VARI 21/11/2007, 21 novembre 2007
VARI ARTICOLI SUGLI SCIOPERI IN FRANCIA
CORRIERE DELLA SERA 21/11/2007
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MASSIMO NAVA
PARIGI – E’ un’odissea sotto un cielo grigio e gonfio di pioggia che immalinconisce le luminarie natalizie. La Francia è in ginocchio, paralizzata dagli scioperi, percorsa da cortei di studenti e dipendenti pubblici, mentre gli altri – milioni di lavoratori esasperati – arrancano a piedi e in bicicletta o rimangono prigionieri di giganteschi ingorghi. Ieri, le code sull’anello della
periferique parigina hanno superato i 400 chilometri. Fermi treni, autobus, metrò. In difficoltà gli aeroporti. Chiuse anche le edicole per la mancata distribuzione dei giornali.
Da sette giorni, scioperano ad oltranza i dipendenti dei trasporti contro la riforma dei regimi pensionistici speciali che consentono a circa mezzo milione di lavoratori di andare in pensione con 37,5 anni di contributi, contro i 40 del settore privato e del settore pubblico. Un privilegio che affonda nella storia della categoria, cui nessuno vorrebbe rinunciare.
Ieri si sono astenuti dal lavoro i dipendenti statali – impiegati, insegnanti, controllori di volo, ospedalieri – contro un’altra misura faro del presidente Sarkozy, il taglio di 150 mila posti entro il 2012, ottenuto non sostituendo un funzionario su due che raggiunge la pensione. In questo modo, lo Stato ridurrebbe di un paio di miliardi un deficit ormai insostenibile e in rotta di collisione con gli accordi comunitari.
A statali e ferrovieri si uniscono gli studenti che bloccano decine di atenei contro una riforma che introduce criteri di autonomia e prevede il più importante sforzo finanziario nel bilancio del governo. Per quanto le adesioni allo sciopero non superino il 25/30 per cento dei lavoratori, il potere di blocco si estende a tutto il sistema. Milioni di cittadini e lavoratori si sentono presi in ostaggio e cominciano a far sentire la loro indignazione.
I sindacati dei trasporti, dietro le quinte ormai pronti a discutere generose proposte del governo e delle aziende pubbliche interessate, temono di essere scavalcati dalle organizzazioni autonome di base, decise a ottenere l’azzeramento della riforma. La sinistra riformista oscilla fra il senso di responsabilità e la tentazione di vedere finalmente Sarkozy sulla difensiva.
Un calcolo che almeno finora non sembra smuovere il presidente. «Andrò fino in fondo nelle riforme, i francesi mi hanno eletto per questo. Non cederò e non arretrerò», ha ripetuto ieri, denunciando il calvario dei cittadini, il potere delle minoranze contro le maggioranze, l’irresponsabilità di mettere il Paese in ginocchio. «I francesi devono dire in quale democrazia vogliono vivere», ha aggiunto. Unica concessione, l’appello al dialogo e a riprendere il lavoro. «Non ci saranno né vinti, né vincitori. Il governo non vuole la prova di forza». Dall’Eliseo, filtra intanto l’annuncio di una mossa a sorpresa del presidente, un’iniziativa fiscale per rafforzare il potere d’acquisto dei ceti più deboli. Ma chi pagherà il regalo?
PARIGI – «Governo un Paese in fallimento». La frase choc del primo ministro François Fillon, pronunciata in settembre, anticipava questo novembre nero. I francesi non vogliono pagare il conto delle terapie di risanamento. Non sono inglesi, non sono tedeschi e forse nemmeno italiani.
La chiave del più grave scontro sociale degli ultimi anni è in questa contraddizione che da sette giorni paralizza la Francia e mette a dura prova il progetto riformista del presidente Nicolas Sarkozy.
Modificare il regime delle pensioni di alcune categorie pubbliche, ridurre gli impiegati dello Stato, riformare il sistema giudiziario, rilanciare ricerca e università, tagliare la spesa sociale, svuotare la più «sciagurata» delle leggi volute dalla sinistra, l’orario di lavoro a 35 ore, per stimolare crescita, occupazione e salari. Era questa in sintesi l’agenda del presidente, confortata dal trionfale successo alle elezioni, ma frenata da circostanze sfavorevoli e forse sottovalutate (la crescita molle, il caro petrolio, l’euro alle stelle) e dalle condizioni strutturali del sistema Paese contro cui si sono inutilmente battuti i predecessori: giungla di privilegi e corporazioni, enorme potere d’interdizione di un sindacato minoritario, forte attaccamento dei francesi al servizio pubblico e al modello statalistico, traumatiche fratture fra generazioni, fra garantiti ed esclusi, fra pubblico e privato, fra burocrazia e imprese.
