Antonio Macaluso, Corriere della Sera 24/11/2007, 24 novembre 2007
ROMA – Massimo D’Alema è appena tornato dal Libano. A Beirut ha lasciato una situazione molto tesa, qui a Roma lo scontro politico è per fortuna solo verbale ma non per questo meno incandescente
ROMA – Massimo D’Alema è appena tornato dal Libano. A Beirut ha lasciato una situazione molto tesa, qui a Roma lo scontro politico è per fortuna solo verbale ma non per questo meno incandescente. Ma è più facile parlare con Silvio Berlusconi o con il generale Michel Aoun? «Diciamo che il generale è una persona spigolosa ma molto chiara». Ma di Berlusconi si fida? «Sono 7 anni che non parlo con Berlusconi. Ma quello che sta facendo era prevedibile. Ha fatto esplodere la crisi che lui stesso ha creato. Quando ha capito di essere isolato, ha deciso di dialogare. Era chiaro che passata la Finanziaria si sarebbe aperta la stagione delle riforme». L’intesa va fatta con lui? «C’è una crisi di sistema e la chiave per uscirne è la formula tedesca. La riforma della legge elettorale va fatta, c’è un’ampia maggioranza che la vuole, persino senza Berlusconi. Ma è importante che Berlusconi ci sia, il dialogo sulle riforme va portato avanti con tutti. Naturalmente bisogna che Berlusconi si liberi davvero dalla smania di andare subito alle elezioni». Ma è la fine del bipolarismo? «Non si può buttare via il bambino con l’acqua sporca. Il bambino è l’alternanza e la stabilità. Il dialogo deve essere incardinato in un processo che comprenda anche modifiche di tipo costituzionale e regolamentare, oltre a una revisione della legge sul finanziamento dei partiti. Dobbiamo disegnare un impianto coerente che riattivi il sistema decisionale. Da questo punto di vista, penso ad un passaggio importante come la sfiducia costruttiva, che significa il formarsi di una coalizione di governo all’indomani del voto intorno alla forza politica che ha vinto le elezioni. E, una volta eletto il capo del governo in Parlamento sulla base del risultato elettorale, il meccanismo assicura stabilità. Ma occorre anche la riforma dei regolamenti parlamentari in modo da assicurare la formazione dei gruppi sulla base delle liste che si sono presentate alle elezioni. I partiti non possono nascere e morire in Parlamento ». Vanno rafforzati i poteri del primo ministro? «Certamente. Compresa la nomina e la revoca dei ministri». Torniamo alla legge elettorale: lei vuole il sistema tedesco puro? «Io non sono affatto contrario a proposte come alcune di quelle contenute nel progetto Vassallo, che hanno il merito di incoraggiare le aggregazioni, favorendo le forze che hanno maggiore consenso. L’importante sarà trovare un giusto compromesso politico in Parlamento». Per fare la riforma occorre tempo «E noi abbiamo tutto il tempo, la legislatura scade nel 2011». Però bisogna arrivarci. E il prossimo ostacolo è il welfare, con Lamberto Dini molto rigido «Dini fa obiezioni di merito, che bisogna prendere in considerazione. Anche a me non sembra giusto scostarsi troppo da un accordo che abbiamo sottoscritto e che è stato votato da oltre 5 milioni di lavoratori ». Ipotizziamo che un inciampo ci sia: si deve andare a votare o passare per un governo istituzionale? «Ma che cosa vuol dire istituzionale? Tutti i governi sono istituzionali. Guardi, si tratta di un gioco di società, dannoso per il Paese. Un gioco che piace ai giornali. Ma i giornali devono raccontare i fatti». E fare le domande... «Sì, ma poi raccontare i fatti. Io non vedo le condizioni politiche perché il governo cada. Naturalmente, il governo può inciampare avendo una maggioranza ristretta in Senato, ma questo lo sappiamo dall’inizio. Altra cosa è la presenza di un progetto politico alternativo. Questo disegno non lo vedo. Con una palese crisi del centrodestra e una difficoltà del centrosinistra a garantire una piena coerenza di visione al suo interno, andare al voto con una legge basata sulla coalizione sarebbe un suicidio collettivo. E non vedo neanche in campo il disegno di un altro governo. Non vedo altre leadership pronte. Sono discorsi campati in aria che producono danni al Paese». Il fatto che governo e maggioranza tornino alla carica con il conflitto di interessi rischia di far naufragare il dialogo sulle riforme? «Il tema è all’ordine del giorno e va affrontato. Anche qui, quello che viene alla luce era del tutto ovvio. E’ assurdo che il proprietario della principale tv privata possa impossessarsi per via politica del suo concorrente pubblico. Detto questo, sono del parere che le fughe di