La Stampa 22/11/2007, pag.16 FRANCESCO SISCI, 22 novembre 2007
L’eresia del Dalai ”Un buddha vivente contro Pechino”. La Stampa 22 Novembre 2007. PECHINO. Anche le antiche religioni, àncora dell’uomo con l’eternità, cambiano
L’eresia del Dalai ”Un buddha vivente contro Pechino”. La Stampa 22 Novembre 2007. PECHINO. Anche le antiche religioni, àncora dell’uomo con l’eternità, cambiano. Il capo del buddismo tibetano, il Dalai Lama, tradendo secoli di tradizione, dice di essere pronto a nominare il suo successore. Uno choc religioso, politico, teologico: finora il successore del Dalai e degli altri Buddha viventi, gli alti prelati di questa chiesa, venivano «trovati» attraverso un complicato processo dopo la loro morte. Per i credenti il nuovo Dalai non è altro che la reincarnazione del defunto Dalai. E questa idea, a sua volta, è uno dei principi cardini del buddismo, che crede nella reincarnazione dell’anima in vite successive. Ma in una intervista al quotidiano giapponese Sankei Shimbun il Dalai ha scompaginato improvvisamente le carte: «Se i Tibetani vogliono mantenere il sistema del Dalai Lama, una delle possibilità che sto considerando con i miei assistenti è quella di scegliere il prossimo Dalai mentre sono ancora in vita». Un’ipotesi è quella di eleggere il successore dell’attuale Dalai tra gli alti prelati della fede, che formerebbe una specie di conclave della Chiesa buddista tibetana. Oppure il Dalai potrebbe scegliere direttamente il suo successore. Non è chiaro come l’elezione o la scelta possa conciliarsi con i dogmi della fede buddista, ma certo è una rottura radicale. Dietro c’è però una necessità politica. Il Dalai ha specificato che «se la Cina scegliesse il mio successore dopo la mia morte la gente del Tibet non lo appoggerebbe poiché non lui avrebbe alcun cuore tibetano». Il leader religioso in esilio, che oggi ha 72 anni, sa bene che i cinesi si stanno preparando al dopo. Pechino ha un fermo controllo del clero tibetano in Cina ed è decisa ad assicurare che il bambino selezionato come reincarnazione del Dalai sia nato in Tibet. Inoltre vuole che il bambino riceva un’educazione religiosa, ma sia fedele alla Cina. Criteri già rispettati nella scelta della reincarnazione del Panchen Lama, seconda autorità religiosa del Tibet. Nel 1995, il Dalai annunciò il piccolo Gedhun Choekyi Nyima come il Panchen prescelto, prima di una sesta prova politica che avrebbe testimoniato l’obbedienza del nuovo lama a Pechino. Ma il governo cinese scartò Nyima e ne nominò un altro, Gyaincain Norbu, che oggi ufficialmente è presentato come il Panchen. Di Nyima non si ha notizia, ma sembra che non abbia ricevuto l’educazione religiosa necessaria per la formazione di un leader religioso del suo rango. Insomma, è tagliato fuori. Il Dalai vuole evitare che succeda la stessa cosa con il suo successore e ha già dichiarata che il futuro Dalai potrebbe anche esser nato fuori dal Tibet. La cosa politicamente porterebbe a una situazione simile a quella della Chiesa cattolica del Medio Evo: un Papa e un anti Papa, un Dalai e un anti Dalai. Con il prescelto di Pechino che sarebbe favorito dal «possesso» territoriale del Tibet, e più a contatto con i fedeli. Questa considerazione deve aver spinto il Dalai a cambiare strategia. Se davvero sceglierà lui il suo successore, potrebbe indicare un «buddha vivente» con ampio ascendente tra i tibetani, senza il problema di doversi costruire il necessario prestigio per essere ben accolto. Resta la questione della tradizione. Di certo non sarebbe la prima volta in una religione che i dogmi vengono modificati per necessità. Ma sono cambiamenti tormentati, che spesso finiscono per spaccare i fedeli. In questo caso poi, si va al cuore della fede buddista, la questione dell’altra vita, qualcosa che è come la fede nel Paradiso per i cristiani. Il successore del Dalai è sempre stata la sua reincarnazione, ora come può reincarnarsi quando il Dalai è ancora vivo? Allora la reincarnazione non esiste? Può avvenire a comando? O cos’altro? Sono domande enormi, che fanno vacillare la fede. Ma le ragioni della politica potrebbero essere più forti: l’indipendenza del Dalai dal controllo di Pechino è vitale. Certo, se il Dalai scegliesse il suo successore, paradossalmente Pechino potrebbe ergersi ad avvocato della tradizione e procedere alla ricerca del piccolo nuovo Dalai. C’è chi pensa che si tratti soltanto di un ballon d’essai del Dalai. I suoi viaggi sono diventati uno scottante argomento politico: Pechino si è particolarmente irritata per l’incontro pubblico con il cancelliere tedesco Angela Merkel. Di certo sembra esserci un divario sempre più profondo tra monaci in Cina e fuori dalla Cina, con i primi favorevoli a una collaborazione con Pechino i secondi contrari. Forse questa è la spaccatura più profonda dell’anima dei tibetani, che attende di rinascere un giorno riunita. FRANCESCO SISCI