Affari & Finanza La Repubblica 19/11/2007, pag.9 ADRIANO BONAFEDE, 19 novembre 2007
Dove va Caltagirone il primo romano nel salotto buono. Affari & Finanza La Repubblica 19 novembre 2007
Dove va Caltagirone il primo romano nel salotto buono. Affari & Finanza La Repubblica 19 novembre 2007. stato fin dall’inizio fra i più entusiasti sostenitori della scelta di Mussari di acquistare Antonveneta: « tornata in Italia una banca importante, molto importante e c’è da esserne soddisfatti», ha detto subito dopo l’annuncio dell’operazione. Indubbiamente si è trattato di una mossa forte, che dà al Monte dei Paschi di Siena il controllo di poco meno del 10 per cento del mercato bancario italiano. E va considerato che lui è vice presidente dell’istituto, oltre che azionista con il 5 per cento. Ma è comunque raro vedere Francesco Gaetano (detto Franco) Caltagirone gioire in maniera così aperta, lui che centellina le sue esternazioni pubbliche. Caltagirone ha un debole per il mondo bancario (ne ha anche molti altri, naturalmente, dall’immobiliare sua iniziale e ancora viscerale passione alla stampa). Ma le banche devono sollecitare qualche sua corda particolare, soprattutto quando riesce a portare a termine un suo disegno. E con il Monte dei Paschi ci aveva già provato nel 2005, quando aveva messo sul piatto, pronto per Mussari, il pacchetto del cosiddetto ”contropatto’ degli immobiliaristi sulla Bnl. Un pacchetto di circa il 24 per cento che avrebbe permesso probabilmente all’Mps, già allora, di fare quel salto dimensionale che solo ora, con Antonveneta, ha fatto. Ma Mussari, benché incoraggiato esplicitamente e pubblicamente da Caltagirone, fece il ”gran rifiuto’. Troppo cara sarebbe costata la Bnl spiegò in seguito il presidente di Banca Mps rispetto a quanto sarebbe stata pagata soltanto un anno prima, quando fu Fazio a stoppare un’operazione già conclusa anche perché aveva in mente altre soluzioni. A questo punto della storia, molti cominciano a domandarsi chi sia veramente Caltagirone. C’è prima di tutto un Caltagironecostruttore e immobiliarista che esiste ancora oggi e costituisce certo l’anima più profonda della sua multiforme ma in qualche modo sfuggente personalità. Almeno metà del suo impero familiare la cui altra metà è quella quotata in Borsa è nascosta dietro la cortina di una miriade di società immobiliari. Certo, ora il business è più trasparente di un tempo. Ad esempio, dopo l’acquisto del Messaggero, Caltagirone ha dichiarato di aver smesso di comprare aree non ancora edificabili da convertire in edificabili. Questo per stornare il sospetto che il giornale venga utilizzato come strumento di pressione sulla pubblica amministrazione, la quale deve decidere appunto su questa conversione. I palazzinari di un tempo, quelli che hanno spesso riempito le periferie di Roma di edifici anonimi e non di rado bruttissimi, guadagnavano più dalla conversione di aree pagate quattro soldi che dalle costruzioni vere e proprie. A chi gli chiede perché mai quest’imponente segmento di business rimanga sotto traccia, lui risponde che non ha bisogno di farlo emergere e portarlo alla quotazione perché, semplicemente, non ha bisogno di far cassa visto che già così com’è genera cassa sovrabbondante. Se nel suo impero quotato gli si attribuiscono 7800 milioni di liquidità che si tiene ben stretti nella holding Caltagirone Spa o nelle controllate sottostanti, in totale quindi considerando anche l’immobiliare fonti molto credibili parlano di 23 miliardi totali. Ciò che farebbero di Caltagirone, com’è stato spesso definito, "l’uomo più liquido d’Italia". Una liquidità che lui tiene nel cassetto e usa con molta parsimonia (perfino troppa visto che alcuni analisti gli rimproverano di averne in eccesso). Ma lui la usa solo quando ritiene di essere di fronte a un affare vero, e non è detto che tutti lo sappiano vedere. Il punto è che come sottolineano molti analisti Caltagirone ha una capacità particolare per rimettere a posto una società e riportarla all’utile o per farla rendere ancora