La Repubblica 20/11/2007, pag.59 MARCO MENSURATI, 20 novembre 2007
"Questa nazionale è il contrario del Paese lavora sul serio e vince". La Repubblica 20 novembre 2007
"Questa nazionale è il contrario del Paese lavora sul serio e vince". La Repubblica 20 novembre 2007. ROMA - «Le vittorie della nazionale italiana sono uno dei paradossi più affascinanti e strani a cui si possa assistere in questo periodo». In che senso, scusi? «Nel senso che gli azzurri, per come li abbiamo visti in campo a Glasgow combattere e vincere, sono lo specchio su cui si riflette l´immagine di un paese che non c´è. O, meglio, che c´è ma non si vede, perché è nascosto dietro una classe dirigente incapace, vecchia, immobile». La vittoria della nazionale di Roberto Donadoni è stata davvero una bella soddisfazione per il professor Guido Rossi. L´ex commissario della Federcalcio, ex presidente della Telecom e della Consob, è stato l´uomo che, più di tutti, ha puntato sul ct: scegliendolo tra mille, per affidargli il dopo Lippi, sostenendolo di fronte alle prime difficoltà e continuando a incoraggiarlo a distanza dopo l´addio alla Figc. Adesso, di fronte al grande successo ottenuto con la qualificazione agli Europei, il professore si concede qualche riflessione su un mondo ormai da lui molto lontano (in questi giorni sta completando il suo ultimo libro che uscirà all´inizio del prossimo anno per Aldelphi e che promette di fare parecchio rumore). Ha sentito Donadoni? «Sì di solito lo chiamo prima delle partite. Stavolta non ero riuscito a sentirlo prima e così l´ho chiamato dopo. stato molto gentile come sempre, era entusiasta. E io sono davvero contento perché queste soddisfazioni se le merita proprio. E pensare alla diffidenza da cui era circondato... » Si riferisce ai vertici della Figc? «Beh: Abete nei momenti più difficili l´ha sempre ricordato: "Mica l´ho scelto io"... Poi, come al solito, adesso tutti salgono sul carro dei vincitori. Successe la stessa cosa con Lippi... la storia di questo paese». Anche l´ex ct fu esposto a un bel tiro incrociato, prima dei mondiali. «Sì. E noi lo confermammo: l´Italia vinse e tutti quelli che lo criticavano sono saliti sul carro... Fu una brutta scena». A cosa ha pensato quando ha visto l´Italia vincere contro la Scozia? «Ho pensato che i calciatori sono la parte sana del calcio. Mentre chi gestisce il gioco è la parte malata. E questa, a mio avviso, è una metafora perfetta di quello che succede nel resto del Paese. Dove chi lavora, combatte, produce e ha idee è ostaggio di una classe dirigente inadeguata e inetta. Ricordo che una volta, Vittorio Emanuele Orlando disse: "Non vi lamentate dei politici, perché il parlamento è lo specchio del paese". Penso che al tempo avesse ragione. Ma adesso non è più così. Chi comanda è molto peggio di chi è comandato. Basta pensare alla fuga dei cervelli: a Londra, nei mercati finanziari, è pieno di ragazzotti italiani che fanno il bello e il cattivo tempo, che si affermano». Tornando al calcio... «Tornando al calcio e alla nazionale, la vittoria di Donadoni è l´affermazione del principio di competenza sul principio di appartenenza. Solitamente in questo paese vai avanti se "appartieni" a qualcuno, se sei di Cl oppure se lavori per Mediaset. Se sei competente o meno, non importa a nessuno. Donadoni è stato bravo prima di tutto perché con la determinazione, il lavoro e la serietà è riuscito a sovvertire questo principio cardine della nostra società». Donadoni non "apparteneva" a nessuno? E come lo scelse? «Albertini mi presentò una rosa di nomi. Io incontrai questo bergamasco duro e serio, con poca spocchia, umile. E mi piacque. C´era l´ombra di Lippi: andarlo a sostituire non era facile. Era sereno e disse una cosa molto semplice e onesta: "Professore, io posso cercare di farcela". Una bella frase». Tutt´altro stile rispetto a Lippi «Tutt´altro, sì. Lippi, forse, ha più carisma. Lui è più umile. Diciamo che erano l´ideale per il momento che rispettivamente si sono trovati ad affrontare». Andando via dalla Figc disse che il lavoro di risanamento del calcio era tutt´altro che compiuto. E fece la previsione di numerose altre crisi del sistema. Oggi quella previsione si sta avverando. Come pensa che andrebbe affrontata la questione degli ultrà. «Circa un anno fa, dopo la morte dell´ispettore Raciti, i responsabili politici dello sport dissero: fermiamoci a riflettere. Un anno dopo dicono: fermiamoci a riflettere. La verità è che loro non sono proprio capaci di riflettere. Parlano così, giusto per dire qualcosa che colmi un vuoto, un silenzio. E poi si ricomincia da capo. In Inghilterra senza sparare a nessuno, hanno fatto controllare tutti i tifosi, uno per uno. Hanno governato un problema, con serietà e cultura del lavoro. Esattamente quello che manca qui. In Italia nessuno governa più niente da vent´anni. La violenza esplode sempre dove esistono le condizioni: degrado, indifferenza, assenza. E non mi vengano a dire che anche qui la colpa della violenza è degli extracomunitari... la verità è che nessuno, nel nostro Paese, riesce ad andare oltre alla logica, devastante, dell´emergenza». La stessa che lei denunciò lasciando la Figc. «Esattamente. E infatti, passata l´emergenza di Calciopoli, hanno rimesso ai loro posti tutti quelli che io avevo cacciato e che mai avrebbero dovuto rientrare». MARCO MENSURATI