Fabrizio Dragosei, Corriere della Sera 1/12/2007, 1 dicembre 2007
MOSCA – Il suo cruccio maggiore è non poter tornare a Londra, la città che ama di più al mondo dopo Mosca
MOSCA – Il suo cruccio maggiore è non poter tornare a Londra, la città che ama di più al mondo dopo Mosca. Anzi, di non poter proprio mettere piede fuori dalla Russia perché in qualsiasi altro Paese sarebbe arrestato e consegnato a Scotland Yard. In patria invece Andrej Lugovoj, il primo uomo al mondo accusato di aver ucciso con una sostanza radioattiva, è un eroe. Ha appena terminato un giro elettorale della Siberia, saltando da un elicottero a un jet executive per incontrare sostenitori entusiasti. E ora a Mosca si muove con la sua Bmw tra ristoranti esclusivi («solo Château Margaux, Brunello di Montalcino e Tignanello», dice con convinzione) e club privé. il numero due nella lista del partito di Vladimir Zhirinovskij e ha ottime possibilità di essere eletto alla Duma domani. Magari per ottenere l’immunità parlamentare? «Non ne ho alcun bisogno, perché la mia vera immunità è il fatto di essere innocente», risponde con veemenza. Poi, con realismo aggiunge: «E comunque si è visto quanto poco ci mettano qui a toglierti l’immunità quando serve». Con la stessa veemenza il giovane businessman, ex agente del Kgb, è pronto a rispondere alle accuse di chi ha chiesto la sua estradizione. Inutilmente, visto che la Costituzione russa esclude la consegna di un cittadino di questo Paese ad altre autorità giudiziarie. Dunque è stato lui ad avvelenare con il polonio 210, un isotopo radioattivo, l’ex collega Aleksander Litvinenko il primo novembre di un anno fa nel bar del Millennium Hotel a Londra? «Casomai è avvenuto il contrario. Io sono stato contaminato durante quell’incontro. Io e la mia famiglia. Qualcuno ha portato il polonio, forse per avvelenare Sasha e far ricadere la colpa su di me, o forse per qualche altro motivo». Lugovoj è sempre più sicuro di sé. Mentre all’inizio di questa vicenda appariva smarrito, preoccupato, adesso cavalca la storia che lo vede protagonista e si descrive come una vittima, «un patriota messo in mezzo da quelle carogne dell’MI6», il controspionaggio britannico. Frequentava Litvinenko da un po’ di tempo, per motivi di lavoro. Lui gestisce una società che offre protezione a uomini di affari russi e stranieri di passaggio. «Sasha mi aveva messo in contatto con clienti inglesi e proponeva di lavorare assieme, a percentuale». Da qualche mese, però, Lugovoj ha aggiunto alla sua storia un altro particolare, non trascurabile. «Litvinenko aveva tentato di reclutarmi». E lui perché non ha riferito tutto subito all’Fsb, il successore del Kgb? Lugovoj, che era entrato nei ranghi dei servizi a vent’anni, nega che il suo comportamento, se vero, sia stato irregolare, in base alla legge russa. Aveva contratti in corso in Gran Bretagna, rischiava di non essere più riammesso in quel Paese. «Dovevo essere cauto. Pensavo che sarei riuscito ad aggiustare tutto da solo, avevano tentato di ricattarmi». Fatto sta che già parecchi giorni prima di quel fatidico incontro del primo novembre, tracce di polonio sarebbero state lasciate in parecchi posti tanto da Lugovoj che dal suo amico d’infanzia Dmitry Kovtun, anche lui presente al Millennium Hotel. La teoria dell’accusa è che i due abbiano aggiunto il polonio al tè che hanno offerto a Litvinenko nell’albergo dove Lugovoj alloggiava con la famiglia. Portata a Londra per copertura? «E qualcuno può veramente credere che in un’operazione avrei rischiato di coinvolgere mia moglie e i miei figli? E se qualcosa fosse andato storto? ». Tornato a Mosca, Lugovoj è finito in ospedale assieme a Kovtun. «Anche i miei sono risultati contaminati», dice. Una prova a discarico? Certamente, se le analisi sui pazienti fossero state condotte da medici indipendenti, diciamo in una clinica svizzera. Ma a Mosca... E poi l’eventuale contaminazione potrebbe dimostrare che Lugovoj non sapeva che tipo di materiale stesse maneggiando. Forse qualcuno gli aveva raccontato che c’era solo bisogno di addormentare Litvinenko, magari per poterlo interrogare come si deve. «Ma perché avrei dovuto fare una cosa del genere, mettendo a rischio tutto quello che ho? Sono ricco, ho un buon business, ho una famiglia. Non c’era motivo, né per vendetta né per soldi». Anche Lugovoj in passato aveva lavorato per Berezovskij, il magnate rifugiato a Londra che proteggeva Litvinenko. Poi nel 2001 venne arrestato, proprio per vicende legate a Berezovskij. Dopo 15 mesi fu rilasciato e misteriosamente iniziò a fare quattrini a palate. C’è chi è convinto che in quell’occasione l’Fsb gli aveva fatto un’offerta che lui non poteva rifiutare.