Davide Frattini, Corriere della Sera 22/11/2007, pagina 31., 22 novembre 2007
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
GERUSALEMME – Gli israeliani che ne sgranocchiano uno dopo l’altro non immaginano di aiutare il nemico numero uno. Pistacchi. Stanno causando una mini-crisi diplomatica tra lo Stato ebraico e gli Stati Uniti. Che hanno chiesto di fermare le importazioni dei semi dalla Turchia, perché il prodotto arriva dai campi iraniani.
Mark Keenum, viceministro dell’Agricoltura, ha protestato con l’israeliano Shalom Simhon, durante il vertice della Fao a Roma. « assurdo che li compriate da chi minaccia di annientarvi», avrebbe detto al ministro laburista. Washington vuole bloccare le importazioni del prodotto anche in Europa, come parte delle sanzioni economiche contro il programma nucleare di Teheran. « chiaro che non abbiamo scelto di far entrare dollari nelle case iraniane», commenta Zvi Alon, un funzionario israeliano. E ammette: «Non sappiamo come distinguere i semi». Lo Stato ebraico importa pistacchi per 100 milioni di shekel (circa 26 milioni di euro) all’anno, soprattutto da Ankara. Dopo la richiesta americana, Simhon è pronto a usare le tecnologie avanzate per fermare l’invasione: test chimici potrebbero determinare le caratteristiche chimiche del suolo e il clima, rivelando dove sono stati coltivati.
La maggior parte delle terre in Iran è destinata ai pistacchi, soprattutto nella provincia di Kerman, nel sudest del Paese. Assieme al petrolio e ai tappeti, garantiscono l’afflusso di contanti a Teheran, che rifornisce oltre la metà del mercato mondiale. L’ex presidente Ali Akbar Hashemi Rafsanjani è considerato il magnate, la sua famiglia di contadini ora controlla il mercato (uno dei cugini è responsabile del business).
La sfida tra gli Stati Uniti e l’Iran, non solo militare, passa anche da questi campi. La California è il secondo produttore mondiale e gli agricoltori premono sulla Casa Bianca perché imponga le sanzioni. A Teheran non temono la concorrenza: «Gli americani sono i rivali principali per le esportazioni, ma i nostri pistacchi offrono una qualità superiore». La produzione è cresciuta del 15 per cento, tra il marzo del 2006 e il marzo del 2007: 300 mila tonnellate di cui 170 mila sono state vendute in 78 Paesi. Valore: 1 mi-liardo di dollari (oltre 673 milioni di euro), arrivati dal-l’estero nelle case del regime. Per proteggere i piccoli semi – e i grandi introiti ”, gli iraniani sono pronti a collaborare con i controllori internazionali, molto più apertamente che con gli ispettori dell’Agenzia per l’energia atomica delle Nazioni Unite. Quando, una decina di anni fa, l’Europa ha messo al bando per un periodo i pistacchi persiani dopo aver scoperto un carico contaminato da una tossina cancerogena, Teheran ha dato libero accesso ai suoi magazzini per dimostrare che si trattava di un caso isolato.
E le teorie della cospirazione sono germogliate: «Gli americani fanno pressioni sull’Unione Europea, perché vogliono rubarci il primato mondiale», aveva commentato Mohammed Shams-Fard, presidente degli esportatori di noci e frutta secca.
Davide Frattini