Franco Venturini, Corriere della Sera 1/12/2007, 1 dicembre 2007
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
MOSCA – Vladimir Putin l’onnipotente si sta forse mordendo le mani. Da mesi i sondaggi segnalano che una sua permanenza al Cremlino sarebbe ben vista dai russi, e che un referendum per modificare la Costituzione avrebbe vita facile. Ma lui, dicono fonti moscovite vicine al potere, non vuole somigliare al bielorusso Lukashenko o al kazako Nazarbayev. E non vuole nemmeno che l’Occidente lo metta sotto accusa più di quanto già accada. Per questo continua a dichiarare che la Costituzione non si tocca, e per questo ha elaborato un piano di «successione pilotata» in gran parte ancora da chiarire. Ma anche lo Zar Putin, come tutti gli altri che si sono succeduti nella storia russo- sovietica, ha i suoi inconfessabili talloni d’Achille.
Il più evidente, che è anche il meno pericoloso per il Capo del Cremlino, riguarda le elezioni parlamentari di domani. In linea teorica le urne potrebbero riservare una sorpresa, e un risultato di Russia Unita inferiore al 55-60 per cento sarebbe in effetti, oltre che sorprendente, anche di pessimo auspicio per il Presidente-capolista. Ma la popolarità personale di Putin vicina all’80 per cento, i reiterati proclami sul caos nazionale in agguato, il controllo totale dei media, il ricorso massiccio a metodi di mobilitazione ereditati dal costume politico dell’Urss, sono tutti fattori che portano a prevedere una vittoria ben più ampia del partito del Presidente.
Se così sarà, Putin dovrà rapidamente mettere a frutto il mandato ricevuto.
E qui le cose si complicano. Entro il 23 dicembre Putin e Russia Unita devono indicare un candidato per la successione al Cremlino. A Mosca i nomi si rincorrono, tre su tutti: il vice-premier Sergei Ivanov, lo speaker della Camera bassa Boris Gryzlov e il primo ministro Viktor Zubkov. Tutti vicinissimi al Presidente uscente, o suoi semplici esecutori. E Putin, che farà per rimanere leader da una poltrona più defilata? Il toto- potere impazza anche su questo: capo della Duma, capo di Russia Unita (che sarebbe poi la stessa cosa), Primo ministro, oppure titolare di una invenzione istituzionale studiata su misura? Le incognite collegate al risultato elettorale di domani, come si vede, sono molteplici e non di poco conto. Ma non sono il vero punto debole di Putin, che si nasconde invece nel mondo oscuro e potente degli 007 diventati miliardari.
Come in tutti i Paesi grandi esportatori di energia anche nella Russia autoritaria di Putin il potere reale si è progressivamente identificato con la gestione, per conto di uno Stato pigliatutto, di immense ricchezze. Il Presidente- Zar ha scelto i suoi boiardi tra gli ex colleghi del Kgb e dell’Fsb per poter contare sulla loro lealtà, ma non ha forse calcolato che il denaro cambia gli uomini e moltiplica le loro ambizioni.
Anche mettendo da parte l’assassinio di Anna Politkovskaya e l’avvelenamento di Aleksander Litvinenko, avvenuti il giorno esatto del compleanno di Putin e alla vigilia di un suo delicato viaggio in Germania e per questo attribuiti da alcuni a fazioni russe poco amiche del Cremlino, restano da spiegare altri curiosi e recenti episodi. All’inizio di ottobre uomini dell’Fsb (l’erede del Kgb) arrestano all’aeroporto di Domodedovo il vice-capo del Servizio antidroga e generale del medesimo Fsb Aleksander Bulbov. L’accusa riguarda alcune intercettazioni telefoniche illegali, ma quel che conta è che Bulbov è il braccio destro di Viktor Cherkesov, vecchio compagno d’armi di Putin. Cherkesov va su tutte le furie e ottiene soddisfazione. Ma nessuno viene punito per l’arresto di Bulbov che avrebbe, si dice, registrato una conversazione tra l’ex Procuratore generale Ustinov e il vice direttore dello staff del Presidente Sechin. Non basta. Il 15 novembre scorso viene arrestato e accusato di tentata sottrazione di fondi Sergei Stortchak, vice ministro delle Finanze e protetto del ministro Kudrin a sua volta vicino a Putin. Forse il reato esisteva davvero, ma anche in questo caso è sospetta la pubblicità data all’arresto.
Gli osservatori moscoviti ne traggono una indicazione sicura: i siloviki
(uomini provenienti dai servizi di sicurezza), già divisi tra ex spie del Primo Direttorato e «poliziotti», sono in lotta tra loro per il controllo delle inestimabili risorse dello Stato e hanno sfoderato i coltelli come già avvenne prima delle elezioni del dicembre ’99. Il loro unico punto di riferimento comune è Vladimir Putin. Da Presidente, però. Con qualcun altro al Cremlino e Putin leader defilato, varrà ancora la loro fedeltà al Capo? Putin non rischia di perdere il controllo del suo elaboratissimo piano? Forse il referendum sarebbe risultato più semplice.