Siegmund Ginzberg, la Repubblica 29/11/2007, 29 novembre 2007
Un morto ammazzato. Due potenti, i due più famosi rivali politici del loro tempo che si scambiano a vicenda l´accusa di fratricidio, tradimento, illegittimità, malefatte di ogni genere, persino perversioni sessuali
Un morto ammazzato. Due potenti, i due più famosi rivali politici del loro tempo che si scambiano a vicenda l´accusa di fratricidio, tradimento, illegittimità, malefatte di ogni genere, persino perversioni sessuali. Donne fatali che non perdonano. Cardinali che fanno politica. Un rebus avvincente di indizi da decifrare. L´ultima interpretazione della Flagellazione di Piero della Francesca ha tutti gli ingredienti di una detective story. Piero della Francesca e l´assassino (Bollati Boringhieri, pagg. 261, euro 22), si legge d´un fiato, come un romanzo giallo, anche se l´autore, Bernd Roeck, non è un romanziere ma un serissimo professore di storia rinascimentale all´Università di Zurigo. Secondo questa interpretazione, il dipinto sarebbe una denuncia per omicidio. A carico di Federico da Montefeltro. Il desiderio del committente della tavola sarebbe stato indicarlo agli occhi di tutti quale mandante dell´assassinio di suo fratello Oddantonio, al fine di usurpare il potere a Urbino. Non è l´unica possibile. Uno studio recente elenca almeno trentacinque interpretazioni disparate, contrastanti o che si escludono a vicenda. Il fascino irresistibile di Piero è che può sembrare che racconti una storia, e invece poi, a seconda di chi la «legge» si scopre che ne può raccontare altre, anche completamente diverse. Il bello è che l´»indagine» non finisce mai, arriva volta a volta alle conclusioni più inaspettate. Un bel libro di Silvia Ronchey, uscito solo un anno fa, approfondiva in modo molto suggestivo l´ipotesi che la Flagellazione sia un «pezzo» di propaganda a favore di una a crociata contro i turchi che minacciavano Costantinopoli bizantina. Roeck, con altrettanta autorevolezza e pezze d´appoggio (magnifica la scelta di immagini), porta elementi nuovi all´ipotesi che si tratti di un «pezzo» di propaganda contro Federico da Montefeltro, per accusarlo di essere un bastardo e un fratricida. Trovo fantastico già il fatto che si possano sostenere, in modo parimenti convincente, cose così diverse. Uno dei grandi misteri del dipinto si è sempre imperniato su chi siano i tre personaggi a destra, in primo piano, e che rapporto abbiano con la scena della flagellazione di Cristo, a sinistra, in secondo piano. Volta a volta gli sono state attribuite le identità più disparate. Questa interpretazione ricalca le più antiche, secondo cui il giovane biondo in tunica rossa e a piedi nudi, al centro del terzetto, sarebbe Oddantonio da Montefeltro, l´erede legittimo al ducato di Urbino. Lo sguardo assente, la semplicità delle tunica e i piedi scalzi sarebbero la conferma che si tratta di un defunto. L´omicidio è un fatto storico. Poco dopo la mezzanotte del 23 luglio 1444 un gruppo di congiurati armati si era introdotto nel palazzo ducale. Con una trave avevano sfondato la porta degli appartamenti di Oddantonio. Lo avevano trucidato assieme ai suoi più stretti collaboratori. I cadaveri erano stati gettati dalla finestra, trascinati in piazza e oltraggiati: pare addirittura che qualcuno abbia tagliato il membro di Oddantonio e glielo abbia infilato tra i denti. Già il mattino dopo, il fratellastro di Oddantonio, Federico, che comandava una guarnigione a Pesaro, era sotto le mura di Urbino coi suoi soldati. I congiurati gli consegnarono la città, e furono perdonati, anzi promossi. Roeck è il primo a collegare il racconto pittorico sulla tavola ad una delle storie della Legenda aurea di Jacopo da Varagine. Era uno dei bestseller dell´epoca, e comunque un vero e proprio repertorio per Piero, che vi si ispirò per la Leggenda della Croce di Arezzo. Non vi si parla di flagellazione, ma delle origini di Ponzio Pilato. All´età di tre anni fu mandato presso un re che aveva già un figlio circa della sua stessa età. «Crescendo, i due giocavano spesso insieme, esercitandosi nella lotta, nel pugilato e nel tiro alla fionda. Il figlio legittimo del re, essendo di più nobile origine, si dimostrava superiore a Pilato in ogni aspetto: era il più dotato in ogni forma di competizione. Perciò Pilato fu preso da odio e invidia e, spinto da acuto tormento, di nascosto uccise il fratello». Informato dell´accaduto, il re decide di risparmiargli la vita e mandarlo invece come ostaggio a Roma. A Roma riconoscono il talento di Pilato, che nel frattempo di è macchiato di un altro omicidio, e pensando che uno così spietato possa essere di grande utilità, lo mandano a domare popoli barbari, finché avuto sentore della sua fama, Erode lo invita in Giudea. La leggenda poteva essere interpretata come una parafrasi della carriera di Federico: «bastardo legittimato» del duca di Urbino, messo in ombra dalla nascita di Oddantonio, figlio legittimo; inviato da giovane come ostaggio di una città straniera (Venezia); esperto nel reprimere con pugno di ferro rivolte e tentativi di colpi di Stato. Il personaggio a sinistra, quello con