Varie, 1 giugno 2007
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MONDADORI FORMENTON Cristina Milano 14 marzo 1934 • «La madre, donna di grande personalità e sorella di uno scrittore come Tommaso Monicelli, soleva dire che le donne colte rendono gli uomini infelici
MONDADORI FORMENTON Cristina Milano 14 marzo 1934 • «La madre, donna di grande personalità e sorella di uno scrittore come Tommaso Monicelli, soleva dire che le donne colte rendono gli uomini infelici. Il padre, al momento di scegliere fra le magistrali e il liceo classico, invece, difese la sua voglia di studiare e diventare, un giorno, medico. Niente editoria per l’ultima figlia di Arnoldo Mondadori [...] ”La Mondadori era qualcosa di famiglia, qualcosa che è cresciuto con me e di cui ero fierissima, pur non occupandomene mai” racconta ora Cristina, nata quando Arnoldo, superata la quarantina, già guidava un gigante editoriale. Lei ha creato, in memoria della nipotina Benedetta D’Intino, mancata a 15 mesi per una disfunzione cardiaca, una fondazione che si impegna a livello internazionale di assistenza ai bambini. Ma si occupa anche della la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori (di cui è presidente, che è un grande archivio della nostra editoria, e il contenitore della lunga memoria della casa editrice di Segrate. E a lei, per uno strano gioco del destino, è toccato di ”traghettare” l’azienda di famiglia verso una nuova proprietà. Di vendere nell’88 a Berlusconi. Senza rimpianti? ”Senza rimpianti. I miei figli erano molto giovani. E in quel momento avevamo grossi antagonisti, non avremmo retto la concorrenza. Non me sono mai pentita. Per quanto il passaggio sia stato doloroso e travagliato, ci ha lasciato la possibilità di acquisire il Saggiatore, che era la casa editrice di mio fratello. E io sono riuscita a realizzare quel che avevo sempre sognato: la Fondazione. Non solo il centro milanese, ma anche quelli in India e Bolivia [...] Continuo a leggere i bilanci della Mondadori. Mi fa piacere che sia un tale gigante. Rispetto a quella di mio padre e di mio marito, Mario Formenton, è cinque volte più grande. Detto questo, è ovvio che non è più la casa editrice di famiglia, anche se mia nipote Martina siede in consiglio di amministrazione. un’altra cosa”. Lei ha avuto un ruolo decisivo. Tra scontri e polemiche molto duri. Ha detto no a Carlo De Benedetti, anzi come dice nel libro che ha pubblicato nel 2004, Le mie famiglie (edito da Bompiani a cura di Laura Lepri) ha fatto il ”ribaltone” in favore di Berlusconi, che prima era sostenuto solo da sua sorella Mimma e suo nipote Leonardo. ”Con la conseguenza che, tolto qualche amico, moltissimi ci hanno voltato e spalle. A me e a miei figli” Un problema ideologico? ”Berlusconi non era ancora entrato in politica. Ma certo non era uno da salotti radical-chic. De Benedetti era molto più inserito. Noi però abbiamo venduto la Mondadori a chi offriva di più, e a chi, nei nostri confronti, è stato molto onesto”. Avevate un accordo con De Benedetti, in quel momento socio, e caro amico di famiglia. Lei scrive che alla scomparsa di suo marito, nell’87, le disse: sarò un padre per i tuoi figli. ”Pensavamo che fosse un amico. Non è stato così. Avevamo firmato un impegno a vendere, subito dopo la morte di mio marito. Fra l’altro l’esecutore testamentario ci rimproverò di essere stati un po’ ”bambascioni’. Quel che ci colpì molto negativamente fu però che De Benedetti diceva apertamente di considerare sua la Mondadori. Ci siamo sentiti molto feriti da un’affermazione del genere. Da un amico non ce l’aspettavamo. Sapevamo che tutte le azioni in giro erano state acquisite. Il suo atteggiamento di protezione nei nostri confronti cambiò completamente”. Ci furono grandi pressioni. Veniste attaccati molto aspramente. Ritiene che Milano ve l’abbia fatta pagare? ”Sì. Tolto qualche amico, direi che abbiamo perso moltissimi contatti, subito moltissime critiche [...] Avrei voluto allora più amicizia nei confronti miei e dei miei figli. Qualcosa però non si può dimenticare. Per esempio Piero Ottone che scrisse di me definendomi ”una vedova sprovveduta’. Non l’ho mai più incontrato. Con Eugenio Scalfari invece ci siamo rivisti [...] Abbiamo parlato d’altro, e devo dire che mi ha fatto molto piacere. Posso capirlo, era parte in causa. Aveva un suo sogno della ”grande Mondadori’. E comunque, è acqua passata”. Arnoldo, poverissimo diciottenne divenne titolare della cartoleria-stamperia di Ostiglia, dove era entrato come garzone. Fu l’inizio di tutto. Lei lo ricorda già uomo di successo, ovviamente. ”Ma non era cambiato per nulla. Era sempre l’incatabiss, detto in mantovano. L’incantatore di serpenti. Che aveva però un amore sviscerato per i libri. Ho vissuto la Mondadori come una grande avventura di mio padre. In casa non si parlava di impresa, di affari, ma di libri, riviste, idee e autori. Papà era un artigiano [...] I suoi affari contatti di lavoro li coltivava ogni martedì al Rotary. Per il resto, parlava con gli autori. Percepiva sempre con un istante d’anticipo quel che l’interlocutore si aspettava; era una dota naturale. La Mondadori è diventata grande sulla base del suo amore per i libri. Gli piaceva ripetere che con i libri non si diventa ricchi [...] Non ci sentivamo ricchi. Non avevamo frequentazioni nella grande borghesia milanese. Persino quando acquistò la villa a Portofino, papà mantenne i suoi tempi contadini. Scendevamo in piazzetta all’ora dell’aperitivo,ma ordinavamo l’elisir di camomilla. Era quasi ora di andare a letto, per noi”» (Mario Baudino, ”La Stampa” 1/6/2007).