Panorama 6/12/2007, Stefano Lorenzetto, 6 dicembre 2007
Panorama, 6 dicembre 2007. Alcide De Gasperi metteva soggezione persino al papa. Anche da morto. La sua tomba, nel pronao della basilica di San Lorenzo fuori le mura, a Roma, è lì a testimoniarlo
Panorama, 6 dicembre 2007. Alcide De Gasperi metteva soggezione persino al papa. Anche da morto. La sua tomba, nel pronao della basilica di San Lorenzo fuori le mura, a Roma, è lì a testimoniarlo. A lui sarebbe piaciuto che vi fosse scolpita sopra una frase tratta dalla preghiera per i governanti del messale tridentino: "Ut, Domine, superatis pacis inimicis, secura tibi serviat christiana libertas". Lo scultore Giacomo Manzù aveva già preparato la lapide in creta, ma a Pio XII le due parole finali dovettero ricordare troppo la Democrazia cristiana e il suo simbolo, cioè l’autonomia dei cattolici in politica. "Dal Vaticano" svela Maria Romana De Gasperi "chiamarono Giulio Andreotti e suggerirono di cambiarla". Oggi si legge questa iscrizione: "Ei qui pacem patriam-que dilexit lux requietis aeternae affulgeat", a lui che ha amato la pace e la patria risplenda la luce eterna. Oggi capita anche un’altra cosa, alquanto anomala: De Gasperi è più amato da coloro che fino a ieri erano i nemici della pace che non dalla sua patria. La figlia maggiore dello statista morto nel 1954 dovrebbe adontarsene e invece appare piacevolmente stupita. appena tornata dalla Polonia, dove ha inaugurato l’Università Alcide De Gasperi a Varsavia e un centro conferenze e una mostra permanente dedicati al padre a Lodz, "docenti in toga e studenti col tocco, tutti in piedi a cantarmi Gaudeamus igitur, e io mi sono pure commossa, perché me la intonava papà, l’aveva imparata a Vienna nel 1905 quando si laureò in filosofia". Presto è attesa in Romania: lì faranno lo stesso con l’aula magna dell’ateneo di Timisoara. E prima era stata nell’ex Leningrado. "I giovani dell’Est vogliono cancellare per sempre il comunismo e capire come fece De Gasperi a salvare l’Italia dall’abbraccio mortale di questa ideologia". A 84 anni la primogenita dell’Uomo della ricostruzione assomiglia sempre di più alla dolomia delle sue montagne: resistente a dispetto dell’involucro di luminosa fragilità. Negli anni Ottanta ha assistito i primi malati di aids ricoverati all’ospedale Spallanzani: "Non si sapeva neppure che morbo avessero, potevo solo aiutarli a morire bene. Chiedevano: ”Ma tu sei pagata?”, e quando sentivano che ero una crocerossina volontaria, si aprivano". Due mesi fa ha perso il marito Piero Catti, costruttore edile, un ex partigiano dei Volontari della libertà conosciuto portando alcune carte di papà Alcide a un congresso. Nel 1972 il maggiore dei loro tre figli maschi, Giorgio, morì in un incidente con la moto. Aveva solo 23 anni, "ma era già molto serio, molto adulto, aveva un innato senso della giustizia. Forse era l’unico che poteva raccogliere l’eredità politica, chissà...". Nello studio della madre, una villetta immersa nel verde della Cassia, è fotografato di profilo sulle amate Dolomiti, barbetta da alpino e pipa in bocca. Sotto, un insolito ritratto ufficiale del nonno nella stessa posa, sigaretta fra le labbra, con una dedica: "Alla mia cara segretaria e compagna d’America. Papà Alcide". Come mai scrisse queste parole? Perché ero la sua segretaria privata, anche nelle missioni all’estero. Cominciai quando divenne presidente del Consiglio. Lavoravo al Viminale, allora era quella la sede del governo, non Palazzo Chigi, in un salottino comunicante direttamente col suo ufficio. I visitatori particolari, da