La Repubblica 20/11/2007, pag.41 ANTONIO MONDA, 20 novembre 2007
Il grande fascino della follia. La Repubblica 20 novembre 2007. Il nuovo romanzo di Patrick McGrath, intitolato Trauma, ha ancora una volta per protagonisti dei personaggi caratterizzati da gravi patologie psicologiche, amori morbosi e mai del tutto realizzati, e fallimenti sentimentali ed esistenziali
Il grande fascino della follia. La Repubblica 20 novembre 2007. Il nuovo romanzo di Patrick McGrath, intitolato Trauma, ha ancora una volta per protagonisti dei personaggi caratterizzati da gravi patologie psicologiche, amori morbosi e mai del tutto realizzati, e fallimenti sentimentali ed esistenziali. Il libro, che uscirà domani in Italia presso Bompiani (pagg. 252, euro 17, traduzione di Alberto Cristofori), e solo in seguito negli Stati Uniti e nel resto del mondo, ha un´evoluzione narrativa molto coinvolgente, grazie all´uso efficace della prima persona: colui che narra la vicenda è lo stesso uomo che la soffre fino allo spasimo ed ai confini della follia. Sin dall´incipit («La prima crisi depressiva di mia madre si verificò quando avevo sette anni, ed io sentii che era colpa mia») il tono è dolente, ma anche confidenziale («Come ormai avrete compreso, sono uno psichiatra») ed il lettore è portato ad interrogarsi costantemente sulle riflessioni del protagonista Charlie Weir, un uomo che in gioventù ha sofferto il fatto che la madre preferisse a lui il fratello Walter, un artista di successo dagli atteggiamenti bohemienne. Non è l´unico trauma della sua vita: il matrimonio è fallito dopo il suicidio del cognato, un reduce del Vietnam che lui non è riuscito a curare, ed il padre è un uomo a dir poco inquietante, che vive di espedienti ed ha avuto anche dei guai con la giustizia. Charlie è una persona fragile, condannato alla solitudine e alla ricerca del proprio orgoglio: nelle prime pagine del libro spiega a proposito della sua professione «non abbiate troppa fretta nel concludere che non ci interessi il potere», e poi aggiunge «non è un lavoro scientifico. C´è molto di artistico in quello che faccio». «E´ quello che succede quando lo psichiatra è di qualità», spiega McGrath nella sua casa stracolma di libri a pochi passi da Ground Zero. «Un buon analista deve seguire anche le intuizioni ed i sensi. Deve essere sottile e capire la personalità del proprio paziente: il suo non può essere mai un rapporto esclusivamente scientifico. Il suo protagonista afferma: «Sono le madri che hanno spinto la maggior parte di noi verso la psichiatria: di solito perché le abbiamo deluse». «E´ una battuta che ho proposto come provocazione a vari psichiatri, e si sono detti tutti d´accordo. Personalmente condivido il mio protagonista quando afferma che il senso di fallimento nei confronti del rapporto con il genitore, ed in particolare con la madre, può produrre il desiderio di curare gli altri, o almeno di alleviarne le sofferenze. In uno dei passaggi più dolorosi la madre dice a Charlie, paragonandolo al fratello: "chiunque può fare lo psichiatra. Per fare l´artista invece ci vuole talento". Beh, in questo caso non sono affatto d´accordo: si tratta solo di una battuta perfida del personaggio materno che genera dolore e frustrazione. Un´altra battuta molto forte dice: "Tutti gli psichiatri sono scrittori mancati, esiliati dal loro regno per il bisogno di parlare". «Questo invece è un discorso diverso, che merita un approfondimento. Innanzitutto vorrei riflettere sul dato della solitudine e dell´isolamento dello scrittore: un elemento che molti psichiatri non riescono a sopportare. Nello stesso tempo è necessario approfondire le somiglianze tra i due mestieri: entrambi si muovono nello stesso territorio e devono affrontare simili problemi. Devono capire cosa muove le azioni e la psicologia dell´uomo, perché soffre, cosa significa il dolore. Ovviamente gli obiettivi sono diversi: lo scrittore utilizza questi elementi per farne dell´arte, lo psichiatra ha l´imperativo di curare il proprio paziente». L´impressione che si ricava dal libro è che non sia possibile guarire dai propri traumi. «Preferisco dire che è molto difficile, e che ci vuole un enorme impegno sia da parte di chi ne è vittima, sia da parte di chi è chiamato a curare. C´è un momento in cui l´ex-moglie dice che "le persone non cambiano", e Charlie puntualizza "senza aiuto, non cambiano". Io sono convinto che si possa arrivare anche a risultati importanti. Nel mio libro ho trattato l´abuso sessuale infantile e l´orrore della guerra: in entrambi i casi si tratta di situazioni estreme: traumi terribili e profondissimi, che la mente tende a rimuovere. Ma ogni psichiatra sa che la speranza sopravvive sempre, anche perché altrimenti il loro lavoro non avrebbe senso». Come mai ha deciso di ambientare la vicenda negli anni settanta? «In un primo momento avevo intenzione di scrivere un romanzo che aveva come sottofondo i traumi provocati dalla tragedia dell´undici settembre. Ma poi la storia è evoluta, ed ho visto che mi appassionavo sempre di più alla vicenda di uno psichiatra con un terribile trauma alle spalle che si trovava ad assistere un reduce del Vietnam. La storia è andata indietro nel tempo, e avrà notato che ho voluto raccontare le Torri Gemelle nel momento in cui vennero costruite». Charlie considera il padre un perdente, ma nel libro non ci sono veri vincitori. «E´ proprio così: anche il fratello di Charlie è più una persona di successo che un uomo realmente realizzato. L´unica eccezione è forse la moglie Agnes, che almeno riesce a condurre una vita organizzata e tranquilla». Il libro racconta di episodi di cannibalismo in Vietnam da parte dei soldati americani: le risulta che sia successo? «Sono stati documentati degli episodi di soldati impazziti a seguito di terribili traumi, che hanno cominciato a compiere azioni atroci e selvagge, come mutilare i corpi dei nemici per poi cibarsi delle loro carni. Si tratta di una regressione primordiale di uomini che non attribuivano più alcun senso né alla propria vita né a quella altrui. Nel corso della preparazione del libro ho incontrato alcuni veterani che mi hanno riferito vicende atroci, e mi ha certamente influenzato Home from the War di Robert Jay Lifton». Perché è così affascinato da storie di follia? «Ho letto che Norman Mailer ha dichiarato che ha avuto tutte le sue idee quando aveva vent´anni, e poi per il resto della vita si è limitato ad approfondirle. E´ successo lo stesso anche nel mio caso: ho cominciato a scrivere di patologie psicologiche quasi per caso, e poi, dopo Spider e Follia ho capito di esserne intimamente affascinato. Si tratta di un modo per analizzare come una persona cerca di trovare un significato nell´esistenza. Ed il fatto che questa persona possa essere disturbata ci costringe a valutare quale sia la realtà, qual è il modo limpido e non patologico di vedere le cose». Charlie cita Freud: "la maggior parte di quello che definiamo amore incarna la nostra resistenza alla prospettiva di lasciare casa". «La casa è intesa come la ripetizione del passato, e l´amore rappresenta la resistenza a quella condizione: quella di Freud è un´affermazione cupa, e forse anche cinica, nella quale tuttavia scorgo un fondo di verità». ANTONIO MONDA