizione che vede Putin, vicino alla scadenza del secondo mandato». [8] Il voto per le legislative serviva a Putin come uno strumento per congegnare al meglio le presidenziali del marzo prossimo e costruirsi così un futuro. [3]
Alle ultime presidenziali Putin aveva preso il 71,31%. [4] Dragosei: «Il problema non è vincere, ma stravincere con un’affluenza alle urne almeno decente». [14] Viola: «Almeno il 70 per cento dei voti a Russia Unita, con un’affluenza intorno al 60 per cento». [3] Per incoraggiare tutti a votare, i putiniani hanno fatto ricorso a pressioni e incentivi di ogni tipo: nell’Altai, ai confini con la Mongolia, l’azienda chimica Altaikhimprom pagherà la tredicesima solo a chi ha fotografato con il telefonino la scheda con la croce sul nome di Putin. [9] A Omsk gli elettori sono stati visitati a gratis da un ginecologo o da un urologo, a Kemerovo gli hanno messo a disposizione un barbiere, a Novgorod hanno messo in palio un’auto ecc. [15]
L’attivismo affannoso con cui il Cremlino ha condotto gli ultimi giorni della campagna elettorale mostra che il regime non si sente del tutto tranquillo. Viola: «In che modo Putin riuscirà a mantenere le redini del regime e del paese, devono saperlo soltanto pochissime persone all’interno del suo ”entourage”. Tutti gli altri, in Russia e fuori della Russia, continuano a lambiccarsi il cervello tentando di capire che altro potrà succedere». [3] Il problema di Putin è che la Costituzione russa non prevede un terzo mandato presidenziale. Venturini: «I sondaggi segnalano che una sua permanenza al Cremlino sarebbe ben vista dai russi, e che un referendum per modificare la Costituzione avrebbe vita facile. Ma lui, dicono fonti moscovite vicine al potere, non vuole somigliare al bielorusso Lukashenko o al kazako Nazarbayev. E non vuole nemmeno che l’Occidente lo metta sotto accusa più di quanto già accada. Per questo continua a dichiarare che la Costituzione non si tocca». [2]
Entro il 23 dicembre Putin e Russia Unita dovranno indicare un candidato per la successione al Cremlino (elezioni il 2 marzo). Venturini: «A Mosca i nomi si rincorrono, tre su tutti: il vice-premier Sergei Ivanov, lo speaker della Camera bassa Boris Gryzlov e il primo ministro Viktor Zubkov. Tutti vicinissimi al Presidente uscente, o suoi semplici esecutori. E Putin, che farà per rimanere leader da una poltrona più defilata? Il toto-potere impazza anche su questo: capo della Duma, capo di Russia Unita (che sarebbe poi la stessa cosa), Primo ministro, oppure titolare di una invenzione istituzionale studiata su misura?». [2]
Come in tutti i Paesi grandi esportatori di energia, anche nella Russia autoritaria di Putin il potere reale si è progressivamente identificato con la gestione, per conto di uno Stato pigliatutto, di immense ricchezze. Il Presidente-Zar ha scelto i suoi boiardi tra gli ex colleghi del Kgb e dell’Fsb per poter contare sulla loro lealtà, ma non ha forse calcolato che il denaro cambia gli uomini e moltiplica le loro ambizioni. Venturini: «I siloviki
(uomini provenienti dai servizi di sicurezza), già divisi tra ex spie del Primo Direttorato e ”poliziotti”, sono in lotta tra loro per il controllo delle inestimabili risorse dello Stato e hanno sfoderato i coltelli come già avvenne prima delle elezioni del dicembre ”99. Il loro unico punto di riferimento comune è Vladimir Putin. Da Presidente, però. Con qualcun altro al Cremlino e Putin leader defilato, varrà ancora la loro fedeltà al Capo?». [2]
L’uso politico dell’arma energetica viene visto dai russi come un diritto e induce alla prudenza chi, come l’Europa, riceve da Mosca il 42 per cento del gas e il 30 per cento del petrolio che consuma. [2] L’Economist raccomanda di condannare la farsa di ieri, vietare ai parlamentari russi di sedere nel Consiglio d’Europa, espellere la Russia dal G8 ecc. Bettiza: «Si potrebbe aggiungere una quinta proposta. Frenare l’afflusso di capitali occidentali nelle infrastrutture siberiane bisognose di tecnologia aggiornata: sarà bene ricordare che il super-emirato di Putin vive di una monocoltura petrolifera la quale, senza investimenti adeguati, rischia di arretrare piuttosto che avanzare». [8]