La Repubblica 19/11/2007, pagg.30-31 MAURIZIO RICCI, 19 novembre 2007
Ho visto la fine del petrolio. La Repubblica 19 novembre 2007. CITTA DEL MESSICO. I profeti di sventura l´avevano detto
Ho visto la fine del petrolio. La Repubblica 19 novembre 2007. CITTA DEL MESSICO. I profeti di sventura l´avevano detto. La fine dell´era del petrolio sarà un ultimo, esagerato fiotto fuori misura, sostenuto per alcuni anni. E poi un prosciugarsi repentino, quasi strozzato. Questo sostiene l´ipotesi di Hubbert, questo dicono i discepoli suoi e della teoria del peak oil, lo zenit del petrolio: un massimo record di produzione, seguito da un rapidissimo declino. Ora, possiamo vedere in anteprima e in diretta il tramonto dell´oro nero. Per farlo, bisogna volgere lo sguardo verso occidente, verso il golfo del Messico. I pozzi si esauriscono sempre con quella sorta di convulsione terminale. Avviene ogni giorno. Nel Mare del Nord è, ormai, la regola. Ma quello che sta morendo, nel mare al largo della penisola dello Yucatàn, non è un pozzo qualsiasi. E´ uno dei grandi giacimenti del mondo, quei giganti che, negli anni ´70, sembravano dappertutto ma che, da allora, non troviamo più, anche se ne avremmo un gran bisogno, visto che, tuttora, un quarto del greggio mondiale viene da solo 20 superpozzi. E, fra i grandi, il giacimento dello Yucatàn era un grande, secondo solo all´enorme Ghawar, che fa la ricchezza dell´Arabia saudita: un barile su 40, ogni giorno, sul mercato mondiale, viene dalle piattaforme nelle acque basse del golfo di Campeche. Ora, però, Cantarell muore e, ciò che più conta, muore senza eredi. La sua nascita è avvenuta con un cataclisma unico, che ha stravolto la storia del pianeta e aperto quella dell´uomo. La sua vita è un caso di scuola della traiettoria di un giacimento e di come può influenzare e cambiare la storia del paese in cui si trova. La sua fine – il primo grande vecchio a gettare la spugna negli anni del petrolio difficile – può segnare un altro spartiacque, questa volta nella storia dell´energia e del suo utilizzo per mano dell´uomo. Anche se, si spera, con meno fracasso. Un gigantesco tsunami, pietre arroventate che ricadono dal cielo incendiando le foreste in giro per il mondo, dovunque terremoti ed eruzioni vulcaniche, una esplosione di anidride carbonica che imprigiona il pianeta in un effetto serra all´ennesima potenza, un cielo oscurato che, per anni, inibisce la fotosintesi delle piante. Così, 65 milioni di anni fa, il destino ha spazzato via dalla Terra i dinosauri, quando un meteorite del diametro di dieci chilometri ha colpito la penisola della Yucatàn. L´epicentro dell´impatto è su quella che, oggi, è la costa dello stato messicano di Campeche, a Chicxulub, che, in lingua maya, significa «la coda del diavolo». Il diametro del cratere è di 180 chilometri. E´ in questo catino epocale che si sviluppa Cantarell. Le caratteristiche uniche della sua nascita danno vita ad una serie di pozzi assolutamente atipici. Le foreste e il materiale organico imprigionati nelle macerie dei grandi sommovimenti post-impatto si trasformano lentamente in petrolio in un´area relativamente ristretta e inusualmente profonda. Rispetto ad altri giacimenti americani, ad esempio quelli dell´Alaska, lo strato di rocce petrolifere di Cantarell ha uno spessore dieci volte maggiore. A scoprire che quel braccio di mare può dare petrolio è, nel 1971, un pescatore di gamberetti, Rudesindo Cantarell. In realtà, Rudesindo è soprattutto infuriato perché continua a trovare le sue reti intrise di petrolio ed è convinto che sia una perdita di qualche oleodotto della Pemex. Così continua a viaggiare fino a Veracruz, portandosi dietro le reti, per farsi rimborsare dalla compagnia nazionale del petrolio il suo lavoro perduto. Regolarmente viene messo alla porta, finché, esasperati, gli uomini della Pemex si decidono ad andare a vedere. La gloria del nome è tutto quello che la scoperta darà a Cantarell, visto che, in Messico, il petrolio è nazionalizzato. Ma i tecnici capiscono in fretta di aver trovato un tesoro. Non solo il giacimento è contenuto in confini ben definiti, ma è sormontato da una bolla di gas, che ne mantiene la pressione e favorisce la fuoriuscita del greggio. Nel 1979 è già in produzione e, rapidamente, arriva ad un milione di barili al giorno. La storia del Messico cambia di colpo. Da paese importatore, diventa paese esportatore di greggio. Anzi, il quinto produttore mondiale, il terzo esportatore verso gli Stati Uniti. Praticamente grazie al solo Cantarell, che fornisce il 60-70 per cento della produzione nazionale, un fiume di denaro si dirige verso