La Stampa 20/11/2007, pag.13 CARLO BASTASIN, 20 novembre 2007
Balcani, la prossima guerra. La Stampa 20 Novembre 2007. L’ipotesi di una nuova guerra nei Balcani, forse già il prossimo anno, sta entrando negli scenari strategici di Bruxelles e Washington
Balcani, la prossima guerra. La Stampa 20 Novembre 2007. L’ipotesi di una nuova guerra nei Balcani, forse già il prossimo anno, sta entrando negli scenari strategici di Bruxelles e Washington. Solo dieci giorni dopo aver teso la mano alla Serbia, la Commissione europea ha inasprito i toni, minacciando Belgrado di interrompere i negoziati preliminari all’accesso all’Unione europea se continueranno le interferenze su Bosnia ed Erzegovina. Una fonte diplomatica vicina alla candidata alla presidenza americana, Hillary Clinton, ha confidato nei giorni scorsi a Berlino di prevedere un nuovo conflitto in Bosnia e Kosovo entro il 2008: «Il peggio - ha commentato la fonte - è che la responsabilità militare è ora in mani europee non adeguate al confronto armato, mentre le forze americane sono assorbite altrove e Washington non è in grado di finanziare nuovi impegni militari». Solo il 7 novembre scorso, il commissario europeo per l’allargamento, Oli Rehn, aveva siglato con il presidente serbo Boris Tadic l’Accordo di stabilizzazione e associazione, considerato un primo passo verso l’ingresso nella Ue. Una concessione accolta a Belgrado come un successo e che non era stata fatta, per esempio, alla Repubblica serba di Bosnia, a cui viene imputata la composizione etnica delle forze di polizia. In dichiarazioni pubbliche nei giorni scorsi però, Rehn ha criticato le trame espansionistiche di Belgrado. In un incontro ieri a Bruxelles, i ministri degli Esteri dell’Ue hanno discusso la situazione della Repubblica serba di Bosnia, invitando Banja Luka, nelle parole di Rehn, «a non cedere alle sirene di Belgrado o di Mosca». In occasione del Consiglio per le relazioni Italia-Stati Uniti svoltosi a Berlino nei giorni scorsi, una fonte americana ha osservato che la situazione è «in accelerazione su un piano inclinato». «Putin sta lavorando sotto il livello dei radar per destabilizzare l’area - ha osservato la fonte - e gli europei stanno facendo il suo gioco». Fonti vicine al Commissario Rehn, osservavano ieri che l’Ue imporrà a Belgrado il vincolo della consegna dei criminali di guerra Mladic e Karadzic, tuttora in contatto con le forze militari. A Washington si ritiene che la strategia europea sia inefficace e troppo morbida: «Non si può minacciare sanzioni economiche a un paese che Mosca è in grado di alimentare con le proprie risorse energetiche». La situazione potrebbe esplodere a dicembre con la dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla Serbia, più probabile dopo le recenti elezioni boicottate dalla minoranza serba su istigazione di Belgrado, come ha sottolineato domenica il rappresentante della politica estera Ue, Javier Solana. L’eventuale proclamazione di indipendenza del Kosovo, ha minacciato il ministro serbo per la questione kosovara Slobodan Samardzic, «non rappresenterebbe il capitolo finale della dissoluzione dell’ex Jugoslavia, ma quello iniziale di un nuovo ciclo di disintegrazione e secessioni nei Balcani». Il 10 dicembre, l’Ue prenderà il posto dell’Onu nelle operazioni di sorveglianza della provincia. Il premier bosniaco Milorad Dodik, stretto alleato del presidente serbo Vojislav Kostunica, ha accennato alla televisione bosniaca a un’unione tra Serbia e Bosnia come compensazione per il distacco del Kosovo. Un rafforzamento dei serbi porrebbe però nuovi inasprimenti nei rapporti con le minoranze. Le condizioni etniche dell’area sono tali da mettere in pericolo le popolazioni minoritarie in ognuno dei tre Paesi. In particolare si sta riaprendo la questione islamica, alimentata da un’immigrazione di cui nessuno è in grado di fare una realistica stima. Secondo la fonte di Washington, «gli europei stanno commettendo lo stesso errore degli Anni Novanta e le conseguenze saranno identiche». In caso di conflitto inoltre sul territorio sarebbero presenti questa volta quasi esclusivamente le limitate forze militari europee, oggi dispiegate in Bosnia e Kosovo. «Non potete aspettarvi che ancora una volta arrivino gli americani non appena si comincia a sparare». E benché il nuovo Trattato dell’Ue abbia mantenuto la funzione del «ministro degli Esteri» europeo, la disponibilità di un servizio diplomatico comune e di una forza rapida d’intervento sono lontane dall’essere all’altezza di un conflitto armato ai propri confini. Il problema dell’inadeguatezza militare dell’Unione europea è stato sollevato di recente dal presidente francese Nicolas Sarkozy che ha condizionato l’adesione di Parigi alla Nato a una maggiore capacità europea di mobilitare le proprie truppe. Nei giorni scorsi è stato il ministro degli Esteri britannico, David Miliband, a proporre di accrescere le capacità di difesa dell’Ue, ma la sua esortazione è stata contrastata dal premier Gordon Brown ancora incerto sulla propria linea nei confronti dell’Europa. Quanto a Berlino, la linea di politica estera è diventata improvvisamente motivo di paralisi nell’azione di governo a seguito della crescente freddezza tra i partiti della Grande coalizione che si riflette nella distanza tra il cancelliere Merkel (Cdu) e il vicecancelliere, il ministro degli Esteri, Frank-Walter Steinmeier (Spd). CARLO BASTASIN