la barba, che ha una vaga rassomiglianza con Osama bin Laden, sarebbe Giuda. Il suo abbigliamento sarebbe «tipico» di come veniva all´epoca rappresentato il super-traditore, persino nella scelta dei colori: mantello rosso, stivali gialli. Anche Giuda Iscariota figura come fratricida in una delle storie della Legenda aurea. Abbandonato dai genitori per via di una profezia secondo cui il nascituro avrebbe «causato la rovina del nostro intero popolo», viene allevato da una regina che ha anche un suo figlio legittimo. Giuda lo ammazza per invidia e fugge a Gerusalemme, dove «entrò al servizio di Pilato». «E poiché i simili stanno bene coi simili, Pilato si rese conto che Giuda era fatto della sua stessa pasta e cominciò ad apprezzarlo», cosa per cui «raggiunse una posizione di privilegio tra i dignitari di Pilato e tutto si compiva secondo le sue disposizioni». Il terzo personaggio, quello in broccato blu, sarebbe, a piacere, Bernardino Ubaldini della Carda, di cui correva voce che fosse il vero padre di Federico, oppure Ruben, il padre naturale sconosciuto che nelle Legenda aurea viene ucciso dal figlio Giuda. Se così fosse, la tavola della Flagellazione sarebbe un modo per dare ripetutamente del Caino, del Giuda e del bastardo a Federico. C´era anche chi lo faceva apertamente. Sigismondo Malatesta, signore di Rimini, arcinemico di Federico signore di Urbino, glie l´aveva più volte detto in faccia. I cronisti riferiscono che Sigismondo aveva già una prima volta nel 1445 tacciato Federico di vigliacco e assassino, che si era imbrattato del sangue dei propri familiari, e l´aveva schernito quale figlio illegittimo di Bernardino Ubaldini. Federico dal canto suo aveva reagito con una lunga serie di improperi, dandogli del figlio di buffone, del «marchesino» da quattro soldi, dello zotico bergamasco. Al che Sigismondo aveva rincarato accusando Federico di essere un traditore e un empio stupratore, che aveva abusato di un´ebrea a Pesaro e trasformato il monastero di Fano in suo bordello privato, ingravidando undici suore. Federico gli aveva replicato restituendo al Malatesta l´accusa di fratricidio: di aver tradito e avvelenato il proprio fratello Galeotto Roberto. I due si erano rivisti dodici anni dopo nel Castello di Belfiore, presso Ferrara. Di questo secondo duetto abbiamo un resoconto di parte, stilato da Pierantonio Paltroni, cancelliere e biografo di Federico. Si scambiarono accuse e insulti, si rimproverarono di essere i mandanti di attentati, si dettero reciprocamente del bugiardo. Il signore di Rimini perse il controllo, mise mano alla spada e gridò: «Per lo corpo de Dio, io ti cavarò le buddelle del corpo», al che Federico sguainò la spada urlando: Et io te cavarò la corada a te!». Se non ci fosse stato il padrone di casa Borso d´Este a sperarli, sarebbero a quanto pare passati ai fatti. I due erano concorrenti, facevano lo stesso mestiere: noleggiavano eserciti ai migliori offerenti. Federico era più bravo, sapeva farsi meglio la pubblicità, ne restano a riprova i fregi sull´arte della guerra del suo palazzo ad Urbino, un vero e proprio catalogo di tecnologia militare. L´uno e l´altro ebbero ad un certo punto contro, in altre circostanze si allearono e prestarono servizio a cardinali e papi. L´uno e l´altro non esitarono a ricorrere all´assassinio politico. Federico era inizialmente l´underdog. Aveva contro tre donne implacabili: Violante, Sueva e Agnesina, sorelle di Oddantonio, che non rinunciarono ad accusarlo dell´omicidio e a pretendere al ducato di Urbino nemmeno quando finirono in convento. E due cardinali potentissimi, il camerlengo papale cardinale Ludovico Trevisano (tipo dall´aria durissima, se guardiamo il ritratto che ne fece Mantegna) e il cardinale Prospero Colonna, che era pure zio dell´ammazzato Oddantonio. Piero della Francesca aveva lavorato sia per Federico che per Sigismondo. Ritrasse magistralmente l´uno e l´altro. Sarebbe, ai nostri tempi, come uno che scrive per l´Unità e per Il Foglio, ma sono pronto a scommettere che decideva lui cosa e come dipingere. L´ipotesi di Roeck è che il committente della Flagellazione fosse il cardinale Colonna, che forse voleva farne dono ad una delle sorelle di Oddantonio, da lui protette (ed incoraggiate a rivendicare il ducato di Urbino e congiurare contro Federico). Quadrerebbe con le dimensioni ridotte e molto private del quadro, 67,5 per 91 centimetri, forse destinato ad ornare una cella monacale. Nonché col tema di Cristo alla colonna, simbolo della casata. Ma Piero era leggendariamente lungo nel portare a termine le commissioni. Ad un dipinto come questo poteva capitargli di lavorare anche per dieci anni di seguito. Quando lo finì il committente era probabilmente già morto, e comunque Federico aveva avuto la meglio: fu ufficialmente riconosciuto Duca di Urbino da papa Sisto IV, ma solo nel 1474, trent´anni dopo l´uccisione di Oddantonio. «Trent´anni, questo il termine di prescrizione delle accuse per il diritto romano!», osserva Roeck. Piero si tenne il dipinto per sé. Non sono sicuro che questa sia la vera storia della Flagellazione. Quel che so è che mi è molto piaciuta.