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 2007  novembre 23 Venerdì calendario

C’è il capo dell’Esercito islamico in Iraq tra i nuovi alleati reclutati dagli americani per stroncare la violenza a Baghdad

C’è il capo dell’Esercito islamico in Iraq tra i nuovi alleati reclutati dagli americani per stroncare la violenza a Baghdad. A rivelarlo è il quotidiano pan-arabo «al Hayat» con una foto datata 15 agosto nella quale l’ex leader della formazione terroristica, che nell’agosto del 2004 rivendicò il rapimento e l’uccisione del giornalista italiano Enzo Baldoni, appare al fianco del comandante della Forze Usa in Iraq, generale David Petraeus e al vice premier iracheno Bahram Saleh. L’incontro è formale, spiega l’intervista a corredo (come si evince anche dalla bandierina irachena sul tavolo usata solo negli incontri ufficiali del governo di Baghdad) e rientra negli sforzi Usa di allacciare alleanze trasversali con i gruppi tribali in funzione anti-Qaedista, come è già accaduto nella provincia di Anbar. Ma Petraeus sapeva chi era veramente quell’uomo?
 Abu Abed, per l’anagrafe Saad Erebi al Ubaidy, oggi capo della «Rinascita dei cavalieri della Mesopotamia», un gruppo di volontari che si è alleato con le forze Usa per sconfiggere al Qaeda a Baghdad. Abu Abed, 35 anni, ha in realtà un curriculum di mujaheddin di lungo corso: «si arruola da giovane nell’Esercito baathista e dopo la caduta del regime di Saddam Hussein diventa un miliziano a capo dell’Esercito islamico, formazione di orientamento nazionalista», scrive «al Hayat». Ma pur rientrando nella galassia dei gruppi di resistenza internadopo l’invasione americana, ha sempre mantenuto le distanze da al Qaeda sia da un punto di vista ideologico che operativo.
Il gruppo è stato tuttavia uno dei più feroci e si è macchiato di gravi delitti: oltre a Baldoni, il cui corpo non è mai stato restituito, quattro contractor americani uccisi a Falluja, due giornalisti francesi e un cittadino iraniano. Ma dopo anni di resistenza armata Abu Abed e altri leader hanno deciso di cambiare campo perché convinti che «al-Qaeda, dove confluiscono molti radicali salafiti, sia il vero grande nemico».
L’alleanza «è stata imposta dai fatti - spiega l’ex miliziano ad al Hayat - al Qaeda è divenuto il principale nemico degli iracheni». Percepiti i segni di fermento tra le fila avversarie, i militari americani hanno convocato all’inizio dell’anno gran parte dei capì tribù in un summit ad Alambar dopo il quale è stata ridisegnata completamente la mappa degli equilibri in alcune aree del Paese, tra cui Baghdad e Samarra. «Oggi - spiega Abu Ader - siamo impegnati con gli Usa in accordi di sicurezza validi per tre mesi rinnovabili».
Molti dei combattenti della «Rinascita dei cavalieri della Mesopotamia» (circa 600 in tutto), «provengono in gran parte dall’Esercito islamico e controllano molti quartieri sunniti della capitale tra cui al-Amiriya, al-Khadra, al-Jami e al-Adhamiya». I suoi «cavalieri» ricevono dalle forze americane uno stipendio mensile di circa 360 dollari, mentre altri 300 combattenti sarebbero stati regolarizzati come agenti di polizia dal commissariato del quartiere di al Amriyah dopo avere superato l’esame di ammissione e i testi medici previsti dal ministero degli Interni. «Ma le forze Usa - prosegue l’ex pretoriano di Saddam - non si limitano a dare soldi, ci offrono sostegno logistico, armi moderne e appoggio militare durante gli scontri con i qaedisti». E i risultati si vedono, «perché 70 famiglie sciite hanno potuto oggi tornare nel quartiere a maggioranza sunnita di al-Amiriya».
Secondo fonti irachene tuttavia il cambio di campo di Abu Abed sarebbe stato dettato dalla paura di ritorsioni da parte di al-Qaeda dopo il voltafaccia dei gruppi nazionalisti. Resta da capire se Petraeus e i suoi generali sapevano con chi avevano a che fare al momento dell’incontro con Abu Abed che si presentò al generale come leader dei volontari di Amariyah. La vera identità dell’iracheno era stata svelata più volte su Internet, proprio dai suoi ex alleati. All’inizio di agosto, prima del patto con gli Usa, il sito Muslim.net, vicino agli ambienti radicali del fondamentalismo islamico, criticava apertamente il voltafaccia del comandante Abu Abed chiamandolo «agente» al servizio degli americani e di Israele: «è questo il valoroso capo dell’Esercito islamico che doveva difendere l’Iraq dagli invasori?».

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