Corriere della Sera 19/11/2007, pag.15 Fabio Cavalera, 19 novembre 2007
Hong Kong, la sfida delle due lady di ferro. Corriere della Sera 19 novembre 2007. PECHINO. Le due nobildonne di Hong Kong, Anson Chan e Regina Ip, si giocano la faccia e qualcosa di più nella bella sfida che hanno ingaggiato sul ring della ex colonia inglese dove il prossimo 2 dicembre si vota per assegnare un seggio del Consiglio Legislativo
Hong Kong, la sfida delle due lady di ferro. Corriere della Sera 19 novembre 2007. PECHINO. Le due nobildonne di Hong Kong, Anson Chan e Regina Ip, si giocano la faccia e qualcosa di più nella bella sfida che hanno ingaggiato sul ring della ex colonia inglese dove il prossimo 2 dicembre si vota per assegnare un seggio del Consiglio Legislativo. Non si bada a spese per dare la scossa all’isola, decima economia al mondo. Testa o croce? Messa così sarebbe una banale competizione con un finale affidato alla sorte. Invece la posta in gioco è di ben altro spessore. Per Hong Kong la domanda e l’alternativa sono: il suffragio universale dal 2012, oppure il fiancheggiamento al regime di Pechino che vedrebbe di buon occhio uno slittamento della fatidica data? La piena democrazia di marca occidentale o un ibrido regime rosso-capitalistico, suggestiva invenzione asiatica? Tutto sta nel capire chi fra le due Lady di Ferro (copyright dell’Economist) stapperà la bottiglia di champagne fra due domeniche. Quindici giorni di passione per i supporter in mobilitazione generale. Ieri il primo round con seggi aperti nelle circoscrizioni per scegliere 400 consiglieri di zona (nel 2002 il successo fu dei democratici). Retorica alle stelle e colpi bassi. Si cercano consensi nei salotti e nei fondo scala, nelle botteghe e negli atelier. Anson e Regina si sono dovute sporcare le mani: volantinaggi agli angoli delle strade, jogging con i simpatizzanti, visite con cena nei ripostigli dove vivono gli immigrati più indigenti, serate di beneficenza e feste. Guardaroba fisso: tailleur e tuta. Non è una questione di vita o di morte ma la storia di Hong Kong seguirà un certo percorso a seconda di chi fra queste ricchissime e appassionate signore la spunterà. Non è un verdetto definitivo perché, poi, il piatto forte sarà il prossimo anno con le elezioni generali per la nuova Assemblea. Ma è un discreto antipasto. In sé e per sé una poltrona al Consiglio Legislativo è roba di scarso peso specifico. Il metro per giudicare va oltre la superficiale modestia del dettaglio. Se passa Anson Chan, 67 compleanni, vince il fronte democratico, un mosaico di idee e di religioni: i borghesi moderati e i professionisti, i cattolici e i protestanti che tengono stretta la prospettiva di un liberalismo vero. Vogliono che dal 2012 i cittadini di Hong Kong eleggano direttamente i 60 membri del loro parlamento e pure il Governatore o Alto Commissario. Ora come ora il sistema è misto, 30 dei 60 consiglieri sono nominati dalle corporazioni e dalle associazioni. Una trovata che garantisce alla capitale il controllo sui meccanismi di governo di Hong Kong. Il ritornello è semplice: quelle associazioni e quelle corporazione per tutelare e chiudere i loro affari hanno bisogno dell’okay di Pechino. Dunque, riconoscenza fa rima con obbedienza. La Costituzione parla di Regione ad Amministrazione Speciale: uno Stato (la Grande Cina), due sistemi politici (Cina e Hong Kong). Chi però comanda è la madrepatria. Ad Anson Chan è una convivenza che non piace. Fino al 2001 era «Chief Secretary », il numero due della ex colonia, se ne andò per la disperazione. Per un po’ ha goduto di incarichi di prestigio: come quello nel board della compagnia Richemont che ha il 19,2 per cento della British American Tobacco. Ha chiuso il rapporto e si è rimessa in pista. Se, al contrario, è Regina Ip a prendersi la poltrona del Consiglio Legislativo allora il messaggio è chiaro e Pechino ha una straordinaria carta nella manica. Non che manchino le frizioni ma Regina è pur sempre meglio della Anson che osa persino sollecitare una rilettura della strage di Tienanmen (1989). Non è un mistero: Regina strizza l’occhio ai comunisti da un bel po’. Lei non lo è naturalmente, ha la biografia di una signora aristocratica, cinquantasettenne, che da tre anni se ne stava negli Stati Uniti a studiare per aggiungere un master al suo corposo curriculum. Era ministro della sicurezza di Hong Kong ma nel 2003 fu costretta a mollare. Aveva preparato una bozza di legge «antisovversione» che annullava i diritti civili. Poteva non piacere a Pechino? Regina è la perfetta simbiosi fra quel brillante mondo, che è l’élite dei supermiliardari hongkonghini, e il postmaoismo autoritario e tecnocratico. Dalla sua parte stanno l’Alleanza per il Progresso e il Partito Liberale. Le apparenze ingannano. Etichette dietro alla quali c’è chi pensa che far slittare il suffragio universale non sia un’ idea peregrina. Complici due Lady di Ferro, gli incroci fra Pechino e Hong Kong rischiano di essere pericolosi. Fabio Cavalera