Varie, 6 maggio 2007
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FILIPPANI RONCONI Pio Madrid (Spagna) 10 marzo 1920, Roma 11 febbraio 2010. Orientalista • «[...] alto un metro e settantasei
FILIPPANI RONCONI Pio Madrid (Spagna) 10 marzo 1920, Roma 11 febbraio 2010. Orientalista • «[...] alto un metro e settantasei. Una volta, dice, arrivava al metro e settantotto. Ha gli occhi grigio-verdi, come la vecchia divisa dell’esercito, zoppica lievemente per una ferita di guerra ed è stato cintura nera di aikido. Quando boxava era un temuto peso medio, soprattutto per il suo destro. Guerriero prima ancora che studioso [...] uscito indenne (o quasi, una scheggia di granata gli è rimasta conficcata tra cervello e colonna vertebrale) dalle tempeste d’acciaio della guerra. Non però dalle accuse scatenategli dal sindacato interno del Corriere della Sera: scoperto il suo passato nelle Waffen SS [...] è sospesa la sua collaborazione con le pagine culturali. Eppure i titoli per scrivere di filosofie e religioni orientali non gli mancano. Il curriculum del conte Pio Filippani Ronconi, patrizio romano di famiglia economicamente decaduta, è impressionante. Conosce tutte le principali lingue europee (viventi e defunte) più l’arabo, il persiano, il turco, il sanscrito, il pali e il cinese. Una quarantina. Ha pubblicato 140 tra saggi, studi e articoli, come Ismaeliti ed Assassini (Arché), Miti e religione dell’India (Newton Compton), Storia del pensiero cinese (Bollati Boringhieri). Ha tradotto in italiano antichi testi, tra cui le Upanishad (sulle quali si suicidò Pierre Drieu La Rochelle) e il Canone buddista, che tutti gli orientalisti traducono dall’inglese perché il pali dell’originale è troppo lontano dal nostro idioma. considerato uno dei ”grandi iniziati” del Sufismo, citato dal celebre islamista Seyyed Hossein Nasr che ha scritto: ”In Occidente i libri eruditi degli orientalisti sul Sufismo si dividono in due categorie: saggi critici intralciati da numerosi pregiudizi e studi profondamente intuitivi come quelli di Massignon, Corbin e Pio Filippani Ronconi, studiosi che in alcuni casi parteciparono realmente al mondo del sufismo”. Lo Scià di Persia lo invitò al proprio matrimonio, facendolo partecipare alla cerimonia per i 3.000 anni dell’Impero Persiano. In quell’occasione si racconta che abbia salutato i militari che sfilavano in parata, ognuno nei loro diversi dialetti locali, riconoscendoli dall’uniforme. Ha influito sulla scelta dello Scià di contenere l’Islam fondamentalista e ripristinare l’antica religione persiana che avrebbe temperato gli estremismi: ”Non ho presunzione di impicciarmi negli affari di un imperatore”, precisa Filippani. Tuttavia quando lo Shah an Sha (’il re dei re”) lesse la sua monografia sul senso religioso eroico della civiltà persiana, commentò: ”Avrei dovuto conoscere prima questo studioso italiano”. Filippani ha insegnato Religioni e filosofie dell’India all’Istituto Orientale di Napoli, dove è stato incaricato anche di Lingua e letteratura sanscrita e di Religioni del Medio ed Estremo Oriente. Nel suo palmarès, anche una laurea ad honorem in Teologia a Teheran e una a Trieste firmata da Luigi Berlinguer. [...] Fino a qui i meriti. Poi [...] lo scandalo. Il cdr del Corriere ha scoperto che un intellettuale di tale levatura ha combattuto nelle file dei reparti d’assalto delle Waffen SS. Come si sposa tanta erudizione (o saggezza) con una scelta ideologica così deprecabile? Forse la sua non fu una scelta ideologica. Intervistato [...] dalla Rai sulla figura del capo, alla domanda se il simbolo dell’Imperatore fosse assimilabile ai dittatori del Novecento, Filippani rispose: ”No, è impensabile che Hitler e Mussolini potessero avere a che fare con la figura dell’Imperatore. Erano persone dotate di potere, ma in nessun modo dei capi”. Eppure ancora oggi ribadisce: ”Sono stato un soldato”. Il suo essere combattente è figlio della tradizione induista: si considera uno ”xatria”, il guerriero indù che combatte per se stesso. Nobile di famiglia, orientale di cultura, Filippani adottò uno stile di vita militare che gli derivava da una ”conversione” spirituale e dalla fedeltà un po’ donchisciottesca a un sistema di valori tanto lontani dal pensiero occidentale quanto superati dal tempo. Era la scelta (individuale, spirituale, esoterica) di un singolo. Come tale non argomentabile né giustificabile. Forse neppure difendibile, a giudizio di molti. Non si tratta di difendere o giustificare il ”samurai italiano”. C’è anzi chi si domanda se la scelta guerriera abbia ancora qualche senso. Ma per i sostenitori di Filippani il rischio è di ostracizzare con brutalità la posizione, anacronistica e inattuale, di un sopravvissuto. Che non si può (o non si vuole) comprendere» (’Il Foglio” 23/1/2001).