Sergio Romano, Corriere della Sera 26/11/2007, 26 novembre 2007
Nel giorno stesso del Vertice dei 27 a Lisbona, in cui è stato approvato il trattato di Riforma dell’Unione Europea, Brown, Sarkozy e la Merkel hanno diramato un comunicato attirando l’attenzione sulla grave situazione finanziaria europea e mondiale
Nel giorno stesso del Vertice dei 27 a Lisbona, in cui è stato approvato il trattato di Riforma dell’Unione Europea, Brown, Sarkozy e la Merkel hanno diramato un comunicato attirando l’attenzione sulla grave situazione finanziaria europea e mondiale. Regno Unito, Francia e Germania si riuniscono dal 2003 per la delicata questione nucleare con l’Iran e stanno costruendo insieme un impianto gigantesco per la produzione di uranio arricchito con centinaia di migliaia di centrifughe. La Francia e il Regno Unito appoggiano l’entrata della Germania, quale membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Si sta così delineando un Direttorio europeo tra Francia, Germania e Regno Unito con il conseguente declassamento dell’Italia. Mi sembra inevitabile che all’interno dell’Unione Europea a 27 si costituisca un nucleo politico ristretto. essenziale che l’Italia non sia esclusa, come sta avvenendo da quattro anni. Ed è la prima volta che il nostro Paese nella sua storia unitaria non è presente in intese tra le grandi potenze europee. Gradirei il suo parere. Achille Albonetti Roma Caro Albonetti, N ella prima metà degli anni Novanta l’Italia sembrò scomparire dall’orizzonte della politica internazionale. Era finita la guerra fredda, vale a dire la lunga fase storica durante la quale il nostro Paese era stato una marca di frontiera e quindi particolarmente utile per l’Alleanza Atlantica e gli Stati Uniti. Il nostro sistema politico era un cumulo di macerie abitate da uomini e donne che avevano perduto il loro partito o erano addirittura oggetto di indagini giudiziarie. Da allora la situazione è certamente migliorata. I governi, dopo il 1996, hanno goduto di maggiore stabilità. Abbiamo collocato un italiano alla presidenza della Commissione di Bruxelles. Ci siamo battuti perché la Germania non conquistasse un seggio permanente al Consiglio di sicurezza. Abbiamo avuto un presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi) che si vantava di avere eccellenti rapporti personali con i Grandi del pianeta. E siamo stati presenti con un corpo di spedizione nei quattro maggiori teatri di crisi dell’ultimo decennio: ex Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libano. Ma questo non ha impedito che nascesse e si consolidasse nel frattempo una sorta di direttorio europeo costituito, come lei ricorda nella sua lettera, da Francia, Germania e Gran Bretagna. Qualcuno potrebbe osservare che anche in passato, all’epoca dell’asse franco-tedesca, l’Italia restava fuori della porta. E altri potrebbero ricordare che i direttori, nel mondo d’oggi, sono probabilmente destinati ad avere una geometria variabile e una composizione dipendente dalla geografia o dalla natura dei problemi che occorre affrontare. Ma è probabile che lei abbia ragione quando osserva che l’Italia ha smesso di appartenere al gruppo dei quattro maggiori Paesi europei. L’architettura dell’Unione è cambiata. Vi è un primo girone di cui fanno parte Francia, Germania, Gran Bretagna. E vi è un secondo girone in cui l’Italia siede accanto alla Spagna e alla Polonia. Credo che la ragione del cambiamento dell’architettura sia ancora una volta il nostro cattivo sistema politico. I club ristretti, come le partite a poker, si fanno con la partecipazione di persone che hanno le stesse responsabilità, esercitano gli stessi poteri e possono rispondere degli impegni che assumono nel corso degli incontri. Il Primo ministro italiano, anche quando rimane al potere per periodi relativamente lunghi, governa coalizioni eterogenee, è costretto a patteggiare continuamente con i suoi riottosi alleati e deve sottoporre al giudizio del Parlamento decisioni che altrove spettano al capo dell’esecutivo. Se vuole essere efficace un direttorio deve essere omogeneo, e preferisce quindi fare a meno dell’Italia.