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 2007  novembre 22 Giovedì calendario

BASSO

BASSO Umberto Treviso 10 luglio 1969. Imprenditore • «Sono giovani, garbate, molto perbene con le loro camicette fresche di bucato o le magliette sottogiacca appena appena alternative. Niente gioielli, piuttosto qualche vaga imperfezione nei lineamenti, del genere che fa, di una bella donna, una donna che non si confonde con le altre. Eva, Betty, Jane e le altre sono le segretarie del futuro: arrivano dal mondo virtuale ma abitano quello reale, le si può incontrare nei siti delle più grandi società e aziende italiane, sempre sorridenti e pronte a guidare l’utente tra i segreti di una bolletta, di una dichiarazione dei redditi, di un nuovo allacciamento alla rete telefonica. Discendenti di Lara Croft, di eroico non hanno nulla: lavorano anche quindici ore al giorno e per avere un contratto a tempo indeterminato se lo devono sudare. Le assistenti virtuali che popolano il web nascono nella campagna trevigiana, a Roncade sulle rive del Sile dove in un rustico ristrutturato ha trovato sede H Farm, incubatore per fabbriche di idee. Una di queste fabbriche si chiama ”H Care”, porta la firma di Umberto Basso, che l’ha fondata, la presiede e nel giro di due anni l’ha fatta volare da zero a quattro milioni di fatturato. L’idea: fornire alle aziende ”avatar” in grado di guidare gli utenti che si connettono al sito interattivo; al posto di anonime istruzioni, un volto gentile che ti chiede cosa cerchi e come puoi trovarlo nel modo più semplice può essere, indubbiamente, un’interessante alternativa. Intorno a questo progetto si sono messi al lavoro programmatori, ingegneri, grafici tridimensionali, tutti giovanissimi e tutti molto convinti. Ne è nato un book con decine di assistenti virtuali: la bionda, la mora, quella con i capelli raccolti e quella con il taglio all’ultima moda. Una sorta di agenzia interinale alla quale hanno cominciato a bussare in tanti: Telecom, Enel e Agenzia delle Entrate solo per citare i nomi più importanti in Italia fra una miriade di aziende meno conosciute ma ugualmente attratte, e molti sono anche i clienti in Francia, negli Stati Uniti, in Brasile. Le fanta assistenti trovano lavoro come segretarie, addette alle vendite, operatrici di call center, consulenti finanziarie, esperte di assistenza tecnica. [...] ”Possono avere contratti a tempo indeterminato, ma il precariato esiste anche nel mondo virtuale”, spiega ancora Umberto Basso, e intende dire che se a un’azienda l’assistente serve solo per il lancio di un prodotto, la utilizza per il tempo necessario e poi la restituisce subito a chi l’ha creata. Se invece l’impiego è, poniamo, all’Agenzia delle Entrate [...] è probabile che si tratti di un posto fisso: di utenti che chiedono di essere aiutati a compilare un modulo di versamento ce ne saranno sempre. Benché virtuale, la segretaria con posto fisso ha un contratto in esclusiva: con quella faccia, con quel sorriso, con quel nome può esserci solo lei; i più sofisticati tra i clienti, dicono a Roncade, cercano di ottenere un programma che consenta di poter dare anche un minimo di guardaroba alla signorina, perché vera o finta che sia una segretaria non deve dare nemmeno l’idea di essere stazzonata; e poi le stagioni cambiano, non si può sempre stare con la giacca o il golfino. Se il comportamento nel virtuale può dire qualcosa sull’uomo reale, ecco cosa cerca un datore di lavoro in un’assistente: ”Non scelgono mai la più bella, sono attratti da volti puliti ma non appariscenti. Capita che richiedano espressamente tratti mediterranei, quasi a rimarcare che un’azienda italiana deve esserlo in ogni suo aspetto. I capelli raccolti piacciono di più rispetto a quello sciolti, il look più semplice è sempre vincente”. E, c’è poco da fare, quello dell’assistente continua a essere interpretato come un mestiere al femminile: il povero Michael, messo lì nel book, non se lo fila nessuno. Esponenziale, secondo il suo creatore, è poi l’impiego delle avatar: a Roncade piovono richieste di privati che vogliono farle abitare nei loro computer, per aprire la propria posta e sentirsi dire buongiorno, farsi raccontare quanti messaggi sono arrivati e illudersi che, prima o poi, arrivi un programma che insegni loro a chiedere se, per caso, è gradito un caffè» (Anna Sandri, ”La Stampa” 22/11/2007).