La rivolta delle periferie, nel 2005, era di altra natura, ma la rabbia sociale di oggi rivela un analogo disagio, molto indicativo del sistema nervoso dei francesi e della mentalità collettiva.
Per vincere la partita, Sarkozy ha giocato con determinazione la carta delle riforme che si tengono l’un l’altra, come anelli di una catena.
Una riforma da sola fallisce, perché suscita reazioni corporative e sentimenti d’ingiustizia: tutte insieme prima o poi catturano consenso. La Francia è oggi un insieme incerto di cantieri aperti (pensioni, università, giustizia, fiscalità, mercato del lavoro, assistenza mutualistica) che hanno innescato la contestazione generale e provocato una paralisi dei servizi pubblici, con danni colossali per le imprese interessate e per l’economia.
L’aumento dell’assegno di funzione all’Eliseo e i regali fiscali decisi all’indomani delle elezioni non hanno aiutato a calmare gli animi.
«Sarkozy ha inventato le promesse selettive e chiede sacrifici a senso unico», diceva ieri un sindacalista in testa al corteo. La crisi conforta l’opposizione: «Sarkozy deve capire che non si riforma la Francia con brutalità», ha detto Ségolène Royal.
Il presidente resta convinto che la maggioranza dei cittadini sia favorevole alla modernizzazione del Paese. I sondaggi gli danno ragione e questo spiega l’attacco al potere d’interdizione delle minoranze e la riaffermata volontà di «andare fino in fondo, senza cedimenti».
Facile il paragone con Margareth Thatcher, che piegò i sindacati britannici negli anni Ottanta. Ma oggi il paragone con la dama di ferro gli va un po’ largo. Se riuscisse ad imitare Blair o Schröder sarebbe già un successo. Se arretrasse o fallisse, le conseguenze sarebbero gravi, non solo per lui (che verrebbe paragonato a Chirac) e per la Francia, che sarebbe di nuovo portata a voltare le spalle all’Europa. Ma anche per quanti vedono nel presidente francese un modello da importazione, un pragmatismo che chiede alla destra di essere più generosa e alla sinistra di diventare più aperta.
«I francesi vorrebbero ciascuno un privilegio: è il loro modo di amare l’eguaglianza», ha detto il generale De Gaulle.
Tutti i cantieri aperti
Modificare i regimi pensionistici speciali, ridurre gli impiegati dello Stato, riformare il sistema giudiziario, rilanciare l’università, tagliare la spesa sociale, eliminare le 35 ore
Massimo Nava
LA REPUBBLICA 21/11/2007
BERNARDO VALLI
Stupiva il silenzio di Nicolas Sarkozy. La Francia era in subbuglio e il presidente, di solito onnipresente e pronto a dire la sua su ogni cosa, taceva e non appariva sui teleschermi. Da dieci giorni non si pronunciava. C´erano centinaia di migliaia di statali in piazza, decine di università chiuse, tanti treni fermi, compresi quelli del metrò parigino, la gente in collera, perché in sciopero contro le riforme o perché contro gli scioperanti che da una settimana rendevano la vita difficile, e lui non apriva bocca, non si faceva vedere, restava chiuso nel Palazzo dell´Eliseo. In attesa. Forse aspettava le trattative tra i sindacati e le aziende, previste per oggi, con la partecipazione del governo.
Nicolas Sarkozy aveva dunque cambiato stile. Era diventato l´uomo del dialogo. Anche gli oppositori di sinistra si meravigliavano. Niente più interventi diretti, impetuosi, ma un ruolo al di sopra delle parti.
Insomma un presidente classico che lasciava fare al governo e alle parti sociali, riservandosi il ruolo di un arbitro discreto. Questa immagine è durata poco. Si è dissolta ieri sera, quando Nicolas Sarkozy, approfittando di un incontro con i sindaci di Francia, ha ribadito che « non cederà e non retrocederà» di un passo. Le riforme di cui il Paese ha bisogno saranno attuate. E ha scandito non a caso una vecchia, celebre frase (pronunciata da Maurice Thorez, il leader comunista, durante le agitazioni del 1936, in seguito alla vittoria del Fronte Popolare): «Bisogna saper finire uno sciopero». Il significato dell´appello ai ferrovieri in sciopero da una settimana era chiaro, netto: «Una piccola minoranza non può imporre la sua legge a una maggioranza».
