Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  novembre 20 Martedì calendario

Rabbia lirica prime a rischio in tutt’Italia. La Stampa 20 Novembre 2007. ROMA. Dice il maestro Zubin Mehta, indiano di origine, cittadino del mondo, direttore principale del Maggio Musicale Fiorentino: «Lavoro in Italia da vent’anni, è un paese magnifico, ma capirvi, no: è troppo difficile»

Rabbia lirica prime a rischio in tutt’Italia. La Stampa 20 Novembre 2007. ROMA. Dice il maestro Zubin Mehta, indiano di origine, cittadino del mondo, direttore principale del Maggio Musicale Fiorentino: «Lavoro in Italia da vent’anni, è un paese magnifico, ma capirvi, no: è troppo difficile». Da ieri ha ulteriori elementi per rafforzare la sua opinione. Con decorrenza immediata, i principali sindacati dei teatri d’opera hanno proclamato uno sciopero nazionale che potrebbe bloccare tutte le prime previste nei prossimi giorni: Genova, Torino, Roma, Firenze fino al 7 dicembre, quando la lirica celebra il suo rito di rinascita, con l’inaugurazione della Scala. Ma il Tristano e Isotta di Wagner diretto da Daniel Barenboim ora appare davvero incerto. La decisione era attesa, i segnali di disagio si erano moltiplicati: il commissariamento del San Carlo di Napoli, afflitto da un passivo valutato sui 20 milioni di euro; un primo sciopero, il 9 novembre, alla Scala; la tensione, permanente da mesi, al Carlo Felice di Genova e sfociata nella decisione di scioperare questa sera, in occasione della prima del Cappello di paglia di Firenze di Nino Rota; l’occupazione, alla Fenice di Venezia, dell’ufficio del sovrintendente da parte di una quarantina di dipendenti. Nervi tesi ovunque. Il contratto collettivo di lavoro è scaduto dall’inizio 2006, ma - ecco un primo paradosso - la piattaforma di discussione per il nuovo è stata stilata dai sindacati e consegnata ai sovrintendenti la settimana scorsa. Da oltre un anno, il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali ha stanziato 18 milioni di euro per i teatri d’opera, ma la loro erogazione è subordinata alla firma del nuovo contratto. Anche i contratti integrativi, diversi da teatro a teatro, potranno essere firmati solo dopo la definizione di quello nazionale. La Scala aveva tentato una manovra aggirante del divieto, suscitando la stupita disapprovazione degli altri teatri, ma ieri un comunicato del Consiglio di amministrazione si richiama al rispetto di questo vincolo. L’ultima legge finanziaria prevede - per la prima volta, dopo alcuni anni di continua e progressiva diminuzione - un aumento della dotazione del Fondo Unico dello Spettacolo di circa 100 milioni di euro, buona parte dei quali destinati proprio alla lirica. «Questo governo sta facendo qualcosa di più rispetto al precedente, ma non è ancora abbastanza - dice Mehta - gli orchestrali italiani da dieci anni non hanno aumenti e sono pagati meno dei loro colleghi stranieri». Naturalmente anche i livelli di produttività sono ben diversi. Una presa di posizione inattesa e adesso c’è chi immagina di vedere anche lui seduto, come prestigioso mediatore, magari al fianco di Riccardo Muti, al tavolo delle trattative. I sindacati pongono soprattutto due questioni: il ritiro della «Legge Asciutti», che prevede il blocco delle assunzioni a tempo indeterminato fino al 2010 e «la destinazione ai corpi di ballo di una parte dei fondi destinati al risanamento delle Fondazioni». Corpi di ballo stabili ridotti a quattro: a Milano, Firenze, Roma, Napoli. «Ma di fatto la ”Asciutti”, che non abbiamo mai condiviso, è superata - ragiona Walter Vergnano, sovrintendente del Teatro Regio di Torino e presidente dell’associazione nazionale che raggruppa tutti i sovrintendenti -. Dal prossimo 1 gennaio possiamo assumere, purché quel ruolo sia previsto nella pianta organica e si dimostri la necessità del provvedimento». La proclamazione dello sciopero compromette la trattativa? «Ma la vera trattativa non è mai iniziata! Ci sono tutte le condizioni per siglare un buon contratto, che definisca le regole e consenta un aumento della produttività e dunque delle assunzioni. Dobbiamo tutti fare il nostro dovere, che è uno solo: offrire molti spettacoli di qualità al nostro pubblico, che è in aumento». Vergnano prende ad esempio le recenti vicende della Fiat: «La produzione è aumentata, sono arrivate nuove assunzioni. Invece noi abbiamo 18 milioni di euro a disposizione da un anno, ma non possiamo riceverli perché non facciamo il contratto. Così continuamo a pagare interessi passivi alle banche per i debiti pregressi. Non riesco a capire come sia possibile». «Deve prevalere il buon senso», si augura Bruno Ermolli, vice-presidente della Scala, al termine del consiglio di amministrazione. Ne fa parte anche il finanziere Francesco Micheli, da tempo mecenate di diverse iniziative musicali: «Abbiamo preso l’impegno di far parlare soltanto Lissner, a nome di tutti. La situazione è fluida, la decisione dello sciopero nazionale cambia lo scenario». Anche due anni fa forti tensioni scuotevano il teatro. Fedele Confalonieri, che allora faceva parte del consiglio di amministrazione ed era presidente della Filarmonica scaligera, disse: «Milano sa creare un cordone sanitario attorno alla Scala. E’ un mito e un rito, non può essere a rischio». La salvifica profezia si avverò. Funzionerà ancora, mentre l’assessore alla cultura Sgarbi ipotizza: «Se la Scala è chiusa, andremo agli Arcimboldi»? SANDRO CAPPELLETTO