di più. Così ha fatto fin dall’inizio, fin da quando, nel 1983, uscì per la prima volta dal suo bunker, il settore immobiliare: acquistata la società di costruzioni in situazione prefallimentare Vianini dallo Ior (l’Istituto per le opere di religione del Vaticano, allora guidato da Monsignor Marcinkus), in tre anni l’ha riportata all’utile, poi l’ha quotata facendo affluire nelle sue casse 330 miliardi di lire. Bisogna aspettare quasi un decennio per vedere il secondo grande colpo di Caltagirone. Nel 1992 acquista Cementir, soffiandola a un’agguerrita concorrenza. Lui è un outsider ma mette sul piatto della bilancia più soldi di chiunque altro. Troppi, dice qualcuno. Ma lui dimostra invece che l’investimento è giusto. Oggi Cementir, a capo del quale c’è il figlio Francesco Jr., è ormai un gruppo internazionale e produce l’80 per cento dei suoi ricavi all’estero. Inoltre, Cementir con i suoi 1,2 miliardi di fatturato è il vero cuore dell’impero quotato di Caltagirone: infatti pesa per circa tre quarti del giro d’affari totale, che ha raggiunto 1,6 miliardi nel 2006. Come a dire che Caltagirone Spa (la holding), Caltagirone Editore, Vianini, sono in realtà degli accessori al business principale. Dal 1996 Caltagirone inizia un’altra avventura, quella dei media. Compra prima Il Tempo (ma lo rivende subito, uno dei pochi casi in cui il suo proverbiale fiuto imprenditoriale ha sbagliato). Poi però aggiusta il tiro e compra Il Messaggero, poi Il Mattino di Napoli, a cui si aggiungono negli anni successivi il Quotidiano di Puglia, il Corriere Adriatico e, recentemente, Il Gazzettino. Si butta inoltre nella free press con Leggo che diventa in breve il primo quotidiano di questo tipo. Se l’ingresso nel cemento era comprensibile (sebbene non ci sia alcuna sinergia con le costruzioni e l’immobiliare, nonostante quel che comunemente si crede), quello nei media viene visto da molte parti con preoccupazione. Che cosa se ne fa un costruttore dei giornali? Pesa sempre nei suoi confronti un pregiudizio atavico del mondo dell’economia e della finanza verso i ”palazzinari’. Per Caltagirone, comunque, conta avere una vetrina, e si sa che i giornali possono dare prestigio. Ma in ogni caso lui non investe per ottenere notorietà e perdere soldi, non è il tipo, e anche in queste attività riesce a spremere valore. Ma anche il Caltagironeeditore non esaurisce tutti gli aspetti di questo multiforme imprenditore. Infatti fra le sue attività preferite c’è anche quella delle speculazioni finanziarie. Prima si cimenta nell’acquisto di un pacchetto di Rcs, e molti gridano alla scalata, salvo poi ricredersi quando esce dal capitale con una lauta plusvalenza. Il Caltagirone finanziere mette poi gli occhi su Bnl. Diventa capofila, nel 2005, di un variegato e scombinato gruppo di immobiliaristi che si riuniranno poi nel cosiddetto ”contropatto’, pronto a cedere il pacchetto del 24 e passa per cento a chi offre di più. Lui, che nel frattempo aveva acquisito il 4 per cento di Banca Mps, lo offre su un piatto d’argento a Mussari, allora presidente della Fondazione, ma si sa com’è finita. Così, dopo l’inutile tentativo di Unipol, Bnl finisce a Bnp Paribas, ma Caltagirone ”si consola’ con una plusvalenza di 250 milioni. E infine c’è il Caltagironebanchiere. Forse il Caltagirone più enigmatico. Dalla sua stanza di vice presidente nella prestigiosa Rocca Salimbeni di Siena, guarda ora l’espansione della banca con rinnovato interesse. Dove vuole arrivare? E perché lo fa? Per prestigio, indubbiamente, per aumentare la sua influenza, o, meglio, per rendere migliore il concetto che gli altri hanno di lui. Ma quando c’è di mezzo Caltagirone c’è anche sempre un po’ di dietrologia, di sospetto. Ma ora, comunque, l’ex palazzinaro siede nel consiglio d’amministrazione di Generali, nominato non per il suo 1 per cento della compagnia che ha in tasca ma come indipendente per conto di Mediobanca. Non c’è dubbio: Caltagirone è stato ”sdoganato’ dalla finanza che conta. arrivato. Ma dove andrà? ADRIANO BONAFEDE