La paralisi dei trasporti mette in difficoltà le aziende, che potrebbero essere costrette a licenziare. Coloro che vogliono lavorare devono essere liberi di farlo. Lo spirito del negoziato deve prevalere sullo spirito del confronto. Ma il tono era a tratti distensivo. Non si deve pensare a una soluzione in cui ci siano « vinti e vincitori» E, ancora, Nicolas Sarkozy non ha dimenticato l´omaggio ai ferrovieri in sciopero per il loro faticoso lavoro.
Il clima e il momento in cui è avvenuto questo intervento precisano il carattere, già più volte illustrato del neo presidente. Mentre lui parlava tanti francesi erano in collera. I ferrovieri in sciopero erano e sono in collera con lui, che vuole annullare le loro pensioni privilegiate. Altrettanto in collera erano i pendolari incastrati nel caotico traffico parigino. E loro sacramentavano invece contro i ferrovieri che, paralizzando i treni, li costringevano a levatacce e a code estenuanti sulle strade d´accesso alla capitale per raggiungere fabbriche e uffici. Dalla ville lumière, in quell´ora di punta, si alzava un coro di imprecazioni al quale politologi e sociologi cercano da giorni di dare un significato.
Per non parlare dei sondaggisti impegnati a tradurre gli umori in cifre. Cifre tenute d´occhio dal presidente.
I pubblici funzionari, gli insegnanti, i postini, gli infermieri e le infermiere che fino a lunedi, imprigionati nelle colonne d´automobili lunghe centinaia di chilometri o pigiati nei rari treni guidati da crumiri, sacramentavano contro i macchinisti delle ferrovie di stato o del metro´, ieri erano a loro volta in sciopero per rivendicare salari più dignitosi e percorrevano in settecentomila (stando ai sindacati) le principali città di Francia incasinando ancora di più il traffico. E non bisogna dimenticare gli studenti, i quali si associavano ora ai ferrovieri ora agli statali per dar peso alla loro protesta contro la decisione di rendere autonome le università (quindi, stando agli slogan, di « regararle ai capitalisti»). Nè va dimenticato il personale dell´Opera di Parigi (costretta a declassare La Tosca a semplice concerto) e della Comédie Française, coinvolto nello sciopero dei ferrovieri con in quali ha in comune le pensioni privilegiate adesso minacciate.
Nicolas Sarkozy non è stato sorpreso da questi avvenimenti. A mettere in subbuglio il Paese, in particolare la capitale, sono le sue riforme. Ed era scontato che esse avrebbero acceso proteste e scioperi. Lui se l´aspettava e aveva avvertito che avrebbe comunque realizzato «il progetto presidenziale» approvato dalla maggioranza dei francesi. Alle rivendicazioni dei sindacati avrebbe opposto la legittimità della sua fresca elezione. Di solito, nella Quinta Repubblica, il capo dello Stato eletto al suffragio universale si trincera dietro il governo, spinge davanti il primo ministro, il quale funziona come un fusibile. Ma questo non è lo stile di Nicolas Sarkozy; e proprio questo stile, che lo porta ad affrontare di persona tutti i problemi, ha condotto a quello che è subito apparso uno scontro frontale tra il presidente e gli scioperanti. Un confronto rischioso che Nicolas Sarkozy ha dato l´impressione di volere attenuare mantenendo il silenzio per dieci giorni. La sua intransigenza, di solito impetuosa e senza ricorso, è apparsa meno rigida. Anche perché, pur restando fermo sui punti essenziali delle riforme, ha rivelato attraverso i suoi ministri una disponibilità al dialogo.
Alla vigilia della trattativa è pero´ intervenuto, quando nessuno se l´aspettava, per precisare che «non cederà e non retrocederà». A indurlo a ribadire la sua intransigenza è senz´altro stata la fondata impressione che lo sciopero dei ferrovieri si stia sfilacciando e che la maggioranza dei francesi sia sempre meno disposta a sopportare i disagi imposti da quello sciopero. Le pensioni che i ferrovieri difendono sono ritenute privilegiate perché esigono soltanto trentasette anni e mezzo di contributi e riguardano cinquecentomila persone, mentre venticinque milioni di francesi hanno diritto alla pensione dopo almeno quarant´anni di contributi. Nel 1995 Jacques Chirac cerco´ di uniformarle ma non ci riuscì, perché lo sciopero dei ferrovieri fu appoggiato dalla maggioranza dei francesi. In dodici anni il clima nel paese è cambiato. L´opinione pubblica non appoggia più ritualmente le proteste sociali. E i sindacati (ad eccezione del più radicale Sud-Rail) ne erano consapevoli alla vigilia dello sciopero, ma hanno dovuto cedere alla volontà della base. Lo stesso vale per lo sciopero degli studenti contro l´autonomia delle università.
