Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2007  novembre 19 Lunedì calendario

Starbucks, la magia del caffè è finita. Corriere della Sera 19 novembre 2007. NEW YORK. Starbucks in crisi? Come si può pronunciare la parola crisi per questo «impero del caffè» passato in vent’anni da zero a 14 mila negozi sparsi in 43 Paesi? Nell’ultimo anno Starbucks ha aperto oltre 2

Starbucks, la magia del caffè è finita. Corriere della Sera 19 novembre 2007. NEW YORK. Starbucks in crisi? Come si può pronunciare la parola crisi per questo «impero del caffè» passato in vent’anni da zero a 14 mila negozi sparsi in 43 Paesi? Nell’ultimo anno Starbucks ha aperto oltre 2.500 locali e, anche se nell’ultimo trimestre ha registrato per la prima volta una «crescita zero» del giro d’affari in molti dei suoi esercizi, vuole tuttora arrivare ad avere 40 mila punti vendita, scavalcando anche McDonald’s che, con 30 mila fast food, è il gigante mondiale della distribuzione alimentare. Eppure nell’America dei superprofitti basta una piccola battuta d’arresto per trasformare una marcia trionfale in una «via crucis». Se ne sta accorgendo Howard Schultz, un entusiasta dell’espresso all’italiana che, dopo aver vagabondato tra i bar di Milano, all’inizio degli anni ’80 decise di provare a catturare la loro atmosfera, trasferendola in una catena industriale di caffetterie che da Seattle si sono diffuse in tutta l’America e poi in tutto il mondo, da Parigi alla Cina, al Brasile (ma non nel nostro Paese, nel timore di un rifiuto dell’imitazione «made in Usa» del suo modello). Locali pensati non solo come il luogo nel quale gustare un caffè di qualità, ma anche come un salotto con sedie e tavolini che si alternano alle poltrone: il posto giusto per incontrare un amico, fare nuove conoscenze, appartarsi a leggere un libro, collegare il proprio computer a Internet. Dall’inizio del 2007 in Borsa l’azione Starbucks ha perso un terzo del suo valore nonostante che la società continui a macinare profitti e che il fatturato complessivo, grazie ai nuovi negozi, sia cresciuto anche quest’anno del 20%. La settimana scorsa è bastato che la società modificasse leggermente le sue previsioni per il 2008 – i profitti cresceranno del 21% invece del previsto 22 – e annunciasse che l’anno prossimo verranno aperti 2.500 nuovi esercizi invece dei 2.600 programmati, per procurare un crollo del titolo del 9%. La spiegazione è semplice: Starbucks non è in crisi, ma non è più percepita come la compagnia «magica» capace di una crescita senza fine, la società il cui valore è aumentato di 50 volte dal 1992 (anno della quotazione a Wall Street) al 2006. La fine del miracolo può avere conseguenze imprevedibili. stata, infatti, proprio la magia della formula Starbucks a consentire a una catena di bar di diventare un luogo trendy di massa, l’approdo del «lusso possibile » – pagare tre o quattro dollari, il doppio rispetto agli altri locali, per un caffè migliore, servito in un ambiente più confortevole – e, alla fine, addirittura uno stile. Da Starbucks si va per consumare bevande e snacks o per spezzare la giornata in un’«isola» pensata da Schultz come un «terzo luogo», tra l’abitazione e il posto dove si lavora. Ma in questi negozi si possono acquistare anche cd musicali, libri e film in dvd: una piccolissima selezione di titoli scelti dalla compagnia tra le «compilation » più suggestive, gli autori più amati dai giovani, le pellicole più impegnate. Un altro straordinario successo: un disco di Ray Charles è stato venduto in ben 5,5 milioni di esemplari, ma anche artisti come Paul McCartney e i Rolling Stones usano Starbucks come canale di distribuzione preferenziale delle loro registrazioni. Mentre i sociologi hanno cominciato a denunciare il rischio di una «starbuckizzazione» della cultura americana, Schultz ha dovuto prendere atto che il miracolo di una catena che continua a crescere a ritmi vertiginosi mantenendo nei suoi locali un’atmosfera confidenziale, intima, da bar artigianale, non poteva essere ripetuto all’infinito.  stato lui il primo, nella primavera scorsa, a suonare l’allarme con una circolare interna (misteriosamente finita sui giornali) nella quale l’imprenditore avverte che i locali di Starbucks stanno perdendo il loro fascino, i loro caratteri distintivi. Chi ci entra non sente più l’aroma del caffè perché la vecchia procedura di preparazione – il caffè macinato e poi trasferito nelle macchine azionate a mano – è stata sostituito da un processo – tanto efficiente quanto asettico – basato su macchine totalmente automatiche: 23 secondi risparmiati nella preparazione di ogni bevanda e niente più aroma di caffè. Con le altre catene della ristorazione – da McDonald’s a Dunkin’ Donuts – che hanno scoperto di poter fare molti soldi aggiungendo al loro menu anche un caffè di qualità, Schultz ha dato un compito quasi impossibile ai manager della società. Tornare allo spirito originario di Starbucks, magari anche percorrendo a ritroso la strada dell’automazione, senza per questo rinunciare all’obiettivo di triplicare il giro d’affari nei prossimi 5-6 anni. Massimo Gaggi