Corriere della Sera 20/11/2007, pag.47 Sergio Romano, 20 novembre 2007
GHEDDAFI E L’ITALIA: DALLE EMOZIONI AL CALCOLO
Corriere della Sera 20 novembre 2007. Dopo 60 anni dalla stipula del Trattato di Pace apprendiamo in questi giorni che il governo italiano avrebbe raggiunto un accordo con il governo libico sui cosiddetti «gesti riparatori» del colonialismo italiano. L’intesa riguarderebbe la costruzione di un’autostrada costiera dalla Tunisia all’Egitto, finanziata da imprese italiane sotto il controllo del governo. Costo stimato dell’opera svariati miliardi di euro. Appare incredibile una vicenda che si trascina da decenni, di cui si sono occupati governi di centrodestra e centrosinistra, e che lascia totalmente in oblio gli interessi di cittadini ed imprenditori italiani, spogliati dei loro beni, delle loro aziende e dei loro crediti verso il committente libico. Ma non esiste una prescrizione per i danni di guerra a potenze danneggiate dall’Italia?
Oppure il petrolio, anche questa volta, fa resuscitare i morti?
Corrado Stillo
Caro Stillo, può darsi che un accordo italo-libico sia effettivamente a portata di mano, ma le confesso che non sarei sorpreso se altre difficoltà, nelle prossime settimane, rimettessero in discussione l’intesa di massima raggiunta dal ministro degli Esteri italiano durante il suo recente viaggio in Libia. Su questa faccenda degli indennizzi pesano, sin dall’arrivo di Gheddafi al potere, un fattore emotivo e un calcolo politico.
Il fattore emotivo è rappresentato dalle esperienze familiari del leader libico. Il colonnello è un beduino, cresciuto sotto una tenda nel deserto del Fezzan, allevato nel ricordo delle battaglie che i vecchi avevano combattuto negli anni Venti contro le truppe di Graziani. Il padre era stato ferito, uno zio era morto e lui stesso, Gheddafi, aveva visto morire accanto a sé un compagno di giochi, ucciso dall’esplosione di una mina, forse italiana. Come ha ricordato nei suoi libri Angelo Del Boca, non vi è intervista a giornalista italiano durante la quale il colonnello non abbia rievocato quegli avvenimenti. I racconti dei reduci intorno al fuoco, nelle sere fredde del deserto, furono il suo primo alfabeto, la sua prima grammatica.
Ma accanto alle emozioni della memoria vi è anche un calcolo politico. La Libia non è una nazione antica, legittimata dalla tradizione e dalla storia. Prima di essere colonia italiana il suo territorio era la somma di due vilayet dell’Impero ottomano, scarsamente popolati e alquanto diversi. Le tribù di pastori, i pochi contadini che coltivavano la terra delle oasi, gli artigiani di Tripoli e Bengasi, le comunità ebraiche della costa e i mercanti di schiavi non erano «libici» e non avevano il sentimento di appartenere a una patria comune. Divennero tali soltanto quando l’amministrazione italiana, durante il fascismo, soppresse i governatorati di Tripoli e Bengasi, creò una pubblica amministrazione, una rete di tribunali, molti villaggi agricoli, piccole zone industriali e qualche infrastruttura come la via Balbia che corre lungo la costa, dalla Tunisia all’Egitto, là dove dovrebbe sorgere la nuova autostrada di cui si è discusso negli scorsi giorni. Il primo capo di questa nuova creazione storica chiamata Libia, fu Italo Balbo, governatore dal 1934 al 1940. Il secondo fu re Idris, leader dei Senussi, a cui gli inglesi dettero un trono nel 1951. Il terzo fu Gheddafi dopo il colpo di Stato del 1969.
Per governare con piglio autoritario, creare un sentimento nazionale e presentare se stesso al popolo come difensore di una identità minacciata, Gheddafi fece ciò che molti in Europa avevano fatto prima di lui. Inventò un «nemico secolare» e coltivò le memorie di una eroica guerra d’indipendenza. Noi, caro Stillo, gli abbiamo fornito i principali ingredienti della sua politica. Può darsi che in tempi recenti il colonnello abbia deciso di adottare una nuova linea. Può darsi che i buoni rapporti con l’Italia e la prospettiva di una grande autostrada a fianco della vecchia Balbia gli sembrino oggi più importanti dell’esistenza di un nemico secolare contro il quale aizzare periodicamente il nascente nazionalismo libico. Se constateremo che ha effettivamente cambiato idea, si aprirà nei prossimi mesi un altro capitolo, non meno interessante: la ricerca del denaro (circa tre miliardi e mezzo di dollari) necessari per la costruzione dei 2.200 chilometri dell’autostrada.
Sergio Romano