Nel passato le famiglie giudicavano quella riforma (che implica aiuti privati alle facoltà) un´attentato all´uguaglianza delle opportunità offerta dalla République ai loro figli. Oggi non è più cosi e anche gli scioperi degli studenti continuano a singhiozzo.
Nicolas Sarkozy cavalca questi umori. Lo sciopero dei ferrovieri dura più del previsto, ma può offrire al presidente la possibilità di ottenere un successo utile per l´attuazione del resto delle sue riforme. Se è cosi, è stata una maniera un po´ chiassosa per spalancare la porta al «progetto presidenziale» che impegnerà il Paese nei prossimi mesi e anni.
Alcuni pensano che abbia preparato lui stesso il terreno dello scontro, sapenso di vincerlo. E´ comunque intervenuto quando il suo silenzio cominciava ad essere impopolare ai francesi infastiditi dallo sciopero dei trasporti. I consensi in suo favore, già in ribasso, cominciavano a scendere in modo preoccupante. Gli ultimi sondaggi gli aggiudicavano il 51 per cento. Un quoziente deludente, rispetto a quelli rilevati negli ultimi mesi.
Nei prossimi giorni Nicolas Sarkozy dovrebbe annunciare importanti iniziative in favore del potere d´acquisto. E´ su questo terreno che sarà giudicato. Non è escluso che nell´immediato decida di esentare da tasse e trattenute la tredicesima mensilità. Un provvedimento del genere cancellerebbe le ferite lasciate dagli scioperi d´autunno. Contribuirebbe altresì a isolare ancor più gli scioperanti, nel caso essi non gettassero presto la spugna. Non è del resto escluso che essi ottengano, nel corso delle trattative, qualche compenso economico, in cambio della perdita della pensione privilegiata. Un principio sul quale Nicolas Sarkozy «non cederà né retrocederà» di un solo passo. E´ la sua bandiera.
Il nome di Margaret Thatcher è stato evocato più volte, nel corso dello sciopero, al fine di paragonare l´azione riformatrice di Nicolas Sarkozy a quella della «dama di ferro» nell´Inghilterra degli anni Ottanta. Dopo la sua prima rielezione, nel 1984, Margaret Thatcher decise la chiusura delle miniere che costavano una fortuna e affronto´ il lungo e doloroso sciopero dei minatori protrattosi per mesi. La Francia di oggi non versa nella drammatica situazione economica e strutturale dell´Inghilterra d´allora. E i ferrovieri francesi non rischiano di perdere il posto di lavoro come i minatori d´oltremanica. Né Nicolas Sarkozy è un campione del liberismo come lo fu l´ex primo ministro britannico. C´è tuttavia una similitudine: anche la «dama di ferro» oppose la legittimità della sua fresca elezione alle rivendicazioni dei sindacati e si appoggio´ sull´opinione pubblica favorevole alle riforme.
IL FOGLIO 21/11/2007
ADDIO MIO GIACOBINO
Parigi. ”Non cederemo e non faremo marcia indietro”, ha detto Nicolas Sarkozy, interrompendo davanti al congresso dei sindaci francesi il suo silenzio che durava dall’inizio del movimento di scioperi che sta paralizzando la Francia da una settimana. Ieri, oltre al personale del settore dei trasporti pubblici schierato contro la riforma dei regimi speciali delle pensioni, si sono fermati i funzionari della pubblica amministrazione e gli insegnanti che esigono ”più potere d’acquisto”, mentre gli studenti continuano a occupare gli atenei per opporsi alla legge Pécresse sull’autonomia delle università. Il presidente francese ha annunciato che le riforme andranno ”fino in fondo”, perché la Francia ”deve cambiare. Una vera rottura è necessaria per evitare il declino”, ha spiegato Sarkozy: con le elezioni presidenziali ”i francesi mi hanno dato mandato di compierla” e ”non tradirò la fiducia di quelli che mi hanno eletto”. Il presidente vuole essere ”aperto” al dialogo e ai negoziati con le parti sociali, ma ”occorre saper mettere fine a uno sciopero”, tanto più quando danneggia l’economia. In una democrazia, ha spiegato Sarkozy, ”una piccola minoranza non deve imporre la sua legge alla maggioranza, né nei servizi pubblici né nelle università”.
