Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 21/11/2007, 21 novembre 2007
«Berlusconi è il segno di un degrado morale e culturale, di un egoismo sociale ed etnico» disse Veltroni
«Berlusconi è il segno di un degrado morale e culturale, di un egoismo sociale ed etnico» disse Veltroni. «Veltroni è un coglione» disse Berlusconi. Seguì una smentita che peggiorò ulteriormente le cose tra i due: «Non ho mai detto questo di lui; se lo fosse, non sarebbe arrivato dov’è». E invece siamo arrivati a Veltrusconi, mostruoso personaggio coniato ieri dalla Jena della Stampa, che fa il verso al Dalemoni di Giampaolo Pansa. Ma mentre D’Alema e Berlusconi non hanno mai nascosto di stimarsi, forse di piacersi, certo di considerarsi i due uomini forti della politica italiana, Veltroni e Berlusconi non si sono mai sopportati. Non a caso, in un mondo in cui si danno fraternamente del tu anche neonazisti e neostalinisti, i due erano gli unici a darsi del lei; fino a quando, un anno fa, dopo il malore di Montecatini, il sindaco di Roma ha telefonato al capo dell’opposizione per fargli gli auguri. La solidarietà nel dolore ha propiziato lo scarto linguistico: ora si danno del tu pure loro. Ma subito dopo Berlusconi, già fiutando il duello prossimo venturo, è tornato all’attacco: «La Roma di Veltroni è piena di favelas!». E l’altro: «Non accetto lezioni da uno convinto che Roma sia stata fondata da Romolo e Remolo!». Ora dovranno convivere. Incontrarsi. Mettersi d’accordo. Concordare, da capi dei due principali partiti, il passaggio dal bipolarismo al bipartitismo. Hanno bisogno l’uno dell’altro. Ma a lungo Berlusconi è stato convinto che Veltroni volesse distruggerlo: promuovendo referendum per vietare gli spot nei film, coniando appositi slogan – «non si interrompe un’emozione!» ”, manovrando la Rai nella campagna elettorale 2001. Dal canto suo, Veltroni fa risalire la persecuzione di Berlusconi contro di lui al 1990, e nel libro «La bella politica» racconta di una riunione di dirigenti Fininvest con proiezione di diapositive dei nemici da abbattere: «Due le facce prescelte, quella di Eugenio Scalfari e la mia. Lo so da persone che c’erano; in seguito ho avuto la prova che hanno davvero lavorato in quella direzione ». Ma già nell’84 Maurizio Carlotto, ex dirigente comunista e manager del Biscione, aveva segnalato al capo quel giovane appena approdato all’ufficio Comunicazione di Botteghe Oscure – «Guarda Silvio che Walter è uno sveglio, può essere la sponda che cerchiamo nella sinistra» ”, ricevendone una risposta definitiva: «Veltroni ha i peggiori cromosomi che ci siano in Italia, quelli del Pci e quelli della Rai». E comunque, dovendo titolare un libro sulla propria idea della tv, Veltroni non esitava a scegliere: «Io e Berlusconi (e la Rai)». Non si sono mai piaciuti per le cose che li dividono, ma anche per le cose che li uniscono. Anni Cinquanta (e Ottanta) contro Anni Settanta, goliardia contro Fgci, chansonniers contro cantautori, fiction contro romanzi sudamericani, Bush contro Bob Kennedy. Pigalle e Pasolini, le fidanzate e la moglie, stornellatori napoletani e jazzisti suicidi, Milan e Juve, la crociera e la tomba di don Milani, la risata da barzelletta e il sorriso amaro (quando Berlusconi raccontò, sulla nave Azzurra, quella del malato di Aids cui vengono prescritte sabbiature per abituarsi a stare sotto terra, Veltroni prontamente si amareggiò: «Tanto cinismo è insopportabile». Chiuse il Cavaliere, con eleganza: «Consiglio le sabbiature anche a quei mentecatti della sinistra»). Ma sono fonte di diffidenza pure le passioni e le doti comuni: dalla tv’ Berlusconi ne ha tre, Veltroni però conosce hobby, stato di famiglia, età dei figli di almeno trecento giornalisti – all’oratoria. Al congresso Pds del ’95, Berlusconi tiene un intervento molto apprezzato. Subito dopo tocca a Veltroni, che accetta la sfida, rinuncia al testo scritto, riscuote applausi e strette di mano calorose tranne quella, gelida, di Berlusconi che gli sibila: «Tanto Baggio l’ho comprato io». Fino al discorso del Lingotto, elogiato da Fini e Casini e liquidato dal Cavaliere con un’annotazione tecnica: «Si vedeva benissimo che stava leggendo». Eppure i due, un poco, si somigliano. Veloci nei tempi, cortesi nei modi; sgobboni sul lavoro, capaci di entrare in empatia con qualsiasi interlocutore, ad esempio cogliendo al volo e ripetendone volentieri il nome. Sono bravi a suscitare emozioni, a comunicare ottimismo, a disegnare visioni, sia pure antitetiche. Perché Berlusconi coltiva il culto del successo e della vita, Veltroni del dolore condiviso e della memoria dei morti. L’uno invita a toccare «la mano che ha fatto il grano», l’altro per quella frase inorridisce. Disse Berlusconi che «Veltroni ha ancora in ufficio la foto di Togliatti!»; era Berlinguer, ma pur sempre comunista. Veltroni si divertì a leggere il testo di Azzurra libertà – «ti difendiamo noi, oooi....» – a un convegno su Carlo Rosselli: «Mentre noi siamo qui a celebrare un martire dell’antifascismo, la destra impegna il suo leader in un’impresa come la scrittura di questa canzone». Replica: «Il plurilaureato Veltroni non ha bisogno di inni, perché ha sempre la vecchia, attuale, futura Bandiera Rossa!». Poi qualcosa è cambiato. Quest’estate, Veltroni ha riconosciuto la correttezza del Berlusconi premier verso la capitale. Dovendo indicare avversari stimabili, ha pescato nei suoi affetti più cari: Veronica Lario e Gianni Letta. E uomini come Giuliano Ferrara e Fedele Confalonieri hanno avuto per Veltroni parole di stima. Ora che si riaffaccia lo spirito della Bicamerale, esorcizzata come uno spettro quando a guidarla era D’Alema, può apparire che per la prima volta Berlusconi e Veltroni facciano rima. Alla Grande Coalizione, però, non crede nessuno dei due: presto torneranno a scontrarsi; forte il primo delle immense ricchezze, il secondo dei vent’anni di meno.