Stefano Lepri, La Stampa 24/11/2007, 24 novembre 2007
STEFANO LEPRI
ROMA
«Dopo tre anni di contratto a termine i lavoratori devono avere il posto fisso» dicono le sinistre. «Un autogol - ribattono i moderati - perché vietando ogni proroga del contratto a termine i datori di lavoro manderanno via il primo precario e ne assumeranno un altro». Questo, in breve, è il dissidio sui contratti a termine; il più grave tra quelli che il governo fatica a risolvere. La Confindustria insiste che il voto in commissione Lavoro della Camera qui si discosta in modo inaccettabile dal protocollo sul welfare del 23 luglio. Si è introdotto un termine massimo di 8 mesi alla proroga che il lavoratore, scaduti i tre anni, può contrattare con l’assistenza di un rappresentante sindacale. Nel testo sottoscritto da sindacati e Confindustria alla proroga non erano fissati limiti di tempo.
I liberaldemocratici di Lamberto Dini e i radicali vogliono tornare alla proroga senza precisi limiti; lo preferirebbe l’Idv di Antonio Di Pietro, e forse anche l’Udeur. Per Pdci, Prc, Sd, al contrario, il limite a 8 mesi è una conquista minima. Secondo dati del ministero del Lavoro, un quarto dei lavoratori a tempo determinato resta ancora precario dopo 3 anni.
Meno devastante è il dissenso su due tipologie di lavoro flessibile che hanno portata più ristretta. Il lavoro a chiamata, o per dirla all’inglese job on call, riguarda 30.000 persone, di cui 5 mila concentrate in Veneto. Qui si è votato quello che agli occhi delle sinistre appare un peggioramento: invece che abolito, il lavoro a chiamata sarà permesso nel turismo e nello spettacolo. La Confcommercio chiede di allargare la deroga al commercio. Nel testo della commissione è abolito del tutto il lavoro in affitto, o staff leasing, che riguarda un numero di persone ancor più piccolo, circa tremila. Per l’ala sinistra della maggioranza è una buona idea. Ma oltre agli imprenditori, qui sono Cisl e Uil a reagire con durezza: secondo loro Rifondazione e compagni non hanno capito nulla, perché lo staff leasing rappresenta una tutela, rispetto a «cooperative finte» e «imprese fantasma fatte apposta per esternalizzare i lavori». La Cgil tace.
Davvero dirompente in potenza, ma di fatto rinviato, è il problema dei lavori «usuranti». Si tratta di stabilire quali lavoratori potranno continuare a ottenere la pensione di anzianità a 57 anni, invece di incappare nei successivi rialzi dei requisiti. Il provvedimento mette un tetto di fondi disponibili che permetterà di concedere il pensionamento a 57 anni a circa cinquemila persone; resta aperto il problema di come «centrare» la cifra esatta. Il rischio è di usare criteri troppo larghi; si darebbe il via a una serie di ricorsi, con sfondamento dei tetti di spesa. Questo paventa il centro-destra; ma lo paventava già prima della modifica in commissione Lavoro. Giuliano Cazzola, esperto di pensioni vicino alla Cdl, parla di 650.000 lavoratori, un disastro per il bilancio dell’Inps. In proporzioni minori, un timore di eccesso di spesa ce l’ha anche Dini.
La soluzione per ora scritta nel testo è un rinvio: delega al governo. La commissione di Montecitorio ha solo cancellato il riferimento alla legge sul lavoro notturno, che individua una soglia minima di 80 notti l’anno. Un esperto di parte sindacale spiega: con 80 notti si rischiava di non ammettere nessuno, se si scende verso le 50 rischiano di entrare legioni. Deve essere riconvocata una commissione con le parti sociali al ministero del Lavoro. Un po’ di tempo c’è, perché i primi pensionamenti scatterebbero a fine 2008.
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