Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 29/11/2007, 29 novembre 2007
I dirigenti della Quercia criticano spesso, e non senza ragione, l’opacità della finanza italiana
I dirigenti della Quercia criticano spesso, e non senza ragione, l’opacità della finanza italiana. Ma quando si tratta delle finanze del partito il rigore metodologico, che non va confuso con la riconosciuta onestà personale dei tesorieri, cala un po’. Specialmente ora che gli eredi del Pci, assieme agli aderenti alla Margherita, stanno per sciogliersi nel nuovo Partito democratico. Quanto si profila non è una fusione, e nemmeno la somma di due storie con le loro attività e passività economiche, ma il conferimento di due storie, non è chiaro con quali bilanci materiali, a un terzo soggetto che si propone come nuovo quanto a idee e cassa. Per questo motivo la questione dei bilanci non è irrilevante né per la sostanza né per il metodo. Il Pd vuole essere una formazione leggera, che archivia la forma partito novecentesca. Dunque, meno sedi, meno funzionari, meno organi di stampa tradizionali e costosi: meno spese fisse, in una parola. La Margherita è già un partito sottile, come direbbero in Borsa. Anche perché gli immobili rimasti al Partito Popolare, e dati in comodato gratuito alla Margherita, sono e restano intestati all’Associazione i Popolari. La Quercia è molto dimagrita rispetto al suo storico progenitore, e tuttavia ha conservato assetti più consistenti. Con la conseguenza di avere più patrimonio ma anche più dipendenti e più debiti. Il Pd deve ancora stabilire come organizzerà la propria attività di raccolta dei fondi e con quali modalità di rendicontazione agli iscritti e ai cittadini. Sarebbe augurabile uno sforzo in più rispetto agli obblighi di legge che non prevedono, per esempio, un reale bilancio consolidato. Ma sarebbe già molto decidere in modo chiaro e verificabile quali attività e passività debbano passare dai vecchi partiti in liquidazione al nuovo e quali no. E tuttavia già adesso è chiaro che il Pd «distruggerà» posti di lavoro, specialmente fra i Ds, sia al Botteghino che nelle regioni rosse dove più consistente è la struttura. Fosse un’azienda, la Quercia penserebbe a una bad company con cui far fronte ai costi sociali derivanti dal passato e al rimborso del debito residuo. Non lo è, e farà diversamente. Di questa materia – che in passato ebbe il suo rilievo nei rapporti dell’ex Pci con il sistema finanziario – i congressi non si sono occupati. I leader pensano che i tesorieri, allo stesso modo dell’intendenza di Napoleone, seguiranno comunque. Ma a quale prezzo sul piano della trasparenza? I Ds, che hanno due storiche fondazioni nazionali (l’Istituto Gramsci e il Cespe), promuovono ora una rete di fondazioni provinciali alle quali vengono attribuiti, saldati entro l’anno i debiti della periferia, i resti non trascurabili di quello che fu un piccolo impero immobiliare. una decisione di qualità diversa da quelle passate. Assegnare il Bottegone o una Casa del Popolo a una srl o a dei fiduciari poteva ben restare competenza delle direzioni nazionale e locali. Far sopravvivere un patrimonio al partito – e questo vale anche per la Margherita – è invece una decisione che avrebbe meritato un mandato di origine congressuale. Nelle società ben governate, le decisioni ordinarie le prende il consiglio di amministrazione e quelle straordinarie l’assemblea degli azionisti. I partiti non avrebbero dovuto essere da meno. Anche perché, in un congresso, sarebbe stato più difficile evitare di chiarire a chi in futuro risponderanno le fondazioni e l’Associazione i Popolari e se, e in quale bilancio, questi conduits della politica verranno consolidati.