Giuseppe Saragat a Pietro Nenni, passavano di lì. Sa che cosa accadrebbe se oggi un premier assumesse la figlia? Ma io non sono mai stata retribuita. Papà riteneva che non potessero esserci nella stessa famiglia due servitori dello Stato a libro paga. Perciò mi dava qualcosa dal suo stipendio, che ha sempre consegnato per intero a mia madre, ricevendone in cambio l’argent de poche. Donna molto oculata, sua madre. Quand’è morta, sono saltate fuori le agende su cui aveva annotato il bilancio di famiglia fin dal 1922. Ricordo che mio padre la rimproverava bonariamente per questa mania: "Francesca, ma almeno ci avanzano dei soldi?". "No" rispondeva lei. E lui: "Allora perché fai tutti quei conti?". Come mai a oltre 50 anni dalla scomparsa il ricordo di De Gasperi resta ancora così vivo? Ci fu un grande silenzio dopo la morte di mio padre. Ma più passa il tempo e più la sua figura s’ingigantisce. una statura morale che turba. Si pensa a De Gasperi perché ci manca un uomo che dia speranza, che infonda coraggio, che insegni l’onestà. solo di questo che i giovani hanno bisogno: di soffrire per i valori. Non si patisce solo nelle guerre. Faccio un esempio: oggi chi lavora in un certo modo, restando fedele alla propria coscienza, non fa carriera. Ci lamentiamo che le nuove generazioni pensino solo alle auto, alle donne, al guadagno, ma è solo questo che noi adulti sappiamo offrirgli. Come descriverebbe suo padre a un diciottenne dei nostri giorni? Come un uomo che cercava di capire gli altri nelle loro necessità. M’è venuto fra le mani in questi giorni il testo di una confidenza che fece intorno ai 30 anni, appena eletto deputato al parlamento austriaco, a Tullio Odorizzi, un amico di Cles: "Sta’ attento. Non dimenticare mai che devi sempre proporti di vedere l’uomo. Possiamo andare alla ricerca di formule economiche, organizzative, costituzionali, tecniche, ma essenziale è migliorare l’uomo nei suoi rap-porti con l’uomo. Non aver paura d’essere giudicato un sentimentale che ha perso i contatti con la vita reale. Lo sappia o non lo sappia, se ne accorga o ne se ne accorga, l’uomo ha bisogno di amore. Non mi dirai mica che il mondo non ha più tempo di ascoltare queste cose?". Mi parli di De Gasperi in famiglia. Era un padre normale. Anche da presidente del Consiglio, è sempre tornato a casa sia a pranzo che a cena. Non si prendeva mai impegni la sera. Leggeva le egloghe di Virgilio in latino per rilassarsi. Io e le mie tre sorelle eravamo innamorate di lui. Quando usciva di casa, facevamo a gara per spazzolargli il cappello, infilargli le scarpe, mettergli la sciarpa. Il pomeriggio, di ritorno dal Vaticano, dove aveva trovato rifugio come bibliotecario dopo essere stato nelle carceri fasciste, arrotondava il magro stipendio traducendo dal tedesco e noi stavamo attentissime a non disturbarlo. Che cosa lo faceva arrabbiare? Non sopportava le imprecisioni. Si seccava molto se gli fornivano informazioni approssimative. Chi stimava di più? Mario Scelba e Attilio Piccioni. Quando il figlio di quest’ultimo fu ingiustamente coinvolto nelle indagini sull’assassinio di Wilma Montesi, la ragazza trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica, non si capacitava del perché il padre volesse rinunciare alla vicepresidenza del Consiglio: "Tu pensi che il tuo Piero sia colpevole? No. E dunque perché dimetterti?". Lei scrive su "Avvenire", ha spiegato per anni i Vangeli ai lettori del quotidiano dei vescovi. Non si può dire che i rapporti di suo padre con la gerarchia cattolica siano stati altrettanto idilliaci. Papà conosceva a