Varie, 20 settembre 2007
Tags : Rebecca Horn
Horn Rebecca
• Michelstadt (Germania) 24 marzo 1944. Artista • «Come tutte le rosse, Rebecca Horn è già “accesa”. E lei lo è in special modo. I suoi occhi verdi sprigionano senza sosta fiammelle di intelligenza ed elettrizzante senso dell’umorismo [...] . È difficile immaginare un’artista che, più di questa sorprendente tedesca, assomigli alle proprie opere... Ludica, paradossale, anarchica, mistica e trasgressiva, refrattaria a ogni etichetta (per quanto i critici l’abbiano considerata soprattutto una protagonista della body art), Horn è famosa per le sue performance e le sculture in movimento, in cui gli oggetti più diversi assumono improvvisamente un inatteso significato poetico, raccontano storie, propongono paradossi: pianoforti e farfalle, violini e martelli, libri e pennelli che volano, danzano, seducono l’osservatore... Ha tenuto mostre memorabili al Musée d’Art Modern de la Ville de Paris, alla Tate Gallery, al Museum of Contemporary Art di Los Angeles, alle londinesi Serpentine Gallery e Hayward Gallery, al Guggenheim Museum di New York (nel ’93, con una straordinaria personale) spiazzando puntualmente critici e pubblico con originalissime “invenzioni”. Ciò non le impedisce di avere ancora un rapporto molto forte con il disegno e di trarne notevole piacere. “Ancora oggi, qualsiasi cosa faccia, tutto comincia con un disegno”, confessa. “Prendo le mie matite colorate e do il via a un lavoro, adesso come quarant’anni fa”. [...] La sua personalissima ricerca è stata definita “arte come energia”. Vengono in mente le parole di William Blake: “Exuberance is Beauty, la Bellezza è energia”. “Quando ho cominciato”, spiega Rebecca Horn, “dalla metà degli anni 60 e all’inizio dei 70, sono partita dal corpo, dall’esperienza del mio corpo e poi, progressivamente, ho allargato il campo dei miei interventi nello spazio esterno, facendo interagire oggetti vari. Fin dall’inizio, comunque, il movimento ha avuto un ruolo molto importante in tutto quello che ho fatto e così lo studio della luce”. “Eppur si muove”, sarebbe legittimo dire della sua opera. Sì, tutto si muove e tutto cambia, sotto il suo sguardo di prodigiosa alchimista. “La trasformazione», dice, “fa parte della natura. È una sua legge. Se prendiamo una cosa, questa cosa può diventare qualcos’altro, cambiare e suggerire una nuova idea, un aspetto assolutamente impensabile, mutare identità, avviare un processo di meditazione. Io uso spesso oggetti ma la loro realtà materiale si trasforma sempre in qualcosa di immateriale, di spirituale”. Aggiunge, per non lasciare spazio a equivoci: “Il fatto che io lavori con il corpo e che sia stata considerata una body artist dai critici, non deve far dimenticare quanto importante, in quel che faccio, sia la mia ricerca intellettuale. Sarebbe assurdo dare all’energia semplicemente una dimensione fisica: ne possiede anche una spirituale”. Il suo talento magico-alchemico, la sua capacità di far dialogare corporeità e tecnologia, l’ha portata ad anticipare una tendenza che si è affermata ormai come una precisa, forse inquietante, realtà di un mondo che non a caso è stato definito post-umano in cui i corpi possono essere manipolati, integrati e trasformati grazie ai prodigi dell’hi-tech. Stephen Hawking, il più grande scienziato dei nostri tempi, non è forse un cyborg, dal momento che riesce parlare e a esprimersi mediante un computer? “Il mio rapporto con la tecnologia è importante ma può essere frainteso”, dice l’artista tedesca. “Io uso le tecnologie come un linguaggio. Ma non mi interessa la tecnologia in quanto tale: la uso per andare oltre”. Non è stato scritto che le sue sofisticatissime macchine, ideali per confermare la passione tutta tedesca per l’alta ingegneria, posseggano “un’anima”? “Comunque, è preoccupante”, precisa, “dover constatare come oggi la maggior parte della tecnologia sia molto distruttiva. E questo, oltre che pericoloso, è assurdo”. Se la sua arte si situa all’incrocio tra corporeità e tecnologia, non è meno vero che riesca puntualmente a raggiungere un perenne contatto tra divertimento e profondità. Perché l’ineffabile miss Horn sa sempre come condurre il gioco... “È vero, il gioco è un elemento essenziale delle mie installazioni e sculture mobili”, ammette. “Però, la sua vera finalità è quella di dare vita a uno scambio di energia con coloro che vengono a vedere le mie opere. In un certo senso, getto un ponte tra teatro e arte visiva. Ma questo ‘teatro?’ è la strada che propongo all’osservatore per scoprire qualcosa di se stesso, non fargli assumere un ruolo passivo e dargli nuovi motivi di riflessione”. Commedia e dolore - sostiene - sono le due facce indissociabili della vita. Come sottovalutare che il suo eroe sia stato e rimanga Buster Keaton? “Sì, mettere insieme cose o realtà apparentemente diverse è per me del tutto naturale: il cinema e la mitologia, il corpo e la tecnologia”. Sorride. Una sua indimenticabile performance fu Unicorn, in cui un grande unicorno svettava sulla fronte di una ragazza quasi nuda rivisitando l’antico mito. Quasi un trade-mark di un’artista unica. Appunto Unic(h)orn» (Massimo Di Forti, “Il Messaggero” 20/9/2007).