Varie, 29 novembre 2007
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BaronCohen Sacha
• Hammersmith (Gran Bretagna) 13 ottobre 1971. Attore • «Dj e rapper inglese diventato famoso come il supercafone autista di Madonna nel clip di Music, l’uomo che si definisce un ”pappone del ghetto” e che in realtà è un ebreo bianco laureato a Cambridge» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 9/11/2001) • «Provate a immaginare un folle, irriverente e politicamente scorrettissimo, vestito da rapper, con catene d’oro e gadget vistosi, che parla come uno spudorato rapper dei ghetti americani, che si muove, gesticola e aggredisce il prossimo come un afroamericano del Bronx e che invece è un irresistibile comico inglese, di origine ebrea cresciuto nella tranquilla periferia londinese, ma capace con lo pseudonimo di Ali G di sfondare nel mondo dello spettacolo come un ciclone demenziale difficilmente contenibile. Il pubblico della musica lo aveva notato nel video Music di Madonna, o alle presentazioni degli Mtv Award (in molti dissero che fu l’unica presenza capace di scuotere la monotona e prevedibile routine della premiazione). Da un paio d’anni gli inglesi impazziscono per il suo show televisivo, The 11 O’clock show, su Channel 4: un irriverente e vorticoso ”hellzapoppin”, dove col massimo candore usa tutti gli stereotipi del personaggio: sessismo, omofobia, esaltazione della marijuana sempre e dovunque, per incontrare personaggi famosi (a un deputato inglese ha offerto uno spinello), intrufolarsi nelle più diverse situazioni (al festival di Cannes ha cercato di convincere serissimi produttori cinematografici a produrre un film porno del tutto inconsistente), ballare, cantare, anzi rappare, mettendo le mani ovunque come un guastatore disposto a tutto. Le sue battute sono talmente volgari da trasformarsi in caricatura surreale. Il suo motto è: esagerare, spingersi sempre un passo oltre quello che penseremmo essere il limite massimo. Ed è talmente disarmante che nessuno sembra riuscire a opporgli resistenza. Anzi, dilaga nel mondo anglosassone il suo slang sfrontato, parodia esasperata di quello dei neri americani. […] A settembre uscirà il suo film, intitolato semplicemente Ali G, forse perché il titolo originale, Ali G in da house, è stato ritenuto o troppo difficile da tradurre o troppo imbarazzante, per i doppi sensi che arricchiscono il travolgente turpiloquio del protagonista. Beast, la bestia, nello slang del rapper è ovviamente l’organo genitale maschile, e lui arriva farlo muovere a tempo di musica, punani invece quello femminile. House sta invece per tante cose, compreso il parlamento inglese dove il giovane eroe approda, debitamente eletto per una serie di buffe circostanze, per lanciare i suoi proclami alternativi. Nel film Ali G, bianchissimo ma in tutto e per tutto atteggiato a nero, vive in un tranquillo quartiere di Londra, con vecchine e bravi bambini, ma si comporta come un super eroe dell’hip hop, come se il territorio fosse un ghetto, fa parte di una patetica gang e combatte con altrettanto patetiche band rivali e insegna ai bambini scout lo slang e le mosse dell’hip hop, anche se in realtà vive in una stanzetta da adolescente con la nonna ed è fedelissimo alla sua bruttina fidanzata. All’inizio ricorda il Danny Kaye sognatore di Grandi speranze. Nelle sue fantasie entra perfino Naomi Campbell, decisa a sedurlo con tanto di frusta in mano, anche se nella realtà è solo il suo cagnolino che si è intrufolato sotto la coperta. Ma per una incredibile concatenazione di fatti, la realtà supera le sue più spericolate fantasie e si trova a diventare braccio destro del primo ministro. A tutti offre saggezza da rapper, molta marijuana e con le foglie d’erba arriva a narcotizzare un intero summit di capi di Stato che si danno alla pazza gioia, si abbracciano giulivi e in qualche caso scoprono la loro omosessualità repressa. Scivola tra complotti mostruosi, giochi di potere, trame diaboliche aiutandosi con la sua gang di quartiere e come in una favoletta viene premiato ottenendo l’ambito ruolo di ambasciatore inglese in Giamaica. La sua satira, caciarona e demenziale, è efficacissima. Si potrebbe pensare che spesso i rapper originali siano già in sé esagerati, che il modello è difficilmente caricaturabile. Ma non è così: giocando con i tratti della cultura hip-hop ha inventato un personaggio che sta dilagando. La sua fondamentale irriverenza, e anche i tratti palesemente maleducati e scorretti, finiscono per dare una sferzata violenta nel diplomatico e acquiescente panorama televisivo e in fondo, lasciano perfino un messaggio positivo. Ridendo di tutto e tutti, rimane spazio per una candida e fanciullesca visione del mondo, dove a trionfare sono l’amore e l’amicizia, tutt’altro che maleducati» (Gino Castaldo, ”la Repubblica” 31/5/2002).