Il Sole 24 Ore 21/11/2007, pag.5 Mario Margiocco, 21 novembre 2007
I capitali del Golfo fanno rotta sul Far East. Il Sole 24 Ore 21 novembre 2007. DUBAI. Il dollaro può scendere ancora ma rimane la prima moneta internazionale, non ha concorrenti seri, resta un porto sicuro (’safe heaven”)
I capitali del Golfo fanno rotta sul Far East. Il Sole 24 Ore 21 novembre 2007. DUBAI. Il dollaro può scendere ancora ma rimane la prima moneta internazionale, non ha concorrenti seri, resta un porto sicuro (’safe heaven”). Larry Summers, economista a Harvard, ex presidente di quella università ed ex ministro del Tesoro di Bill Clinton dopo Bob Rubin di cui era braccio destro, ha usato tutta la diplomazia di cui è capace, mitigando dal podio la propria naturale arroganza, e spiegato ieri a Dubai a un pubblico scettico che il mondo non cambia anche se il dollaro arriva per qualche tempo a 1,50 sull’euro. In parte notevole è vero. Anche perché il mondo è già cambiato, e poche aree lo dimostrano come il Golfo Persico. E non solo perché a giorni gli Emirati, e forse il Qatar, potrebbero rinunciare all’ancoraggio di dirham e riyal al dollaro e passare a un paniere di valute che meglio li tutela. Qui ci sono 200 miliardi di dollari freschi del 2006 da investire, quasi 1000 ne arriveranno con il petrolio nel 2007-2008, c’è al momento una disponibilità di denaro impiegato a breve di 3mila miliardi, pronto ad andare là dove porta il cuore. Cioè in Asia. E non negli Stati Uniti e in Europa. Solo i sauditi restano in parte affezionati all’investimento americano. I mercanti degli Emirati sono diversi. Lo indicano valutazioni autorevoli e attendibili, non facili da avere da queste parti, dove persino le stime sugli investimenti di un ente pubblico come l’Abu Dhabi Investment Authority oscillano tra i 250 e i 875 miliardi di dollari. Dal Kuwait ad Aden, per i ricchi non ci sono domande inopportune. Fiducia nel dollaro? Summers l’ha chiesta parlando ieri a Dubai City su invito del Dubai international financial center, braccio del Governo per i mercati, e dal Financial Times. Tema, la piazza finanziaria locale. «Il dollaro ha ancora qualche elemento di sopravvalutazione», ha detto Summers invitando a guardare alle partite correnti americane, cioè al rosso dei conti con l’estero. Stanno migliorando, miglioreranno, e bisogna osservare questo dato per capire il riaggiustamento americano e il cambio del dollaro. Data l’entità dello squilibrio, c’è però «ancora spazio per qualche ribasso». Ma non ci sono credibili alternative al dollaro come moneta internazionale. «Lo yuan cinese non è convertibile e ci vorrà molto tempo, lo yen giapponese rappresenta un’economia troppo piccola, l’euro non ha alle spalle una sufficiente unità politica né il desiderio univoco dell’Europa di un maggior ruolo internazionale». Quindi, conclude Summers, il dollaro resterà il «benchmark finanziario» ancora a lungo. Una recessione negli Stati Uniti comunque non è da escludere. «E sarei sorpreso se la crisi dei subprime non contagiasse in qualche modo anche il settore delle carte di credito, nei prossimi tre mesi». Le difficoltà degli ultimi due mesi hanno aumentato la probabilità che il nuovo presidente sia democratico e questo, dice il democratico Summers, aiuterà. Serve «fiducia, pragmatismo, responsabilità». Bisogna «stare lontani da dogmatismi e ideologie». Occorre da parte di tutti, ha aggiunto l’ex ministro del Tesoro Usa, «un maggior senso di azione collettiva». Coinvolgendo di più «i mercati emergenti nel processo di governance mondiale». Cioè rifondando l’Fmi, per incominciare. «La risposta del Golfo c’è già stata, e si chiama Asia», dice un profondo conoscitore degli investimenti dell’area, professionalmente da anni in posizione privilegiata per valutare le tendenze delle più ricche famiglie locali, e trasversalmente rispetto al sistema bancario. «Trent’anni fa veniva investito nell’area non più del 30%, a volte il 20% e il resto finiva soprattutto negli Stati Uniti, e un po’ in Europa. Questo dagli anni 70 ai 90. Con il nuovo secolo è cambiato tutto, e non solo come risposta al clima creato dagli attentati del settembre 2001. Qui sono mercanti, nel sangue. Visto che il greggio va sempre più a Oriente, vuol dire che là ci sono le prospettive migliori. I capitali del Golfo due anni fa erano divisi quasi in parti uguali tra Occidente, Golfo e Asia. Oggi - conclude - la parte dell’Asia si sta avvicinando al 40%, quella locale in proporzione non è aumentata, e l’Occidente, con il calo degli Stati Uniti soprattutto, è sceso al 30 per cento». I mercanti seguono sempre le rotte più battute. Mario Margiocco