A unire ferrovieri, funzionari pubblici e studenti è il ”corporativismo rivoluzionario”, spiega Elie Cohen, economista del Centro nazionale per la ricerca scientifica: una minoranza della minoranza rifiuta qualsiasi negoziato con il governo e le imprese e, soprattutto, l’esito del voto popolare e democratico del maggio scorso. Non è solo la preservazione dello status quo e dei privilegi settoriali a motivare una parte dei sindacalisti, i leader studenteschi o i militanti dell’estrema sinistra. I sindacati autonomi come Sud-rail, gli anarco-sindacalisti, la minoranza dell’organizzazione sindacale della funzione pubblica Fsu, gli elementi minoritari della più radicale Cgt, i quadri del Partito comunista, i militanti della Lega comunista rivoluzionaria, gli estremisti di Lotta operaia e l’Unione nazionale degli studenti sognano un grande movimento sociale per dar vita al ”terzo turno” delle presidenziali. Lo scenario è quello del 1995: la Francia paralizzata da un lungo sciopero generale, il governo costretto a rimangiarsi riforme ambiziose, un presidente che sceglie l’immobilismo come pratica di governo, in attesa della rivincita nelle urne dopo quella nelle piazze.
Come andò nel 1995
Dodici anni fa andò proprio così quando, appena eletto all’Eliseo, Jacques Chirac e il suo primo ministro, Alain Juppé, proposero un vasto piano di riduzione della spesa, compresa la riforma dei regimi speciali delle pensioni riservati ai funzionari della pubblica amministrazione e ai dipendenti delle imprese statali. Allora come oggi la collera di sindacati e studenti fu immediata, nonostante le riforme fossero state ampiamente annunciate nel programma chiracchiano per ridurre la ”frattura sociale”. Il 24 novembre 1995, nove giorni dopo l’annuncio del ”Piano Juppé”, 400 mila persone scesero nelle strade, dando il via a tre settimane di scioperi, inizialmente concentrati nel settore dei trasporti pubblici. Subito le università furono occupate e, in pochi giorni, lo sciopero si allargò alle poste, alla funzione pubblica, agli insegnanti e ai controllori aerei. Fino al 12 dicembre, quando il movimento sociale raggiunse il suo apice, con due milioni di manifestanti nelle strade, la Francia bloccata, il governo Juppé costretto a rinunciare alla riforma dei regimi speciali e Chirac convinto a convocare elezioni anticipate – vinte nel 1997 dai socialisti – per tentare di evitare la paralisi della sua presidenza. Salvo che il 2007 non è il 1995 e Sarkozy non è Chirac.
La decisione dei ferrovieri di prolungare per una settimana il loro sciopero era dettata dalla volontà di ”fare la giunzione” con i funzionari pubblici, che ieri sono scesi in strada per chiedere più ”potere d’acquisto” e l’aumento dei salari. Solo un ”movimento generale” che va dal settore pubblico alle imprese private, passando per gli studenti, può far ”indietreggiare il governo”, ha spiegato al Foglio un dirigente di Lutte Ouvriér. Il calendario politico è favorevole: oltre a ferrovieri e funzionari, ci sono gli studenti che già occupano gli atenei, i lavoratori delle Poste e di France Télécom che intendono scioperare contro la riduzione del personale e il sindacato della magistratura che organizza una ”mobilitazione nazionale” contro la riforma della carta giudiziaria. Ma a differenza del 1995, non c’è stata l’aggregazione dei singoli movimenti. Anzi, per la prima volta in dodici anni, la simpatia dell’opinione pubblica nei confronti dei movimento sociali è in calo, evidenziando una rottura con l’attitudine giacobina tipica di parte della società francese. Secondo Stéphane Rozès, direttore dell’istituto demoscopico Csa, ”l’opinione pubblica riconduce questo conflitto a un rifiuto della riforma, dove gli interessi di categoria si oppongono all’interesse generale”. La maggioranza dei francesi è a favore della modifica dei regimi speciali delle pensioni e ritiene che gli scioperi non siano legittimi. Nel 2007 manca anche una parola d’ordine comune e non ci sono più nemmeno gli intellettuali pronti a salire sulle barricate della rivolta sociale. Come il filosofo, Pierre Bourdieu, che il 12 dicembre 1995 salì alla tribuna della sala degli spettacoli della Gare de Lyon a Parigi per ”portare il nostro sostegno a tutti quelli che lottano da tre settimane contro la distruzione di una civilizzazione associata all’esistenza del servizio pubblico, quella dell’uguaglianza repubblicana dei diritti, diritti all’educazione, alla salute, alla cultura, alla ricerca e, soprattutto, al lavoro”. Allora Libération pubblicò integralmente, a mo’ di volantino, l’intervento di Bourdieu, figura di punta dell’Appello degli intellettuali in sostegno degli scioperanti. Oggi, invece, il quotidiano progressista ammette che ”il contesto è cambiato e i francesi non sono più favorevoli allo sciopero come dodici anni fa”. Meglio sperare che ”quando uno sciopero dura, alla fine l’opinione pubblica lo sostiene”.
