Federico Geremicca, La Stampa 21/11/2007, 21 novembre 2007
In fondo, questa storia potremmo cominciarla da qui, dal sorriso beffardo e dalla soddisfazione postuma di un signore che forse non se lo sarebbe mai aspettato: «Di questa "nostalgia di Guazzaloca", di un ritorno in campo per la corsa a sindaco, hanno parlato altri, non io
In fondo, questa storia potremmo cominciarla da qui, dal sorriso beffardo e dalla soddisfazione postuma di un signore che forse non se lo sarebbe mai aspettato: «Di questa "nostalgia di Guazzaloca", di un ritorno in campo per la corsa a sindaco, hanno parlato altri, non io. Perciò, non smentisco niente. Se ne ha voglia, scriva solo che sto facendo un altro mestiere: ma che sono attento ai problemi della città». E in effetti, non ha gran senso attendersi da Giorgio Guazzaloca una parola in più. Un sì o un no, per dire. Se è vero, per esempio, che il centrodestra bolognese vuol ricandidarlo alla guida della città; o se il suo nome vien fatto rimbalzare - e magari da chi meno te lo aspetti - solo per accentuare certe critiche a Sergio Cofferati, sindaco improvvisamente discusso e contestato. E’ questa, infatti, la storia che merita d’esser raccontata: chiamiamola la parabola di Cofferati. Due anni fa s’avviò - con il motto "legalità e sicurezza sono valori di sinistra" - per una strada lungo la quale l’hanno poi raggiunto tutti, Veltroni perfino: era l’epoca di successo del sindaco-sceriffo, stima, imitazioni, l’essere perfino indicato a modello. Oggi non ha più una maggioranza in consiglio, i sondaggi lo danno in consenso calante, ambienti di certa intellettualità bolognese manifestano nei suoi confronti una sorta di rigetto e - soprattutto - ha spinto il braccio di ferro con la sinistra radicale fino alla frattura, cosicché qui si rischia il voto anticipato in primavera. Possibile che succeda tutto questo a Cofferati? Possibile. E forse voluto addirittura: sia - intendiamo - il rapporto aspro con certi ambienti cittadini (vicini, dicono, al grande "clan" dei Prodi), sia la rottura con la "cosa rossa", che potrebbe fare di Bologna una sorta di laboratorio per l’esordio del Partito democratico "a vocazione maggioritaria", da solo al voto contro tutti. La giacca di tweed a scacchi, bretelle e pantaloni di velluto, Cofferati osserva pensieroso il piccolo castello di regali che ingombra una delle scrivanie nel suo ufficio da sindaco della città: sono per Edoardo, appena nato. In cima un pacchettino dal rosso inconfondibile che custodisce minuscole scarpine Ferrari, regalo del presidente della Fiera di Bologna, Montezemolo. «Con la sinistra radicale ci stiamo confrontando - dice Cofferati -. Se riusciamo a chiudere, come spero, bene. Altrimenti si torna a votare. E se si vota dopo una rottura, mi pare plausibile che ci si presenti agli elettori ognuno per sè». Come a Guazzaloca, non ha senso chiedere a Cofferati una parola in più. Se intende, per dire, ripresentare la sua candidatura o se sono vere le voci maliziose che lo darebbero alla vigilia di una "impegnativa scelta personale", cioè uscir di scena: «Ne parleremo - taglia corto -. Naturalmente quando lo decido io». E’ anche questo modo di fare - aspro fino all’eccesso - ad appesantire le critiche che gli indirizzano, ed a testimoniare addirittura - secondo alcuni - della fondatezza dell’accusa capitale che gli vien mossa: di non amare Bologna, di non essersi integrato e, a dirla tutta, di non avere alcuna voglia di farlo. «Ha perfino fatto nascere suo figlio a Genova», mormora qualcuno in città. Cofferati non replica: «Qui la politica non c’entra, sono questioni da psicanalista». Eppure, Gianfranco Pasquino, esponente di quella "intellettualità critica" di cui dicevamo, annota: «A molti politici ogni tanto scappa il famoso "io amo questo paese", no? Bene: se a Cofferati scappasse di dire "io amo Bologna" la città non gli crederebbe, perché non gliel’ha mai dimostrato». La sensazione è che i rilievi circa l’"estraneità" di Cofferati rispetto alla città, non è che non siano magari fondati, ma servano soprattutto a rafforzare obiezioni ben più politiche: che riguardano la collisione cercata con la sinistra radicale sul tema-sicurezza e il vizio d’origine d’esser stato scelto dai soli ds come candidato sindaco, nella città di Prodi. Nella sua bella casa bolognese, il sociologo Marzio Barbagli, un pioniere nel segnalare l’emergere di una questione-sicurezza, spiega: «Già Cofferati lo scelsero i Ds, poi informarono la Margherita: magari parte dei problemi di oggi, nascono lì. Anche perché io non capisco come tutto possa invece dipendere dallo scontro del sindaco con la sinistra radicale sulla sicurezza, visto che - diciamoci la verità - siamo di fronte a una guerra soprattutto simbolica, con alcuni che sono rimasti fermi al passato ed un altro che ogni tanto compie gesti clamorosi, spesso inefficaci». Inefficaci. O insufficienti. Come la camionetta dei carabinieri ferma, ora che è già buio, in piazza Verdi, zona universitaria, un po’ il Bronx di Bologna. Passi affrettati e aria pesante, naturalmente: ma niente che appaia granché diverso rispetto a qualunque altra media-grande città. «E infatti, fermo restando che della sicurezza ci si deve occupare, questa guerra del sindaco alla sinistra radicale sembra fatta per creare tensioni e acuire problemi, più che per risolverli - accusa Andrea Papini, deputato bolognese di provata osservanza prodiana -. Con loro bisogna ricucire, non cercare la lite». Papini non ama Cofferati, magari non è il solo, e non lo ama dall’inizio: «Non apprezzai affatto il metodo della scelta: Bologna ha 400mila abitanti, non è un paesino di montagna, saremo ben capaci di esprimere un sindaco, o no?». E infatti non pare entusiasta dell’ipotesi di una ricandidatura di Cofferati: «Lui - spiega Papini - ha detto che ci farà sapere qualcosa il 18 giugno... Bontà sua. Io sarei per un rinnovamento». Per tante cose, insomma, questa dinamica bolognese ricorda certe polemiche tra Prodi e Veltroni, quando il premier pareva preoccupato che la "vocazione maggioritaria" del Pd veltroniano e le tensioni con la sinistra radicale potessero indebolire il suo governo. Qui il succo è lo stesso, ma a parti rovesciate, e a volere il "chiarimento" e a dirsi pronto a mettere in pista il Pd solo contro tutti, è chi governa. «Per quanto mi riguarda - sentenzia un Cofferati battagliero - il tema del confronto con la sinistra è semplice: si chiama cultura di governo». E il "cinese", in verità, non sembra uno sul punto di mollare: con buona pace delle voci che lo vorrebbero a Genova (città dove vive la sua compagna ed è nato suo figlio) a dirigere l’Ente porto o il "Carlo Felice". «Fandonie. E poi, visti i rapporti col sindaco Marta Vincenzi...», ironizza qualcuno del suo staff. "La Marta", si dice, non avrebbe perdonato a Cofferati di aver sostenuto il suo rivale nelle primarie per la scelta del sindaco. Tanto che si sussurra che tra le tante telefonate di auguri per la nascita del piccolo Edoardo, quella della Vincenzi a Cofferati non sia mai arrivata. Vero? Falso? Piccoli screzi tra "sindaci rossi". Ma questa, magari, è tutta un’altra storia... Stampa Articolo