Varie, 22 novembre 2007
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Barreto PauloVitor
• Rio de Janeiro (Brasile) 12 luglio 1985. Calciatore. Del Bari, ha giocato anche con Treviso e Udinese • «[...] Quella di Paulo Vitor Barreto De Souza è una strana storia, per venire dal Brasile. Perché lui non sognava, come tutti, di diventare calciatore. Ma il destino aveva deciso per lui. Poi, quando lo è diventato, un colpo di testa, in tutti i sensi, ha rischiato di spezzare la sua carriera e la sua schiena. ”Ma Dio m’ha regalato una seconda vita”. [...] Nei piedi, il dono di tanti brasiliani, che lui voleva sfruttare solo per divertirsi con gli amici. Gli alti bigiavano la scuola, lui gli allenamenti. [...] ”Da piccolo non davo tanta importanza al pallone. Piangevo, anche, per non andare ad allenarmi. Sono nato a Rio, nel quartiere ”Villa Alianza’: ancora qualche passo e stavo nella favela sopra Copacabana. Ho una sorella minore di un anno e un fratello che all’epoca era appena nato. Mia mamma vedeva nel pallone una via d’uscita dalla povertà e dalla violenza. Un giocatore della Fluminense, Marcao, mi vide su un campetto e mi portò a fare un provino nel Bangu, serie B brasiliana. Mi presero ma dopo un po’ cominciarono a chiedermi soldi, tipo 5 euro a settimana, come fanno tante squadre con la scusa della scuola calcio. Mia mamma me li dava, io li spendevo con gli amici, saltavo le sedute e aspettavo l’ora di tornare a casa. Un giorno ci ho trovato l’allenatore in salone. Da lì ho dovuto fare sul serio. Sono passato al Campo Grande, per 4 mesi. Poi Roberto Favero mi ha portato a Treviso: avevo 15 anni. All’inizio è stata durissima: solo, senza conoscere la lingua: saudade e tutto il resto. Ma ho superato tutto, per amore dei miei e del pallone, che nel frattempo era cresciuto” [...] Chi non si ricorda di quel volo spaventoso dopo lo scontro con Anaclerio contro il Bari? [...] ”Era la prima volta in 5 anni che saltavo di testa. Credevo di finire su una sedia a rotelle, se non peggio. Dio mi ha dato l’opportunità di vivere un’altra volta. Lo ammetto, l’incidente mi ha lasciato addosso un po’ di paura. [...]”[...]» (Fabio Bianchi, ”La Gazzetta dello Sport” 18/8/2005).