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 2007  novembre 21 Mercoledì calendario

Che spiegazione dà dell’attuale situazione politica in Pakistan? Ritiene sia stato un bene per quel Paese il ritorno della Bhutto? Mi pare che i mezzi d’informazione non diano il necessario risalto alle divisioni etniche interne: lo stesso nome «Pakistan» costituisce un acronimo delle principali entità territoriali che ne fanno parte

Che spiegazione dà dell’attuale situazione politica in Pakistan? Ritiene sia stato un bene per quel Paese il ritorno della Bhutto? Mi pare che i mezzi d’informazione non diano il necessario risalto alle divisioni etniche interne: lo stesso nome «Pakistan» costituisce un acronimo delle principali entità territoriali che ne fanno parte. Orazio Sorrentini orazio.sorrentini@ giustizia.it Caro Sorrentini, La personalità di Gandhi e la sua notorietà internazionale ebbero l’effetto di oscurare l’esistenza in India di un problema musulmano. Non appena la Gran Bretagna dette l’indipendenza al subcontinente, nell’estate del 1947, fu chiaro che i musulmani avrebbero preteso un loro Stato e che non sarebbe stato facile definirne le frontiere. Dopo una sanguinosa divisione nacque un mostro geopolitico, composto da una grande area dell’India nordoccidentale, ai confini con l’Afghanistan, e da un’area più piccola ai confini con la Birmania, distante poco meno di duemila chilometri: il Bengala orientale. Restava indecisa la sorte di una regione contesa, il Kashmir, conquistata dall’India, ma più volte rivendicata, anche con le armi, dal Pakistan. Nella sua configurazione originaria il mostro visse fino al 1971 quando il Bengala orientale si staccò dalla casa madre e costituì lo Stato indipendente del Bangladesh. Ma questa nuova amputazione non rese il Pakistan più omogeneo di quanto fosse stato precedentemente. Per rendersi conto delle contraddizioni del Paese, caro Sorrentini, provi a ripercorrere mentalmente la sequenza delle immagini che ci sono giunte in questi ultimi mesi da Karachi, Islamabad, Rawalpindi. Abbiamo visto l’assedio e la conquista di una moschea che era stata occupata e difesa dai militanti dell’Islam più rigidamente ortodossi. Abbiamo assistito al trionfale ritorno in patria di una donna, Benazir Bhutto, che ha già governato il Paese negli anni Ottanta ma non potrebbe, in altri Stati musulmani, neppure guidare un’automobile. Abbiamo visto orribili stragi di attentatori suicidi, nello stile dell’Iraq e dell’Afghanistan. Abbiamo assistito alla proclamazione della legge marziale da parte di un generale, Pervez Musharraf che non ha mai nascosto di essere ispirato dal modello laico e autoritario di Kemal Atatürk. Abbiamo assistito a manifestazioni di protesta animate da uno stuolo di avvocati in giacca e cravatta nera, educati nella tradizione del sistema giudiziario britannico. E sappiamo che dietro queste immagini vi è una realtà ancora più sconcertante: una vasta regione tribale, ai confini l’Afghanistan, che è divenuta durante questi ultimi anni uno Stato fantasma, rifugio per i militanti di Al Qaeda, campo di addestramento per i talebani, retrovia della guerra afghana. Non è sorprendente che questo Paese abbia registrato nella storia della sua indipendenza un così alto numero di colpi di Stato. E non è sorprendente che il generale Musharraf abbia fatto, e continui a fare un politica ambigua, in apparenza ostile all’islamismo radicale, ma in realtà pronta a compromessi e patteggiamenti. La politica degli Stati Uniti dopo l’11 settembre ha ulteriormente esasperato queste contraddizioni. Musharraf ha scelto di stare nel campo americano e ne ha tratto parecchi vantaggi, anche finanziari (11 miliardi di dollari, destinati prevalentemente alle forze armate). Ma ha dovuto far fronte alla recrudescenza del fondamentalismo islamico, all’ingovernabilità delle province nordoccidentali e alla crescente opposizione dei ceti urbani e professionali, laici e democratici. Nella speranza di consolidare il regime e di renderlo più attraente agli occhi dell’Occidente, gli americani hanno cercato di favorire un «compromesso storico» tra il generale autoritario e la donna che i militari avevano cacciato dal suo Paese. Ma il matrimonio si è rotto prima di essere celebrato. possibile che Musharraf abbia proclamato lo stato di emergenza perché la minaccia dei fondamentalisti esigeva leggi speciali. Ed è possibile che abbia approfittato della situazione per mandare all’aria il matrimonio voluto dagli americani. Lo avrebbe fatto, in questa seconda ipotesi, nella convinzione che Bush e Condoleezza Rice non possano fare a meno di lui e siano costretti a ingoiare il rospo. Mentre Musharraf scommette sull’impotenza degli Stati Uniti, Benazir Bhutto scommette sulla piazza e si dichiara pronta a mobilitare il Paese contro il dittatore. Sembra che per il momento l’arbitro, a Washington, non abbia ancora deciso che cosa fare.