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 2007  novembre 21 Mercoledì calendario

2 ARTICOLI

Irritanti, care e "inutili". La rivoluzione anti-monete. Il Giornale 21 novembre 2007. Londra - Sotto l’incalzante spinta di carte di credito e tessere bancomat, in attesa dell’affermazione di modalità di pagamento ancora più rapide e innovative, aumentano i dubbi sull’attualità del denaro contante. Come pagheremo tra dieci anni? Dopo il sorpasso subito nel 2003 dal denaro «di plastica», il vecchio contante sembra aver imboccato l’inevitabile viale del tramonto.

Ma più delle banconote sono le monete, specialmente quelle di valore minimo - le famigerate monetine dimenticate in ogni tasca - ad apparire oggi, nell’era digitale, sempre più anacronistiche, irrilevanti, dispersive. Già negli anni ’90, d’altronde, Australia e Nuova Zelanda avevano abolito le monete da uno-due centesimi. E lo scorso anno il governo di Canberra ha esteso il provvedimento a quelle da cinque cent. Nel mondo anglosassone, sotto la spinta delle banche e di gran parte dell’opinione pubblica, da tempo si discute sull’opportunità di ritirare i centesimi. Un dibattito ora vivace anche in Gran Bretagna dove - secondo un sondaggio svolto dall’organizzazione finanziaria Prudential - un intervistato ogni quattro auspica l’immediato ritiro delle «irritanti» monetine. Un’ostilità anti-spicciolo che trova maggiori consensi tra i più giovani: il 33% ammette di non sapere che farsene e di buttarle via.

Una dispersione confermata dalle stime fornite dalla zecca di Sua maestà, secondo cui 6,5 miliardi di monetine da un penny (l’equivalente del centesimo di euro) sono andate disperse. Dimenticate un po’ ovunque: nelle grondaie e nelle tubature (in quantità per un valore di circa 40 milioni di euro), nelle borsette (16 milioni), sulle automobili (12 milioni), nelle pieghe dei divani (10 milioni). Da qui la necessità, ogni anno, di produrne di nuove, in numeri giganteschi. Nel 2006 sono stati 261 milioni le nuove monete da un penny coniate e messe in circolazione in Gran Bretagna, 282 quelle da due pence. Una risposta in controtendenza a quello che appare come l’orientamento dominante. «Ma la nostra è una reazione alla domanda che ci arriva dal mercato - la giustificazione di Keith Cottrell, direttore vendite della zecca reale -. In Italia e in altri paesi europei non c’è l’abitudine a prendere il resto, se di minima entità. Ma nel Regno Unito è diverso, e c’è ancora richiesta di monete da 1p e 2p». Eppure sono proprio i piccoli commercianti i primi ad auspicare il ritiro delle monetine. Svariate le loro ragioni. «Maneggiare denaro di piccolo taglio è una perdita di tempo, ed è sempre più difficile trovare una filiale per il deposito», spiega Matthew Knowles della Federation of Small Business. Un’opinione interessata che non cancella però uno dei sospetti dominanti alla base della conservazione delle stesse monetine: il rischio di arrotondamento dei prezzi verso l’alto.

Quello delle monete non è solo un problema britannico. Anche l’euro e i suoi centesimi sono nell’occhio del ciclone. Bocciato il tentativo della Finlandia di metterle unilateralmente fuori corso sul suo territorio (alle singole autorità nazionali è vietatissimo farlo, l’euro è di tutti) già nel 2002 ci provarono in forma più soft i pubblici esercizi di Genova, che decisero di arrotondare a 5 e 10 centesimi tutti gli importi. Contro le monetine si è sempre scagliato l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, convinto che gli spiccioli tradiscono i consumatori.
Lorenzo Amuso


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Creare un penny costa più di un penny. Il Giornale 21 novembre 2007. «Un penny per i tuoi pensieri». Il detto popolare nasconde l’ironia: l’America ci pensa e ci ripensa, adesso. La monetina più piccola, il primo passo dell’economia Usa è un paradosso vivente. Vale un centesimo di dollaro, ma produrla costa di più: un centesimo e 23, almeno. A volte anche un centesimo e quaranta. Dipende dal giorno, dipende dal mercato, dipende dal prezzo del rame e dello zinco. Il costo di questi metalli sale e allora creare un umile e misero cent diventa caro, così caro che forse non conviene più. Anzi non forse, di sicuro. La zecca americana tiene il conto e aggiorna il pennynometro. Ogni soldino prodotto il governo ci rimette un quarto di cent. La politica ha cominciato ad attrezzarsi da un po’: dal 2001 al Congresso è depositata una proposta di legge che vuole condannare il centesimo a una naturale estinzione arrotondando a zero i prezzi dei beni di consumo. Per molti americani quella per salvare il penny è la cenerentola delle cause: i penny fanno tenerezza, ma di fronte a una perdita economica non li salverebbe neanche il più buono dei buonisti. E però il paradosso si alimenta di continuo: nel 2005 scorso la zecca americana ha coniato 7,7 miliardi di penny, più del doppio di tutte le altre monete prodotte. Nei primi tre mesi del 2006 il passo di produzione è salito ancora: alla fine dell’anno in circolazione c’erano nove miliardi di nuovi esemplari. Un nonsenso. E invece il numero enorme di penny in circolo è legato all’esistenza delle tasse di vendita che in molti stati sono aggiunti alla cassa al prezzo dell’oggetto e che assicurano che sia necessario dare un resto in centesimi al consumatore. Il resto dev’essere preciso, per legge. Un cent è fondamentale, allora. Come quando nacque un altro detto: to spend a penny, che per tutti in Inghilterra come in America, significa garbatamente «vado in bagno». Perché per entrare nei bagni pubblici una volta bisognava pagare un penny.