’Un reale senso di responsabilità”
’La Francia è pronta a essere riformata”, ha scritto il Figaro in un editoriale della scorsa settimana, constatando che ”i francesi sono cambiati” dopo l’elezione di Sarkozy all’Eliseo. ”Si vede nascere un reale senso di responsabilità al posto di slogan datati. Il modello sociale francese, il diritto intoccabile a pensioni speciali, il diritto allo sciopero illimitato, la salute gratuita per tutti e per tutto, il diritto inalterabile al lavoro: i francesi sanno di non poter sfuggire a una realtà che tutti i nostri vicini hanno già affrontato e sanno che occorre muoversi”. E’ il contrario del Bourdieu pensiero che venne interpretato da molti ”come la prima rivolta contro la globalizzazione”. A parte una frangia, gli intellettuali tacciono o stanno dalla parte di Sarkozy. Come Bernard Henry Lévy, che ha scritto il suo ultimo libro per giustificare il voto a Ségolène Royal, nonostante il limite della sinistra francese sia la critica al liberalismo. O Alain Finkielkraut, che ha spiegato al Foglio che l’autunno francese ”è una parodia della parodia del ”68”.
I grandi sindacati sono imbarazzati per il proseguimento della sciopero. Il leader della radicale Cgt, Bernard Thibault, era favorevole a un negoziato quasi immediato, ma è stato sconfessato dalla base dei ferrovieri. Il Partito socialista è addirittura favorevole alla riforma dei regimi speciali ed è costretto a limitare i suoi attacchi al metodo scelto da Sarkozy e dal suo primo ministro, François Fillon. Così nelle università la ”vita continua” nonostante gli scioperi – come ha scritto il Monde di ieri – e in molti casi le lezioni vanno avanti nonostante il voto del blocco da parte delle assemblee studentesche. A Nanterre, invece, gli studenti hanno votato la fine dell’occupazione al grido di ”libertà di studiare” e la polizia ha sloggiato con la forza quelli che impedivano agli altri di accedere alle lezioni. Domenica a Parigi, almeno 10 mila persone hanno manifestato contro gli scioperi nei trasporti pubblici e negli atenei, con cartelli che invitavano a ”fare l’amore, non lo sciopero”. Se gli scioperi continuano, si annunciano altre contromanifestazioni. Ma i lavoratori di Gdf ed Edf sono già usciti dal conflitto sociale, accettando il negoziato con il governo dopo un solo giorno di sciopero. Mentre i dati sulla partecipazione alla mobilitazione di ieri sono tutt’altro che maggioritari: solo il 27 per cento dei ferrovieri e il 30 per cento dei funzionari pubblici hanno scioperato. Ora la parola d’ordine con cui il ”corporativismo rivoluzionario” cerca di mobilitare lo scontento sociale è ”potere d’acquisto”. Ieri il segretario del Partito socialista, François Hollande, ha chiesto una ”conferenza salariale, l’assegno trasporti e l’inquadramento degli affitti”. Tema centrale della campagna elettorale sarkozysta, lo slogan ”lavorare di più per guadagnare di più” fatica a diventare una realtà. Ma anche su questo il presidente francese ha promesso di prendere iniziative ”tra qualche giorno”. Sarkozy intende muoversi in fretta per dare alle imprese la possibilità di accordare una tredicesima mensilità senza contributi, rilanciare i grandi cantieri e premere sui produttori di energia per abbassare le bollette.