le casse federali di Città del Messico: le tasse pagate da Pemex costituiscono il 40 per cento di tutti gli incassi pubblici. Ecco perché, quando la produzione di Cantarell, a metà degli anni ´90, comincia a perdere slancio, la vicenda assume i contorni dell´emergenza nazionale. La scoperta del petrolio del Mare del Nord, più o meno negli stessi anni, è stata, per paesi come Norvegia e Gran Bretagna, come un improvviso, e cospicuo, aumento di stipendio che ha consentito di pagare i debiti e sistemare le cose a casa. Ma, per il Messico, è stata una vincita alla lotteria, che ha cambiato la vita. Mantenere la produzione, soprattutto in un momento in cui, come allora, i prezzi del greggio erano bassi, era questione vitale. Così, la Pemex agisce con decisione. Quello che sta accadendo è che la bolla di gas si sta svuotando e non riesce più a mantenere nel pozzo la pressione necessaria a far uscire il petrolio. La soluzione è iniettare artificialmente gas. E´ una tecnica di routine, che viene applicata ovunque, quando il pozzo invecchia e che, probabilmente, viene già utilizzata anche in molti altri megagiacimenti. In Messico, viene adottata con particolare decisione: l´impianto creato per fornire l´azoto da pompare nel giacimento, da solo, raddoppia la produzione mondiale di questo gas. Il risultato del pompaggio è estremamente positivo. Dal 2000, la produzione riprende a correre verso i 2 milioni di barili al giorno. Racconta David Shields, un analista petrolifero indipendente, direttore del periodico messicano Energia a debate: «Nel 2004 e nel 2005, la produzione ha superato il record di 2,2 milioni di barili». Poi, la brusca, repentina caduta: pompare ancora più azoto significherebbe strangolare i pozzi, bloccare in fondo il greggio. Il pompaggio si ferma, il flusso diminuisce: di un quinto in un solo anno. Lo stesso direttore generale della Pemex, Jesus Reyes Heroles, annuncia che il petrolio di Cantarell andrà diminuendo, ormai, al ritmo del 14-15 per cento l´anno. «Oggi – dice ancora Shields – siamo già a solo 1,4 milioni di barili al giorno. Nel 2013 saranno 600 mila, 450 mila nel 2015». Un rivolo che si spegne. Il punto chiave è che non c´è niente di eccezionale nella morte di Cantarell. La sua è una traiettoria standard. Il giacimento perde colpi, si inietta gas, la produzione risale. Ma è come drogare un cavallo da corsa. Dopo una corsa sfrenata, non ne ha più per sempre. «Il petrolio – osserva Shields – resta quello che era. Esce solo prima». Del resto, l´esperienza storica dice che da un pozzo si riesce a estrarre, nell´ipotesi migliore, il 50-60 per cento del petrolio che contiene. A Cantarell erano state stimate riserve per 17-20 miliardi di barili. Ne sono stati estratti finora quasi 12 miliardi. Ugualmente standard è la mancanza di eredi. Il Messico annuncia, in piccolo, quello che avviene nel resto del mondo: non ci sono alternative in grado di sostituire i megagiacimenti in funzione dagli anni ´70. I superpozzi da almeno 500 mila barili, dicono gli esperti, li abbiamo già trovati tutti. Fino al 1970, ne erano stati scoperti otto. Fra il ´70 e l´80 due. Da allora, solo uno, in Kazakhstan. In Messico, i due altri giacimenti su cui punta, attualmente, Pemex (sempre nel Golfo), hanno riserve che non arrivano al 40 per cento di quelle di Cantarell e sono in grado di tamponarne la caduta solo per qualche anno. Di fatto, osserva Shields, la produzione nazionale è già in discesa: «Era di 3,4 milioni di barili al giorno, oggi è di 3,1, scenderà a 2,5-2,6 nel 2010». La morte di Cantarell non riguarda solo i messicani. E´, a suo modo, una morte esemplare. I grandi giacimenti sono tutti destinati a ripercorrerne inevitabilmente la traiettoria. E non ce ne sono altri che possano sostituirli. Vent´anni fa, almeno dodici giacimenti producevano più di un milione di barili al giorno. Oggi, ne sono rimasti quattro e uno di questi è, ancora per poco, Cantarell. L´Agenzia internazionale per l´energia prevede, nel prossimo decennio, una domanda globale di petrolio pari a 116 milioni di barili al giorno. A pochi giorni di distanza l´uno dall´altro, in questo novembre, i capi di due delle maggiori compagnie petrolifere mondiali, la Conoco e la Total, dopo aver polemizzato per anni con i sostenitori del peak oil, hanno ambedue detto che non vedono come si possa mai arrivare a produrre più di 100 milioni di barili al giorno. Cento e non oltre. Poi, probabilmente, dopo lo zenit, un rantolo alla Cantarell. Oggi, la domanda globale è già di 85 milioni di barili e cresce di quasi il 2 pe cento all´anno. Il tramonto del petrolio è dietro l´angolo. MAURIZIO RICCI