Luca Piana, Espresso 30/11/2007, 30 novembre 2007
Quando ha accettato di comprare Banca Antonveneta per 9 miliardi di euro Giuseppe Mussari, presidente del Monte dei Paschi di Siena, ha messo il principale dei propri azionisti di fronte a un’alternativa micidiale: sborsare sull’unghia fino a 2,6 miliardi o perdere il controllo su quella che diventerà la terza banca italiana
Quando ha accettato di comprare Banca Antonveneta per 9 miliardi di euro Giuseppe Mussari, presidente del Monte dei Paschi di Siena, ha messo il principale dei propri azionisti di fronte a un’alternativa micidiale: sborsare sull’unghia fino a 2,6 miliardi o perdere il controllo su quella che diventerà la terza banca italiana. Di fronte a una prospettiva del genere molti avrebbero tremato. Gabriello Mancini, presidente della Fondazione cittadina che controlla il 58 per cento del Monte Paschi (e il 49 per cento delle azioni ordinarie), non ha invece battuto ciglio. Ha raccontato di aver saputo del blitz a cose fatte e di averlo accolto con entusiasmo. E ha dato il via libera: la Fondazione farà la sua parte nell’aumento di capitale da 4,5 miliardi deciso da Mussari. Mancini e la Fondazione, in effetti, si sono ritrovati di fronte a una scelta obbligata, alla quale tuttavia manca ancora un timbro formale. Se decidessero di non sottoscrivere l’aumento di capitale, perderebbero il controllo della banca. Regalando così - senza nemmeno incassare un premio di maggioranza - quote di potere crescenti a vecchi e nuovi soci privati come il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone o il gruppo assicurativo francese Axa. O, magari, a possibili new entry come la famiglia Toti, anch’essa ramo costruzioni, o lo stesso Banco Santander, il venditore di Antonveneta che, in Italia, si è mostrato interessato ad investimenti finanziari (è presente in Mediobanca). Le cose non andrebbero meglio se la Fondazione scegliesse di cedere una quota consistente di azioni per reperire risorse fresche. Se lo facesse, oltre a pagare le imposte sul capital gain, affosserebbe ulteriormente il titolo in Borsa, già duramente penalizzato dal prezzo pagato per Antonveneta, considerato troppo elevato dagli analisti. Per limitare l’esborso restano così poche chance, tutte di poco conto. La Fondazione sta studiando la possibilità di non sottoscrivere l’aumento per le azioni privilegiate, risparmiando circa 400 milioni. E magari di cedere una piccola porzione degli stessi titoli. Per la Fondazione la conquista di Antonveneta presenta così rischi notevoli. Le Fondazioni di origine bancaria erano nate negli anni Novanta con lo scopo di permettere la privatizzazione delle banche controllate, uscendo dalla gestione e diversificando il patrimonio il più possibile, in modo da non rischiare tutto su un solo investimento. Il loro fine avrebbe dovuto essere, in effetti, mettere al riparo da rischi le erogazioni assicurate ogni anno alla comunità sotto forma di contributi di ogni tipo, dall’assistenza agli anziani alla tutela del patrimonio artistico. Alla Fondazione senese, che di recente ha acquistato una piccola quota in Mediobanca, la diversificazione ha fatto meno strada che altrove perché i partiti - in primo luogo Ds e Margherita - che hanno monopolizzato i vertici non hanno mai voluto perdere il controllo della banca. Oggi la partecipazione nel Monte assorbe il 36 per cento circa del patrimonio dell’ente, stimato in 5,2 miliardi. Se investirà 2 miliardi nell’aumento, la Fondazione concentrerà nell’istituto il 75 per cento del patrimonio, una quota enorme, il cui rendimento sarà affidato alla capacità di Mussari e del management di far fruttare al meglio il nuovo gruppo. A Siena, però, quasi nessuno ha criticato l’operazione Antonveneta. La spiegazione sta nel fatto che i poteri locali hanno sempre considerato il Monte un affare esclusivo della città. Da anni la carica di sindaco va a un dirigente della banca; tocca al sindaco nominare gran parte dei vertici della Fondazione e a questa il consiglio della banca. Sulle poltrone più importanti delle due istituzioni siedono così esponenti della politica che, se assicurano il legame con il territorio, hanno anche l’occasione di curare al meglio la rispettiva base d’interessi. Francesco Gaetano Caltagirone - Foto U.Pizzi Metà del consiglio, poi, è nominato in accordo con i privati, fra i quali spiccano la Coop fiorentina e soprattutto Caltagirone. Quest’ultimo con il Monte ha avviato una serie di attività immobiliari, aggiudicandosi la gestione di un fondo da 630 milioni sottoscritto dall’Inpdap, l’istituto previdenziale dei dipendenti pubblici guidato da Marco Staderini (Udc). Secondo l’economista Giulio Sapelli, che nel 2000 accettò di presiedere la Fondazione per riscrivere lo statuto e allentare almeno in parte i legami tra politica e banca, l’aumento di capitale che l’ente sottoscriverà rimarca così una peculiarità senese: "Si ribadisce che il Monte Paschi è di proprietà comunale e che, nei fatti, le leggi sulle Fondazioni non vengono rispettate". Sapelli, che arrivò a Siena con il sostegno del ministro del Tesoro Vincenzo Visco, non ritiene che il governo avrà oggi la forza o l’intenzione di porre troppi vincoli: "La situazione normativa, fra sentenze giudiziarie e interpretazioni, si è ingarbugliata e i margini d’intervento sono diventati più sottili". Per quel che riguarda il Monte, in effetti, l’affare Antonveneta presenta allo stesso tempo rischi ma anche opportunità. Le perplessità maggiori riguardano i 9 miliardi pattuiti con il Santander. Gli spagnoli avevano acquistato la banca padovana poche settimane prima per 6,6 miliardi, nell’ambito dello smembramento del gruppo olandese Abn Amro. La rivendono ora a un valore molto più elevato e per di più senza Interbanca, la filiale destinata al finanziamento delle imprese. Il prezzo sarebbe esploso, si dice, per la presenza di altri candidati come Bnp Paribas e Crédit Agricole. ’L’espresso’ ha trovato conferme - pur ufficiose - solo dell’interesse di Bnp, che aveva valutato Antonveneta circa 7,5 miliardi (Interbanca compresa), senza giungere a una vera e propria offerta. Se i passaggi che hanno spinto il prezzo all’insù restano dunque coperti da segreto, il valore finale rivela l’importanza della preda per le strategie di Mussari. Con Antonveneta il numero uno della banca vuole assicurare al Monte le dimensioni necessarie a non restare stritolato fra i due nuovi colossi del mercato italiano, Intesa e Unicredit. E una base più ampia di sportelli - che salgono del 50 per cento a circa 3 mila - negli anni si rivelerà necessaria per aumentare i guadagni che verranno anche dalle nuove società comuni avviate con partner di peso, l’Axa in campo assicurativo e uno da scegliere nel risparmio gestito. Espandersi, per Mussari e il Monte, è essenziale per restare in corsa. Se poi lo si fa con i soldi della silenziosa Fondazione, tanto meglio.