memoria le Sacre scritture, ma non riuscì mai a intendersi con Pio XII. Vede, mentre Pacelli aveva paura del comunismo, una paura fisica, De Gasperi no, lo combatteva e basta. Ci fu un episodio rivelatore, non so se posso raccontarlo... Il "Pastor angelicus" l’assolverà. Una delegazione di giovani dell’Azione cattolica andò in udienza dal pontefice e gli esibì una mappa di Roma punteggiata di cerchietti rossi. "Siamo circondati!" esclamò d’istinto Pio XII, affranto. Credeva che fossero sezioni del Pci. Invece erano i nuovi circoli dell’Ac. Spiega tutto. Padre Riccardo Lombardi, il "microfono di Dio", su mandato del papa voleva costringere la Dc ad allearsi col Msi. Il gesuita intervenne con forza su mia madre. "Spinga suo marito a farlo" insisteva. "Mai" rispose lei. Padre Lombardi alzò la voce: "Nessun cattolico voterà più per De Gasperi". Mamma lo accompagnò alla porta: "Il mio Alcide sa bene che cosa fare". E al capo del governo fu chiuso in faccia il Portone di bronzo. Papà incontro Pio XII solo in due circostanze ufficiali: con Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, nel 1946 e alla cerimonia di proclamazione del dogma dell’Assunzione di Maria nel 1950. Chiese un’udienza privata attraverso l’ambasciatore presso la Santa sede in occasione delle nozze d’argento, che coincidevano con la pronuncia dei voti perpetui di mia sorella Lucia, suora dell’Assunzione, poi morta di tumore a 40 anni. Gli venne rifiutata. "Come cristiano accetto l’umiliazione" chiosò. "Come presidente del Consiglio chiederò spiegazioni". A che punto è la causa di beatificazione di De Gasperi? A un punto morto. Non ci sono i soldi per mandare gli storici in giro per il mondo ad acquisire gli scritti di papà e non c’è un partito che ne coltivi la memoria. In più c’è stata l’opposizione del vescovo di Bressanone. I sudtirolesi non perdonano a mio padre d’aver voluto una sola regione, il Trentino Alto Adige, anziché due. Faccio l’avvocato del diavolo. Mario Tanassi mi raccontò d’aver visto suo padre al Viminale, un giorno del 1953, che consegnava a Saragat dieci assegni circolari dell’importo di 5 milioni di lire l’uno. L’equivalente di 735 mila euro per mantenere il Psdi nell’orbita occidentale. Magari lei c’era, quel giorno. Non lo ricordo. Ma c’ero a To-rino, in una piazza San Carlo gremitissima, quando papà trattenne la folla al termine del suo comizio: "Adesso fermatevi. C’è qui Saragat che vuole parlarvi. una persona onesta. Ascoltatelo". Allo sbigottito Tanassi suo padre confidò: "Questa è la parte peggiore della politica. Però, o finanziamo i partiti democratici o consegniamo l’Italia a Togliatti. E le dirò di più: questi soldi non ce li danno i braccianti della Puglia". Un’allusione per fargli capire che i fondi neri arrivavano dalla Confindustria o dagli Stati Uniti. La trovo una posizione limpida. Mio padre non si poteva certo comprare. In una lettera di congedo che scrisse a mamma il 4 set-tembre 1935, quando il suo stato di salute faceva temere il peggio, afferma a proposito di me e delle mie sorelle ancora da crescere: "Non posso lasciar loro mezzi di fortuna, perché alla fortuna ho do-vuto rinunziare per tener fede ai miei ideali". Mai accettò pressioni, nemmeno dal Vaticano. Di questo fui testimone diretta. Una mattina che doveva incontrare un importante cardinale della curia romana, papà era molto inquieto. "Viene a chiedermi una cosa che non posso fare" non si dava pace. Confesso che lasciai la porta socchiusa per capire di che si trattasse. Mio padre accolse il porporato con enfasi plateale: "Eminenza, grazie a