Franco Giubilei, La Stampa 24/11/2007, 24 novembre 2007
Lo sciopero del tifo degli ultras, in apparenza compatti nella protesta, non nasconde lo smottamento che interessa, ormai da anni, le tifoserie organizzate di tutta Italia
Lo sciopero del tifo degli ultras, in apparenza compatti nella protesta, non nasconde lo smottamento che interessa, ormai da anni, le tifoserie organizzate di tutta Italia. Gruppi storici che si sciolgono come la Fossa dei Leoni, buttata fuori con le cattive dalla Sud di Milano nel 2005 dopo una faida interna alla curva, o gruppi più piccoli come gli Ultras Ancona, che ieri annunciavano il loro addio: «La quasi totalità dei componenti è diffidata e noi ci riconosciamo sempre meno in questo schifo di calcio». E poi c’è l’isolamento rispetto ai tifosi più quieti, reso esplicito a Bergamo dopo il plexiglas sfondato prima della famosa Atalanta-Milan con gli attacchi piovuti sulla curva Nord dalla città intera. O ancora le critiche comparse nei post pubblicati sul sito del Progetto Ultrà di Bologna, l’associazione impegnata contro il razzismo negli stadi: «Finiamola con questa retorica della repressione». «Se si è arrivati a questo stato di cose la colpa è proprio di noi ultrà che abbiamo esagerato ammazzandoci negli stadi», scrive Donato. Segno che anche la gente di curva che non appartiene ai manipoli dei duri e puri sta cominciando a stufarsi del meccanismo repressione-reazione, della guerriglia continua. Alla base della crisi ci sono anche motivi tutti interni, come le liti fra gruppi per conquistare l’egemonia sulla curva (a Milano, Venezia, Roma in passato), questioni generazionali quando i nuovi capi, più giovani, non sono all’altezza dei vecchi per capacità di controllo e carisma, e poi ci sono i colpi inferti dai Daspo, dagli arresti e dalle misure restrittive su trasferte e striscioni. Da Milano, curva Sud del Milan, una conferma del clima di squaglio arriva da un capo ultras: «La gente è scazzata, soprattutto per il decreto-Amato: se prima uno veniva allo stadio per divertirsi, ora invece non ci trova più bandiere, striscioni, tamburi... Allo stadio è una tristezza». Se lo scopo dei decreti era piegare gli ultras, l’obiettivo è in parte raggiunto: «Ci stanno facendo scoraggiare: i ragazzi dovevano andare in trasferta a Cagliari, col volo già pagato, e ora non possono più partire». Le conseguenze si fanno sentire anche per le partitissime: «I biglietti per Milan-Juve sono in vendita da venerdì scorso, e adesso ce ne sono ancora, quando qualche anno fa li finivano in tre giorni». I più determinati però non vogliono mollare, e da Genova un ultrà rossoblù della gradinata Nord rilancia: «Lo zoccolo duro degli ultras resiste. Siamo più uniti di prima e sciopereremo per tutta la partita. Certo siamo arrabbiati, ma non è vero che ci sia distacco fra giovani e vecchi, e non è vero che da noi si faccia politica. E poi è solo punitivo vietare la trasferta per Torino-Genoa: siamo gemellati». Zoccolo duro da un lato e tifosi più tranquilli, o semplici cittadini, un’altra frattura sancita da molti messaggi apparsi su Internet al sito del Progetto ultrà, che ha aperto un forum. Certo, se il fenomeno ultras presenta una serie di crepe, le cause sono diverse: «Certa gente non la fermi, non ti ascolta più, mentre magari i capi dei gruppi fatti fuori dalle diffide o diventati troppo vecchi erano capaci di impedire i casini col loro carisma. Ora sono tutti cani sciolti», spiega il milanista. Al Progetto ultrà tirano le somme: «Il declino del fenomeno-ultras c’è, non data da oggi e riguarda l’aspetto sociale delle curve: se vengono impediti striscioni e coreografie, il lato creativo del tifo, si finisce per incitare l’hooliganismo vero e proprio. Rispetto ai macro-gruppi di una volta ora c’è una frammentazione che impedisce anche di controllare i soggetti potenzialmente pericolosi. Se poi si chiudono le curve, i ragazzi trovano altro da fare, perché perdono la loro missione di tifosi, e si allontanano dai gruppi». Stampa Articolo