Varie, 20 novembre 2007
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Piroddi Angelo
• 1960 (~) Impiegato. Da anni emigrato in Inghilterra, nell’estate 2006 fece scalpore la sua rinuncia a un’eredità di 2,5 milioni • «[...] È l’eredità che gli ha lasciato sua madre, morta il 24 luglio del 1998, dopo aver cercato disperatamente di riabbracciare per l’ultima volta il figlio ch’era scappato via da Barisardo, nel Nuorese, e che le aveva scritto una breve lettera: “Sto bene. Non cercarmi più”. Quell’eredità lui non l’ha mai ritirata, e [...] due sue zie stanno cercando di portargliela via [...] il mistero di questa vicenda sta tutto nell’inspiegabile scorrere dell’esistenza [...] sembrava [...] sparito nel nulla. L’ultima lettera alla madre è del 1992: “Mi trovo a Londra. Sto bene, sono felice, faccio il lavapiatti. Certo, non è il mestiere più ambito del mondo, ma a me piace”. Sua mamma cominciava già a star male, per un tumore, ma lui non lo sapeva. E non sapeva nemmeno che un anno prima era morto il padre, Livio Piroddi. Sua madre, Anselma Chiai, sarebbe mancata qualche tempo dopo, il 24 luglio del 1998, a 66 anni, uccisa dal cancro. Quattro anni e mezzo prima, il 12 dicembre del ’93, aveva scritto il testamento, nominando come unico erede il figlio Angelo Giuseppe e sottolineando a chiare lettere: “Non voglio nel modo più assoluto che alcuno dei miei beni vada alle mie sorelle e ai loro congiunti, né a mia madre”. Le ultime volontà erano state affidate all’avvocato del foro di Lanusei, Giancarlo Piroddi, solo omonimo, nessun grado di parentela con la famiglia. Il legale accettò. Però, quel testamento è rimasto lettera morta [...] Angelo era andato via dall’Italia nel 1989, in cerca di fortuna. E adesso nessuno sapeva più niente di lui. “Voleva conoscere altri Paesi e fuggire da una realtà che gli stava stretta”, hanno raccontato gli amici. E poi era rimasto scosso dalla morte del fratello, che aveva perso la vita in un brutto incidente stradale. “Non s’era più ripreso, voleva scappare da questi posti: gli lasciavano troppi ricordi tristi”. Da allora, Angelo è diventato un volto della memoria, un nome del passato, un uomo senza vita. Anche l’avvocato Piroddi non l’ha mai incontrato, gli ha mai parlato una volta. “Ho imparato a conoscerlo solo fra le carte”, racconta. “Ma credo di essermene fatto un’idea abbastanza precisa. È una persona molto sensibile, un uomo buono, un idealista. I suoi amici mi hanno detto che era uno molto chiuso, un introverso. Sua mamma gli voleva un gran bene, come se fosse il suo amore più fragile”. Poi [...] le sorelle di Anselma Chiai hanno presentato un’istanza in base all’articolo 50 del codice civile, secondo il quale, data l’assenza del nipote, potevano vantare il proprio interesse sull’eredità per goderne i frutti. Il tribunale accettò l’istanza, ma non dette esecuzione al provvedimento. Angelo [...] Alla fine è riapparso, assieme alla sua leggenda o alla sua favola, dal nulla all’improvviso, per capire almeno che cosa ci ha insegnato la vita questa volta. Ed è finita come in quel libro di Simenon “Il testamento Donadieu”. Senza eredità» (Pierangelo Sapegno, “La Stampa” 7/8/2010) • «[...] lavora alla Thames Water, società di gestione delle acque per l’utenza di Londra e della regione della valle del Tamigi. Di quei soldi che ha ereditato, di quegli incredibili 2,5 milioni di euro (5 miliardi delle vecchie lire) che poi alla resa dei conti sarebbero forse un po’ meno, ne avrebbe molto bisogno. E però ha spiegato che non li vuole, perché da sua madre non vuole niente, come non ha mai voluto niente quando era ancora in vita. “Lei mi ha sempre dato soltanto dei problemi. E io non voglio diventare ricco. Voglio restare povero, voglio restare quello che sono”. [...]» (Pierangelo Sapegno, “La Stampa” 8/8/2006) • «[...] Le parole che all’ex lavapiatti originario di Barisardo (Nuoro) [...] sono suonate come pietre e che hanno definitivamente rotto i rapporti con la famiglia sarebbero queste: “Se quell’autobus avesse investito e ucciso te, sarebbe stato meglio”. Le avrebbe pronunciate rivolte ad Angelo, la madre Anselma Chiai stravolta dal dolore dopo un terribile incidente stradale nel quale morì il figlio minore, Giovanni Maria che allora aveva 19 anni. Da allora, raccontano in paese, l’emigrato maturò un solo desiderio: fuggire il più lontano possibile. E così è stato. [...] La madre aveva inutilmente provato a ricucire i rapporti e in punto di morte chiesto a un avvocato di trovare il figlio scomparso nel nulla per consegnargli l’eredità (circa tre milioni di euro). Lui aveva già detto di non volere niente “da quella donna lì”. Nella lettera spedita dopo un incontro con i rappresentanti di un circolo di emigrati sardi che lo avevano rintracciato dicendogli che la madre lo cercava, e ritrovata dal legale, l’emigrato si rivolge alla mamma chiamandola in maniera impersonale “signora Chiai”, e dicendole di non cercarlo mai più. Anzi, le dice freddamente: “Per favore, mi dimentichi”» (“La Stampa” 23/8/2006).