Michela Tamburrino, La Stampa 23/11/2007, 23 novembre 2007
Non chiedete a una donna se un vestito può cambiarle la vita. Risponderà di sì, se è una donna che non mente
Non chiedete a una donna se un vestito può cambiarle la vita. Risponderà di sì, se è una donna che non mente. L’abito candido di Marilyn Monroe che si gonfia sospinto dall’aria venduto all’asta per una cifra da capogiro o il vestito color peccato che Gilda ostentava mentre si sfilava un guanto nello strip non strip più sexy del cinema mondiale, lo smoking di Marlene Dietrich in pendant perenne con la sigaretta appesa al labbro tinto di rosso fuoco nell’«Angelo azzurro». Quello che invece non è di pubblico dominio è che esistono vestiti maschili che hanno scioccato il mondo al pari di quelli femminili. Se ne occupa il serio Indipendent in virtù di una esposizione che si terrà a marzo prossimo alla Fiera dell’Associazione britannica di mercanti d’antichità a Londra. Tra i pezzi forti, la replica del vestito in flanella indossato dall’allora primo ministro Winston Churchill per tutto il periodo della Seconda Guerra Mondiale, realizzato dalle due aziende che crearono l’originale. Era il 1940 e la foto di Churchill, sigaro cubano in bocca, flanella impeccabile addosso, avrebbe poi fatto il giro del mondo. A comporre la bella immagine contribuiva la bombetta in testa, il papillon a pois al collo e un ineffabile mitra Thompson al braccio. In quel modo abbigliato, il premier voleva far capire ai nazisti che lo stile inglese della classe media avrebbe sempre vinto su tutto. Un altro vestito parlante, emblema di un’epoca e vessillo della rivolta, è la giacca lunga di Mao Tse-tung che poi era quella dei leader comunisti: colletto inamidato, capospalla abbottonato fino al collo, due coppie di tasche simmetriche laterali. Prima della Rivoluzione era la divisa dei servi civili, dunque scelta dai capi del nuovo partito. In Cina fu indossata fino agli anni Novanta ed è ancora un capo d’attualità nella Corea del Nord. Saltando da un’icona sacra a una profana, ecco quel bel fusto di Richard Gere che in «American Gigolo» regala l’immagine del narcisismo anni Ottanta; lui che stende sul letto una selezione di abiti Armani e poi abbina giacca, camicia, cravatta. Una divisa usata per determinare uno stile, per costruire l’allure di un personaggio fu il vestito bianco di Tom Wolfe, il padre del new jornalism, adottato nel 1962 all’indomani del suo arrivo nella mitica New York. E che dire delle divise dei Beatles? Negli anni Sessanta lo stile giacca scura senza colletto, camicia bianca e cravatta lunga e sottile divenne tanto popolare da portare i fan impazziti del gruppo a ordinare migliaia di copie assolutamente fedeli agli originali che avevano fatto il giro del mondo con i loro possessori, anti strappo e anti delirio, buoni per la Regina Elisabetta e per il concerto nello stadio. Tutto questo mandava in visibilio la vecchia Europa perché dall’altra parte dell’Oceano spopolava lo stile inappuntabile e lievemente inamidato di Cary Grant di «Intrigo internazionale». Difficile da imitare ma emblema di uno dei personaggi più importanti della cinematografia di tutti i tempi, il vestito di Charlie Chaplin, giacca stretta, pantaloni larghi, il piccolo cappello e le scarpe enormi che ha influenzato una certa moda newyorkese snob degli anni Ottanta (vedi Diane Keaton). Ancora oggi il blazer Shrunken è uno dei simboli chiave della nuova collezione donna. Anche il cappotto nero di Malcolm X si è ritagliato il suo posto nella storia della moda contemporanea con continue citazioni. Per le cronache, il vestito di Chaplin è stato venduto all’asta per 3.200 sterline nel 2005. Chiudere con una donna è di rigore, come lo smoking che Marlene Dietrich indossava con una grazia infinita e che ancora oggi è un cult riproposto nelle collezioni Armani. Stampa Articolo