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 2007  dicembre 01 Sabato calendario

Ammettiamolo. Siamo un Paese unico. L’estrema sinistra, che si dichiara comunista, ha approvato, per disciplina di coalizione, un provvedimento che nel metodo è fondamentalmente corporativo, cioè di matrice fascista, trasformando il Parlamento democratico nella «Camera dei fasci e delle corporazioni»

Ammettiamolo. Siamo un Paese unico. L’estrema sinistra, che si dichiara comunista, ha approvato, per disciplina di coalizione, un provvedimento che nel metodo è fondamentalmente corporativo, cioè di matrice fascista, trasformando il Parlamento democratico nella «Camera dei fasci e delle corporazioni». Ne avevo già parlato e mi scuso di dovermi ripetere. Ma – nell’Italia senza memoria e legalità – repetita iuvant. Nel luglio scorso, due corporazioni, Confindustria e sindacati, sottoscrivono un Protocollo sul welfare che, sottoposto al voto dei lavoratori da parte dei sindacati e approvato, il presidente del Consiglio trasforma in un provvedimento governativo, trasferendolo al Parlamento con la raccomandazione di votarlo senza cambiare neppure una virgola se no il governo cade. Il che avviene, con qualche mal di pancia dell’estrema sinistra, ma anche nell’indifferenza dei costituzionalisti. Eppure, qualcosa da dire ci sarebbe. Primo: quella che è destinata a diventare una legge dello Stato è stata redatta fuori dal Parlamento, secondo teoria e prassi care al corporativismo del Ventennio che riteneva i Parlamenti democratici una palestra di inutili chiacchiere, estranee agli interessi «reali» in gioco. Secondo: il Parlamento, approvando il Protocollo di Confindustria e sindacati com’era, senza discussione e senza apportarvi gli eventuali correttivi, è stato di fatto esautorato delle sue funzioni che, in una democrazia parlamentare, rimangono pur sempre quelle di promuovere e approvare le leggi dello Stato. Insomma, la sopravvivenza del governo è allegramente prevalsa sulla regola democratica e sulla Costituzione. Senza suscitare, non dico scandalo, ma neppure un’alzata di sopracciglio. Nel 1688, gli inglesi, senza spargimento di sangue e alcuna violenza, avevano ripristinato – con quella che sarebbe passata alla storia come la «gloriosa rivoluzione » – le prerogative del Parlamento, esautorato dal re. Il quale, fra l’altro, minacciava di trasformare l’Inghilterra da anglicana in un Paese cattolico e si era arrogato il diritto, che spettava al Parlamento, di dichiarare guerra. Pochi anni prima, nel 1679, lo stesso Parlamento, contro gli abusi giudiziari del re, aveva approvato l’Habeas corpus, l’editto ( writ) a tutela dell’arrestato. Che, da noi, certi giustizialisti in servizio permanente effettivo credono sia un purgante; vanno in farmacia, ne chiedono un flacone (piccolo) e, quando il farmacista confessa di non averne, se la prendono con me, che lo cito come esempio di civiltà del diritto, perché, dicono, così difendo i (supposti) ladri. Naturalmente, prima che un tribunale ne sanzioni la colpevolezza, quando vale ancora la presunzione di innocenza. Capisco. Non siamo inglesi e non ci mettiamo neppure in fila alla fermata dell’autobus. Ma 319 anni di ritardo dalla «gloriosa rivoluzione» e 328 dall’Habeas corpus a me paiono lo stesso tanti. E a voi?