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 2007  novembre 18 Domenica calendario

Il Taj Mahal dice addio al dollaro. Corriere della Sera 18 novembre 2007. Niente più dollari per il simbolo dell’eterno amore: «Vogliamo valuta forte, cioè rupie»

Il Taj Mahal dice addio al dollaro. Corriere della Sera 18 novembre 2007. Niente più dollari per il simbolo dell’eterno amore: «Vogliamo valuta forte, cioè rupie». Crolla in India – nazione simbolo (insieme alla Cina) del nuovo millennio – e più precisamente al botteghino che vende i biglietti d’ingresso per il Taj Mahal, la residua credibilità del dollaro come moneta «mondiale ». D’ora in poi, i turisti stranieri che vorranno visitare il mausoleo, fatto costruire, nel 1632, dal sovrano moghul Shah Jahan per ospitare i resti mortali della sua adorata consorte Arjumand – secondo una direttiva del ministero della Cultura di New Delhi – non potranno più utilizzare il biglietto verde, come avvenuto finora. «Tenendo conto delle consuetudini internazionali – si legge in una nota ufficiale – e per evitare le anomalie dovute al ribasso del tasso di cambio tra dollaro americano e rupia indiana, con conseguente crollo delle entrate, il governo ha deciso di calcolare il prezzo dei biglietti di ingresso in tutti i siti monumentali solo e soltanto in rupie indiane». All’atto pratico, significa che i 4,4 milioni di visitatori che ogni anno scelgono l’India per una vacanza non potranno più cavarsela con una banconota da 5 dollari per entrare in uno dei 120 siti di interesse, gestiti dall’Archaeological Survey of India (Asi), 27 dei quali sono considerati – il Taj Mahal è un esempio – «patrimonio mondiale dell’umanità». L’ingresso costerà 250 rupie, equivalenti a 6 dollari e 41. «La tariffa di 5 dollari – fa sapere ancora il ministero della Cultura – era stata fissata quando un dollaro corrispondeva a 50 rupie. Ora vale poco più di 39. La moneta Usa è stata in passato la più diffusa tra i turisti. Ma ora le alternative sono tante. Per noi comunque è venuto il momento di far usare agli stranieri la nostra». Se la rupia è considerata «valuta forte», l’euro è adesso addirittura la moneta superstar, anche se qualunque divisa sembra la benvenuta purché non assomigli al biglietto verde della Federal Reserve. Che negli anni scorsi faceva la parte del leone nell’insieme di 6 miliardi di entrate in valuta (calcolati, appunto con il dollaro come riferimento) lasciati dai turisti nelle casse indiane. Il suo crollo non poteva essere ignorato per molto ancora. Chiedetelo a Gisele Bündchen, brasiliana, la modella più bella e pagata al mondo. Nel 2006 ha dichiarato un «bilancio » pari a 33 milioni di dollari. Ora, attraverso sua sorella Patrizia, ha fatto sapere che in futuro firmerà contratti soltanto se i compensi saranno calcolati in euro «perché non sappiamo cosa accadrà al dollaro». Non lo sa Gisele, prova invece a immaginarlo il rapper americano Jay-Z nel suo ultimo video, Blue Magic. L’artista afro-americano gira per le strade di New York a bordo di una Rolls- Royce (e non una Cadillac: scelta anche questa non casuale) con una valigia piena di banconote da 500 euro. Bigliettoni rosa che Jay-Z si diverte a contare e ricontare. E i verdoni? Il simbolo dello Zio Sam e della ricchezza universale? Scomparsi. Prima pagina di ieri dell’Independent: «Il tramonto del dollaro, l’alba dell’euro». Il quotidiano britannico sottolinea come «per un secolo, il dollaro è stato il simbolo della supremazia economica americana. Ora la forza della nuova moneta evidenzia un considerevole trasferimento di potere». Non sappiamo se sia davvero così: per il momento attraverso gli oceani comandano ancora le portaerei americane. Certo la percezione diffusa è che si sia chiusa un’epoca. Come testimonia una conversazione tra due manager colta casualmente a Milano, nel quartiere delle banche dietro via Santa Margherita, pieno centro: «Io ho abbandonato il dollaro e ho convertito tutte le mie riserve. Sai il nostro comune amico? Follia: non lo ha ancora fatto. E ora ne pagherà le conseguenze...». Di diverso avviso, e non potrebbe essere che così, il segretario americano al Tesoro Henry Paulson che, dal Sudafrica, ribatte: i fondamentali dell’economia Usa sono sani, nonostante gli alti e bassi della situazione finanziaria. «La politica del dollaro forte – dice – è nell’interesse della nazione». Evidentemente, non è stato al Taj Mahal, ancora. Paolo Salom