Fabio Cavalera, Corriere della Sera 27/11/2007, 27 novembre 2007
PECHINO
Negli ultimi sette giorni il deficit commerciale dell’Europa verso la Cina è cresciuto di 2,1 miliardi di euro, 208 mila euro all’ora, 3.472 euro al secondo. E di altrettanti crescerà questa settimana, proprio mentre Bruxelles e Pechino avvieranno il confronto per aggiustare le loro forti relazioni economiche, la cui stabilità vacilla.
I tempi sono maturi: il surplus fra beni importati nel Vecchio Continente e beni esportati nel gigante d’Asia ha raggiunto livelli di «generosità » che va corretta. I meccanismi dell’interscambio, sollecitati dal corso delle valute (l’euro in straordinaria risalita sullo yuan e sul dollaro, lo yuan in lenta ma progressiva discesa sul dollaro), sono mutati e hanno bisogno di una profonda messa a punto. uno scenario che, sostengono gli esperti, è destinato a perdurare. Da qui la necessità di attrezzarsi per contenere gli eccessi che causano tensioni nei Paesi Ue.
Le proiezioni statistiche per fine 2007, effettuate dalla Commissione europea, evidenziano che lo squilibrio dell’import-export con la Cina raggiungerà la cifra record di 170 miliardi di euro e che già nei primi otto mesi si registra una espansione del 25% rispetto allo stesso periodo del 2006. La deduzione di parte europea è chiara: per come stanno evolvendo l’economia internazionale, i flussi di manufatti e di merci, il rapporto di valore fra euro e yuan, la partnership stipulata nel 2003 ha bisogno di essere rivista. L’Europa suggerisce correttivi di due tipi: o la Cina abbatte le barriere con le quali difende alcuni suoi settori strategici (telecomunicazioni in testa) e consente così a import ed export di riequilibrarsi nel mercato. Oppure lascia rivalutare con maggiore flessibilità la sua moneta.
Da gennaio a oggi lo yuan si è indebolito del 6,32 per cento sull’euro dando altra spinta alle esportazioni del gigante asiatico. All’inizio del 2007 ci volevano 10,30 yuan per comperare un euro, ora si è vicini al muro degli undici. Tendenza di segno opposto a quella registrato sul fronte del dollaro. In gennaio servivano 7,8 yuan per un dollaro ora ne bastano 7,4. Il risultato è che (fonte dogane cinesi) le esportazioni da Pechino per l’Europa sono aumentate da gennaio a ottobre del 30,7%, mentre da Pechino per gli Stati Uniti «solo» del 15,5%. Sul fronte opposto, se è vero che le esportazioni europee verso la Cina, nel 2006, sono salite del 21% è altrettanto certo che il loro volume resta inferiore a quello registrato con la Svizzera. Situazione che Bruxelles guarda con disagio.
I problemi non si risolveranno nel giro di qualche giorno ma che occorra affrontare di petto le aree di criticità è una consapevolezza diffusa anche negli ambienti favorevoli al negoziato e critici con le soluzioni protezionistiche. Bruxelles e Pechino sono a un punto di svolta. A dimostrare che una normale dialettica economica si sta trasformando in un nodo politico serio vi è la circostanza che al vertice programmato fra oggi e venerdì a Pechino si presenterà l’Europa ai suoi massimi livelli: il presidente di turno (il premier portoghese José Socrates), il presidente della Commissione José Manuel Barroso, il commissario per il Commercio Peter Mandelson. E a loro si aggiungeranno il presidente dell’eurogruppo, Jean Claude Junker, il presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet e il commissario per gli Affari monetari Joaquin Almunia.
Un pressing in grande stile. Agli occhi di Pechino – parole dell’ambasciatore Guan Chengyuan presso la Ue – l’Europa si sta mostrando «impaziente». E se la parola d’ordine è spegnere il fuoco perché il confronto è solo all’inizio, è certo che covano frizioni di ogni genere. Lo dimostra l’antipasto di ieri: uno scambio di battute fra Peter Mandelson, commissario al Commercio Ue e la vice premier Wu Yi. Mandelson, che passa per una colomba, è andato giù duro snocciolando una serie di considerazioni la cui conclusione è che «la Cina rischia di perdere la faccia». Sotto accusa la qualità dei prodotti esportati in Europa e la contraffazione. I dati dicono tre cose: che il commercio di beni falsi raggiunge la cifra di 200 miliardi di dollari (2 per cento del commercio mondiale) e che molti sono «made in China »; che l’Europa importa ogni giorno mezzo miliardo di manufatti originali dalla Cina; che anche solo l’1 per cento di produzione scadente (questo è il rapporto, secondo la Cina) non è accettabile per l’Europa. «Medicine false, parti di auto e di aerei false, portano pericoli enormi». Wu Yi, la «Lady di ferro» che condusse le trattative per l’ingresso della Cina nel Wto, se ne è andata irritata e con una frase in bocca: «Sono estremamente insoddisfatta». Un incidente che dopo anni di sorrisi spiega quale sia lo stato dell’arte fra i due vecchi partner.