notizie, le intercettazioni, fanno parte dell’inciviltà del Paese». Lei è dunque contrario alla pubblicazione «Sì, sono contrario. E faccio notare che il giornale che più pubblica intercettazioni coperte da segreto è quello di proprietà della famiglia Berlusconi. Ricordo che anche noi siamo stati oggetto di campagne demolitorie. Il gruppo dirigente del mio partito ha subito una campagna scandalistica sulla base di briciole, di brandelli di conversazioni telefoniche ritagliate. So di cosa si tratta. Ma, al di là delle intercettazioni, bisogna risolvere il problema italiano del sistema radiotelevisivo e del conflitto di interessi». Però è grazie alle telefonate che si torna a parlare di conflitto di interessi, con tanto di intervento del capo dello Stato «Il Presidente è intervenuto giustamente ma il governo aveva già avanzato da tempo le sue proposte. Mi auguro che il Parlamento le esamini e che vengano approvate con il massimo consenso». Ma il fatto che queste intercettazioni escano proprio ora è casuale o lascia qualche dubbio? «Intanto partiamo dal fatto che c’è una indagine della magistratura e che sta indagando anche l’Authority. E questo al di là della sgradevolezza delle intercettazioni. Io sono tra quelli che pensano che debba essere la politica e non la magistratura a dover risolvere i problemi ma se la politica non agisce, ecco che poi arrivano i magistrati ». Ma intanto, c’è tensione anche nel Pd. Ritiene necessario un congresso? «Io non partecipo a queste discussioni, anche perché vedo con preoccupazione il rischio che le posizioni vengano strumentalizzate. Non credo che chi dica oggi che ci vuole un congresso sia contro Veltroni o viceversa». Però siete ancora a metà del guado: non si capisce bene come funzionerà questo partito «Stiamo discutendo. D’altra parte, il compito che abbiamo di fronte è costruire una forma nuova: un partito che tenga insieme maggiori aperture e occasioni di protagonismo per i cittadini-elettori con strumenti della militanza, con l’impegno personale. Trovo sbagliata la contrapposizione vecchio-nuovo in base alla quale il congresso è vecchio e le primarie sono nuove. Anche perché per fare le primarie ci vogliono i gazebo e qualcuno che li monti. Senza questa dimensione di partecipazione, non c’è passione, non c’è formazione di classe dirigente e anche l’apertura alla società diventa precaria. Non vedo Veltroni assediato dai notabili che vogliono e pretendono, come viene scritto. C’è una discussione interessante su come costruire un partito che spinga il maggior numero di persone a partecipare stabilmente e democraticamente». Secondo Lei c’è spazio per la cosiddetta cosa bianca? Berlusconi sostiene che il centro è lui «Ritengo ragionevole pensare che tra Forza Italia e Partito Democratico ci sia lo spazio per una forza moderata di impronta cattolica, ma non nei termini antichi di ago della bilancia. Difficilmente Berlusconi può connotare il suo partito come una forza di centro». E non pensa che una forza di questo tipo potrebbe togliere voti anche al PD? «Il Paese si è bipolarizzato e i cittadini tendono a ritrovarsi sul centrodestra o sul centrosinistra, mentre l’autodefinizione di centro tende a ridursi. Quindi credo che il sistema andrà a configurarsi come una competizione tra due grandi mezze ali. In questo quadro sarebbe naturale una confluenza tra Forza Italia e Alleanza nazionale. Poi ci sarebbero la Lega, una sinistra radicale e una forza di centro». Da Casini a Tabacci, a Mastella si guarda a Montezemolo «Non saprei dire. Noto solo che c’è una sorta di bulimia che fagocita personaggi con grande velocità. Penso a Grillo, che alcuni giornali vedevano come il nuovo capo del governo e dopo due settimane è passato di moda. Con questo non voglio certo mettere Montezemolo sullo stesso piano di Grillo. Montezemolo è una personalità, può dare un contributo, ma non lo vedo come l’uomo della Provvidenza». Ma davvero pensa che a differenza del ”98 e della Bicamerale stavolta si riesca ad arrivare in porto con le riforme? «Questa volta il quadro è diverso da quello del 1998. Ci sono maggiori probabilità perché l’approccio è meno ambizioso e perché l’esperienza di questo decennio ha dimostrato che l’assenza di alcune fondamentali riforme rende difficile governare. Insomma, c’è la consapevolezza comune che è interesse di tutti fare queste riforme». Lei, come presidente della Bicamerale, si fidò di Berlusconi e finì male. A Veltroni andrà meglio? «Veltroni è un uomo prudente. E conosce Berlusconi meglio di quanto lo conosca io».