Dio, lei è una delle poche persone che non viene qui a chiedermi qualcosa che va contro la mia coscienza!". E tutto finì lì. In famiglia ripeteva sempre: "Non tradisco ciò in cui credo neanche per far contento il papa. Piuttosto do le dimissioni". Lorenzo Cappelli, sindaco di Sarsina, il più longevo primo cittadino d’Europa, mi ha confermato che suo padre morì povero e che le segreterie provinciali della Dc dovettero fare una colletta per comprare alla vedova e alle figlie la casa, altrimenti sareste finite su una strada. Per tutta la vita abitammo in af-fitto a via Bonifacio VIII, appena oltre il colonnato del Bernini. La Dc insistette per donare a mio padre un villino a Castelgandolfo per i suoi 70 anni. Quando lui morì, mamma trovò sul conto corrente una somma troppo elevata. Telefonò a Fanfani: "Devono essere per forza soldi del partito, venite a prenderli". Fanfani non voleva: "Ma no, sono vostri". Alla fine li ritirò e ne destinò una piccola parte all’acquisto di un alloggio per noi a Vigna Clara, che all’epoca non era una zona residenziale. "Invece i politici di oggi riscattano gli attici a prezzi di favore dagli enti pubblici", ha soggiunto Cappelli. Mio padre si adirò scoprendo che un funzionario della sua segreteria s’era iscritto al bando di concorso per avere uno degli appartamenti costruiti per i deputati sulla via Cristoforo Colombo: "Cancèllati subito, non ti spetta". Altri uomini, altri tempi. Al presidente del Consiglio capitava di ricevere doni importanti, dipinti o argenti. Lui li restituiva al mittente con un bigliettino: "Mi è impedito di accettare perché non potrei ricambiare con eguale dovizia". Teneva solo gli omaggi kitsch che gli venivano dalla gente comune: gondole di Venezia con le lucine, composizioni di conchiglie, quadretti. Aveva dato ordine alla mamma di disporli sulle mensole in corridoio. Io e le mie sorelle la chiamavamo "la galleria degli orrori". Con le raccomandazioni come si regolava? Doveva nominare il suo capo di gabinetto. Quando ebbe davanti la pila dei curriculum, chiese: "Qual è il più anziano dei non raccomandati?". Pescarono da sotto l’ultima domanda. "Chiamate questo". Era Francesco Miraglia, prefetto di Livorno. Perché oggidì non nascono più i De Gasperi? S’è perso lo stampo o sono semplicemente cambiate le condizioni sociali e politiche? Me lo sono chiesta anch’io. E purtroppo non è che ne nascano negli altri Paesi d’Europa. José Luis Zapatero, Nicolas Sarkozy... Siamo distanti. una povertà diffusa. I leader usciti dalla Seconda guerra mondiale si assomigliavano un po’ tutti. Rammento che quando cadde il primo governo presieduto da Ivanoe Bonomi, lui e Stefano Siglienti, che era il ministro delle Finanze, lasciarono l’auto di servizio e tornarono a casa loro a piedi. Fra cinque mesi saranno 60 anni dalle elezioni del 18 aprile 1948, quando suo padre sconfisse il Fronte socialcomunista. Teme un ritorno dei totalitarismi? La dittatura viene quando non siamo più capaci di amare la libertà, quando diventiamo talmente corrotti da non considerare più la libertà il bene più importante. Lei personalmente è sempre stata anticomunista, lo è ancora, ha smesso di esserlo? Il comunismo è talmente assurdo... Chi può essere un comunista vero? Oliviero Diliberto dice d’esserlo. Quello che vuol portare la mummia di Lenin a Roma? Fanfaronate. Si dice comunista, ma non fa certo vita da comunista. Walter Veltroni sostiene che lui non è mai stato comunista. Ah, non lo so. Non parlo di personaggi che vedo solo in tv. Non ha un’idea sul sindaco della sua città? Non mi piace giudicare chi