La Stampa 20/11/2007, pag.7 MARCO BELPOLITI, 20 novembre 2007
Il salotto delle rivoluzioni. La Stampa 20 Novembre 2007. Piazza del Duomo, Piazza Fontana, Piazzale Loreto, Piazza San Babila
Il salotto delle rivoluzioni. La Stampa 20 Novembre 2007. Piazza del Duomo, Piazza Fontana, Piazzale Loreto, Piazza San Babila. La storia di Milano è anche la storia delle sue piazze. Siamo il Paese delle cento città e delle mille piazze. E la piazza è sempre stata nella nostra tradizione il palcoscenico della vita collettiva, punto d’incontro e di scontro, spazio di divertimento e di protesta, d’agitazione e di confronto. Perciò è ovvio che i cambiamenti non possano che avvenire in piazza, o essere annunciati lì mediante atti fisici o simbolici. Anche quando la piazza come realtà fisica, spazio perimetrabile dai passi umani, sembrava aver ceduto la preminenza al mezzo televisivo ed elettronico, si continuava a parlare di piazza telematica e persino di piazza virtuale. Ed ecco Berlusconi palesarsi in Piazza San Babila sotto il gazebo delle firme, impugnare un microfono mal funzionante e annunciare la fondazione del Partito del popolo. Subito Storace, non a caso sensibile alle piazze e ai riferimenti toponomastici, rilancia la sfida e la colloca nel tempo e nello spazio. Dichiara nel suo blog: il lancio di una rivoluzione popolare non a caso parte da Piazza San Babila. Lì è passata una fetta di storia italiana. Persino i dizionari - il De Mauro, ad esempio - registrano la voce «sanbabilino»: «giovane neofascista specialmente di famiglia borghese spesso protagonista di violenze teppistiche». In piazza San Babila si radunavano negli anni Settanta i giovani aderenti del Fronte della Gioventù della sede di Corso Monforte che nei bar e locali dello slargo si davano appuntamento. Poco più in là, in Piazza Santo Stefano e in via Festa del Perdono, c’era il raggruppamento opposto, il Movimento Studentesco. Era il periodo in cui la politica si territorializzava: passando da San Babila con una copia del quotidiano «il Manifesto» o di «Lotta continua» nella tasca si rischiava forte. Così quando i cortei studenteschi dell’estrema sinistra arrivavano nei pressi, la tentazione del servizio d’ordine di correre in avanti con chiavi inglesi e spranghe, per cercare i sanbabilini, era altrettanto impellente. Eppure lì vicino, durante gli anni Settanta, si era installato il negozio di Elio Fiorucci: all’angolo tra Galleria Passerella e Piazza San Babila stessa. Un punto di vendita che apre nel 1967, dopo il ritorno da Londra di Fiorucci folgorato dalla boutique di Biba. Negli anni che poi sono stati definiti di piombo, i colori di Fiorucci danno un tono al luogo. Il suo negozio, inizialmente senza insegna, imperniato intorno alla scala azzurra disegnata da Achille Castiglioni, con le vetrine prive di quinte, che annullano la separazione tra il dentro e il fuori, come ha ricordato di recente Gianluca Lo Vetro, conviveva con le tute paramilitari e i vestiti borghesi dei sanbabilini (cappotti color cammello chiaro e guanti neri), e il verde dell’eskimo dei compagni. L’abito, in quel decennio, fa il monaco. Tutti i Settanta trascorrono così, con fughe e inseguimenti, passaggi rapidi e incursioni, mentre nella Fiorucci Land passano montoni afgani, espadrillas, maglie peruviane e sahariane. Sino alla fine dei Settanta, il decennio lungo del secolo breve. Poi di colpo, in sintonia con il riflusso, spariscono i neofascisti e s’assottigliano i cortei, e in San Babila arrivano i paninari. Siamo nel 1982-83. I ragazzi della buona borghesia milanese che si erano ritrovati al bar «Al panino», in un’altra zona della città, si danno ora appuntamento lì, nello spazio lasciato libero dai giovani del Fronte. Il loro abbigliamento è decisamente disimpegnato: piumino Ciesse, zucchetto, pantaloni jeans 501, scarponi da mandriano e cintura da cow boy. Nuova versione dell’american style. Da Milano la moda dilaga ovunque e tutti, o quasi, i ragazzi italiani attraversano una fase paninara: Enzo Braschi a «Drive In» ne trasmette comicamente il messaggio disimpegnato. Il riflusso ha vinto e la piazza è piena dei nuovi «truzzi»: basta politica. Di contro, nella Milano del periodo si diffonde la moda Punk, i ragazzi e le ragazze vestono dark e appaiono i Metallari. I pestaggi non cessano, semplicemente emigrano, da Piazza San Babila si spostano fuori dalle scuole e dalla discoteche, dove le risse tra paninari e punk si accendono di frequente. Durante la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta, la piazza luogo d’incontro sembra perdere forza. I nuovi negozi della moda hanno scacciato i bar e i locali, e la vetrinizzazione della città, come l’ha definita Vanni Codeluppi, ha la meglio sugli assembramenti giovanili. La moda s’impadronisce di Milano, e San Babila diventa una corona di vetrine. Anche Fiorucci arretra. Nel 1984 ha raggiunto il suo apice con l’arrivo di Kaith Haring: novello Michelangelo, il newyorkese affresca le pareti della Cappella Sistina di Galleria Passerella. Il fioruccismo stempera se stesso nel mass style, e la piazza resta a guardare. Il fulcro di Milano sembra spostarsi in periferia, verso i centri sociali; nasce la nuova stella dei Navigli. Fino a che la politica, come è accaduto ieri, non riscopre il centro, complici i gazebo d’ispirazione leghista: la città come luogo di scambio e di passaggio, Milano dei city user, città dei pendolari di lusso. Ma questa è un’altra storia, un capitolo che sta iniziando, e di nuovo in Piazza San Babila. MARCO BELPOLITI