Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  novembre 21 Mercoledì calendario

FRANCESCO GRIGNETTI

ROMA
«I figli degli immigrati devono avere gli stessi diritti degli italiani». Un’affermazione di principio così intransigente, forse non se l’aspettavano, ma Giorgio Napolitano ha sorpreso tutti. E così la celebrazione della Giornata dei diritti dell’infanzia è diventata tutta un’altra cosa dopo che il Capo dello Stato ha preso la parola. Il Presidente aveva appena ascoltato l’intervento di un giovanissimo immigrato, studente modello, figlio di extracomunitari, nato in Italia. L’ha incoraggiato: «Ti auguro di prenderti la cittadinanza al più presto». Quindi il monito al mondo della politica: «Bisogna cambiare una norma che è troppo restrittiva, bisogna aprire canali nuovi di accesso alla cittadinanza italiana». E ha aggiunto: «I diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione sono gli stessi, comunque siano entrati i loro genitori in Italia». Con l’occasione, il Capo dello Stato ha anche bacchettato i politici troppo lesti a tentazioni xenofobe: «Evitare che in Italia dilaghi la violenza, specie se impunita. Ma guai a passare ad atteggiamenti di indiscriminata accusa. Si è sentito dire che i rom, che tutti i romeni, sono il male». E invece «non bisogna aver paura ma integrare, far rispettare la legge, dare cittadinanza a giovani che sono nati in Italia».
Appunto, dare la cittadinanza a chi è nato qui. Ciò significa cambiare la legge esistente. In Parlamento c’è una proposta del governo per velocizzare le pratiche sulla cittadinanza (che l’immigrato acquisirebbe dopo 5 anni di regolare residenza in Italia, e dopo un corso di studi per i ragazzi) che pende da 18 mesi. S’è incagliata tra le secche dei veti incrociati e delle spese aggiuntive. Ma il centrosinistra continua a crederci. Commentano a Palazzo Chigi: «Sono parole alte e nobili. Ci ritroviamo pienamente nel fatto di poter aprire la cittadinanza a nuove energie e a nuove risorse per il Paese. importante aprire le porte ai giovani».
E’ sulla stessa linea anche Luciano Violante, presidente della commissione Affari costituzionali: « irragionevole che un ragazzo nato in Italia, che frequenta le nostre scuole, parla la nostra lingua, e condivide la nostra cultura, non possa essere cittadino italiano solo perché figlio di genitori non italiani. A queste iniquità pone fine la proposta che vareremo dopo la Finanziaria».
Da destra, però, è tutto un fuoco di sbarramento. Anche contro il Colle. «Questa è una autentica invasione di campo: il Capo dello Stato rimanga al suo ruolo», dice Massimo Polledri, senatore della Lega. «L’attenzione giusta che il Capo dello Stato riserva ai figli di immigrati residenti in Italia non può spingersi fino ad ipotizzare di concedere senza sconti la cittadinanza. Essere in un posto non vuol dire aver assimilato ed accettato i suoi principi. E questo Napolitano dovrebbe saperlo bene», sostiene Maurizio Gasparri, An. «Con il dovuto rispetto per il Presidente della Repubblica, la cittadinanza non può rappresentare uno strumento per favorire l’integrazione, ma solo il riconoscimento di una integrazione compiuta», dice Maurizio Ronconi, Udc.

Sulla cittadinanza si confrontano due posizioni davvero inconciliabili. Gianclaudio Bressa, un prodiano doc, è il relatore che cura la riforma: «Noi - dice - pensiamo alla cittadinanza come un’opportunità. Uno strumento di integrazione. Loro lo pensano come una graziosa concessione, un premio alla fine di un lunghissimo percorso». Jole Santelli, di Forza Italia, sta organizzando le contromosse: «Parlano di problemi tecnici e di copertura finanziaria, ma la verità è che una riforma così non la vuole più neppure la sinistra perché teme di darci un argomento eccezionale, da milioni di voti».
Sul capitolo delle spese, in effetti, c’è un forte contrasto tra ministeri. La riforma, così come la Camera sta per licenziarla, allarga le possibilità di acquistare la cittadinanza ancor di più di quanto proponeva inizialmente il governo. Basterebbero cinque anni di residenza per gli extracomunitari, tre anni per i comunitari, un corso di studi per i giovani, nessuna soglia di reddito. E allora sorgono i dubbi: quanti immigrati ne potrebbero beneficiare? E quanto costerebbe alle casse dello Stato? La commissione Bilancio si è spaventata pensando al sistema sanitario. Ma secondo il ministero dell’Interno, «la riforma non avrebbe una incidenza sulle spese sociali, perché le persone sono già assistite sulla base del permesso di soggiorno».
Secondo gli ultimi calcoli del ministero dell’Interno, la «nuova» cittadinanza costerebbe 43 milioni di euro. Qualche calcolo: oltre ai 556 mila stranieri adulti che ne potrebbero beneficiare, anche 334 mila minori di colpo avrebbero i requisiti per ottenere la cittadinanza. Regolamenti alla mano, questo significa che avrebbero il diritto all’indennità di accompagnamento (se hanno familiari con invalidità civile). La stima è di almeno tremila casi, pari a 16 milioni di euro in spese aggiuntive per il Viminale. Potrebbero diventare 23 milioni tra cinque anni.
Quest’ingente massa di neocittadini avrà poi bisogno di un’impalcatura burocratica che li gestisca. Ci sarebbero maggiori spese da sostenere negli uffici consolari (almeno 17 milioni di euro) e nelle prefetture (circa trecento assunzioni, nove milioni di euro, a cui aggiungere computer e locali). E ancora restano fuori le maggiori spese pensionistiche: l’Inps è stato incaricato di controllare le previsioni con un occhio particolare alla cosiddetta «maggiorazione sociale» per chi percepisce la pensione in Italia e vive all’estero. E’ un marchingegno che garantisce lo stesso tenore di vita, dovunque uno abiti nel mondo, come se si disponesse di 516 euro al mese in Italia. Per il momento ci sarebbero appena 120 anziani a cui calcolare la maggiorazione sociale: di qui una spesa di 200 mila euro. In partenza.
Tutte queste cifre, però, sono aspramente contestate dalla Ragioneria dello Stato, che scrive, a proposito delle indennità di accompagnamento: «La previsione appare sottostimata». I tecnici di Padoa-Schioppa non sono affatto convinti neppure delle previsioni pensionistiche: «E’ necessario che venga esplicitato il percorso argomentativo» che ha portato a quella cifra. «Sarebbe necessaria una clausola di salvaguardia». Ma è tutto il quadro che non li convince. «Si ribadisce la necessità di una quantificazione analitica di tutti gli oneri». /