governa. Mio padre diceva ad Amintore Fanfani, che lo criticava sem-pre: "Prova tu a metterti alla stanga". Un conto è stare alla stanga, un altro è vedere le cose da fuori. Del Partito democratico che mi dice? Conosco vecchi democristiani che sperano molto in questo Pd. A me pare un modo per salvarsi. Perché la Dc è morta? Fu una follia. Fossi stata nei panni di Mino Martinazzoli, mai avrei firmato l’atto di decesso. Non ce n’era motivo. Tant’è vero che oggi ritrovo democristiani in tutti i partiti. "Sono un dc" mi dicono fieri. Nessuno si definisce ex dc. E incontro elettori disorientati, che non sanno per chi votare. Non votano per l’Udc? Pier Ferdinando Casini mi ha un po’ deluso. Ma come? Sei stato eletto per una certa ragione e in una certa coalizione. Dovevi dirlo prima se avevi intenzione di cambiare progetto. Così perde. S’è mai candidata alle elezioni? Nel 1958 me l’avevano chiesto alcuni amici in Sicilia. Intervenne Andreotti: "Perché non nel Lazio, allora?". Per fregarla. Era il suo feudo. (Sorride). Fanfani si oppose: "Non trasciniamo il nome di De Gasperi nell’agone politico". Meglio così. Alla fine ne fui molto sollevata. Mai pensato di fondare una lista De Gasperi con candidati probi selezionati da lei nel Paese? Per carità! Perché mi vuole così male? Non amo la pubblicità. Già faccio fatica a rispondere a queste domande. Ma suo padre di che partito sarebbe segretario, se fosse vivo? Di quelli che ci sono adesso? Mio Dio! Non ce n’è uno che mi piaccia. Non ce lo vedo proprio, papà, a capo di uno dei partiti d’oggi. Anzi, non s’iscriverebbe neppure. Basta guardare alla vita personale dei loro segretari, leggere qualche pagina del nuovo libro di Bruno Vespa. Come fa un politico senza moralità nel privato a esprimerne nella cosa pubblica? A "Porta a porta" suo padre non sarebbe andato, e neanche a "Ballarò". Non sarebbe andato in nessun programma dove gli ospiti si mal-trattano a vicenda. Non è dignitoso. E poi lui non amava la tv. Preferiva la campagna e gli animali. Alla festa del grillo di Firenze gli avevano donato una colonia di insetti saltatori. Ogni tanto ne trovavo alcuni morti nella gabbietta. Per non dargli un dispiacere, con gli agenti della scorta andavo a caccia di grilli e rimpiazzavo le perdite. Io e mio marito gli avevamo regalato Kim, un pastore tedesco. La mattina papà aveva occhi solo per il cane, lo faceva salire sul letto, gli parlava. All’ora precisa in cui mio padre fu stroncato a Sella Valsugana da un attacco cardiaco, Kim, che era rimasto a Roma, cominciò a guaire sul cancello. Un ululato tristissimo, come quello dei lupi. Continuò per cinque giorni, senza toccare cibo. Si lasciò morire di fame. Che effetto le fa vedere fra i senatori a vita personaggi come Oscar Luigi Scalfaro ed Emilio Colombo che erano in Parlamento ai tempi di suo padre? Penso che sia una fine giusta. Fine? Fine di una vita politica. Credono di avere un compito. De Gasperi avrebbe accettato il laticlavio a vita? Non lo so. Di sicuro non avrebbe accettato la presidenza della Repubblica. Lui amava il fare, la battaglia. E soprattutto aveva bi-sogno di parlare con i giovani, di stare fra loro. Un giorno che lo accompagnavamo in auto a Castelgandolfo, io e mio marito vedemmo che era serissimo. "Papà, che cos’hai?" gli chiesi. "Pensavo ai ragazzi" rispose. "Quali ragazzi?" replicai. "I tuoi. Chi li educherà?". Scoppiai a ridere: "Hanno appena 2 anni!". E lui: "Ma voi ne farete dei tecnici. Invece potrebbero seguire la strada del nonno. Solo che a me non rimane più il tempo per insegnargliela". Stefano Lorenzetto