Giandomenico Picco, La Stampa 21/11/2007, 21 novembre 2007
Una recente copertina di Newsweek titolava: «Il paese più pericoloso al mondo non è l’Iraq. il Pakistan»
Una recente copertina di Newsweek titolava: «Il paese più pericoloso al mondo non è l’Iraq. il Pakistan». Analisti internazionali erano arrivati a tale conclusione dieci anni fa, ma pochi ci fecero caso. Non si può essere «il più pericoloso» se non si è anche un Paese influente, le cui azioni possono avere un effetto profondo su una parte significativa del globo. Il Pakistan non esporta petrolio, con 170 milioni di persone il suo Pil è un quarto di quello italiano. Ma ha un ruolo importante per molti Paesi musulmani e per il loro futuro. Primo e unico Paese islamico ad avere ordigni atomici; legami contradditori con talibani e Al Qaeda; alleato degli Usa; con stretti rapporti con il regno saudita; una popolazione principalmente sunnita ma con un 22 per cento sciita; amico della Cina in chiave anti-indiana. Le scelte del Pakistan - mosaico di geopolitica come forse nessuno altro Paese - avranno un impatto mondiale: l’evoluzione dell’estremismo sunnita, ideologico e operativo; il futuro rapporto tra sunniti e sciiti nel mondo islamico; il futuro dell’Afghanistan; la proliferazione nucleare. Inoltre il ruolo di partner del Pakistan con diversi Paesi, non sempre in accordo tra loro, come Usa, Cina e Arabia Saudita, continuerà a essere oggetto di attenta analisi. L’immagine del primo Paese nucleare islamico, il ruolo di difensore del Kashmir islamico sin dal 1947 e nel corso di guerre contro l’India e l’appoggio sostanziale dato ai combattenti afghani contro le truppe sovietiche negli Anni 80, costituiscono elementi chiave nell’immaginario collettivo musulmano quando si parla di Pakistan. Lo stato d’emergenza dichiarato dal presidente Musharraf ha reso tali rapporti ancora più complessi. Il Pakistan deve giocare contemporaneamente su due scacchiere: quella musulmana (interna e regionale) e quella mondiale. Ma sono due partite dove le mosse non sono le stesse, anzi a volte possono apparire contraddittorie. Entrambe hanno un effetto sul mondo, ma entrambe hanno un effetto anche sulla realtà interna del Paese. Le aspettative dell’Occidente non sono quelle di altri stati della regione e in alcuni casi non sono quelle dei gruppi interni al Pakistan. Basta guardare all’Afghanistan: Islamabad, grande sostenitore dei talibani fino al settembre 2001, ha cambiato rotta da allora come gli alleati richiedevano, ma all’interno questo cambiamento non è stato da tutti condiviso: i talibani e Al Qaeda si sono rifugiati nelle valli. Nel Nord Waziristan, intorno a Mirali, hanno stabilito un emirato islamico che dichiara obbedienza al mullah Omar, già leader talibano a Kabul. Alcuni alleati del Pakistan si aspettano un Afghanistan dove le donne non debbano indossare il burka e le statue di Buddha non vengano distrutte, altri nel Paese sperano in un compromesso fra gli afghani oggi al potere a Kabul e i talibani. Quale soluzione porterà maggiore sicurezza agli afghani, al Pakistan e al mondo? Musharraf appare condannato a giocare su due scacchiere contemporaneamente. Ma non va dimenticato che il fenomeno talibano e le sue ramificazioni non germogliarono nelle valli del Pakistan occidentale durante un governo militare a Islamabad, ma durante una governo civile. Il vero dilemma è capire se le azioni necessarie per la stabilità interna del Paese e la sicurezza internazionale che il Pakistan influenza, coincidano. Stampa Articolo