La Repubblica 24/05/2006, Licia Granello, 24 maggio 2006
Buoni pasto, la rivoluzione alimentare. La Repubblica 24 maggio 2006. Milano. Buon compleanno, Ticket Resturant
Buoni pasto, la rivoluzione alimentare. La Repubblica 24 maggio 2006. Milano. Buon compleanno, Ticket Resturant. Esattamente trent’ anni fa, i blocchetti dei buoni-pasto entravano in punta di piedi nelle aziende italiane. In principio erano stati poco più che bigliettini, stampati dal dottor Winchendon, londinese dallo spirito imprenditoriale, all’ inizio degli anni ’50. La primogenitura londinese varcò quasi subito la Manica per merito di Jacques Borel: dalla fondazione della "Ticket Restaurant" (oggi di proprietà del gruppo Accor) al riconoscimento da parte del governo francese passarono pochi anni. Insieme allo status di servizio sociale, la società ottenne l’ esonero fiscale dei "buonetti": un atout che trasformò un’ idea pionieristica in successo senza confini. Mezzo secolo più tardi, infatti, i buoni pasto rappresentano il passaporto del pranzo per oltre 10 milioni di lavoratori in varie parti del mondo. Di questi, quasi un quarto - 2 milioni e 300mila - nel nostro Paese. Trent’ anni fa, il pasto fuori casa coinvolgeva una percentuale ridotta di italiani. Agli inizi degli anni ’90, a pranzare fuori casa sono diventati tanti, più o meno un quarto degli occupati. La percentuale corre: oggi, a restare fuori casa per l’ intero arco della giornata lavorativa è un lavoratore su 3. Diventerà di uno su 2 nel giro di pochi anni. Risultato? Incremento esponenziale dei cosiddetti consumi extradomestici. Che si traducono in tutto quanto spendiamo per mangiare nella pausa lavorativa. Sempre meno in euro, sempre più in buonetti. Ma quella che le aziende dei buoni pasto definiscono "una vera e propria liberazione alimentare", capace di coinvolgere milioni di italiani, ha vissuto anche momenti piuttosto delicati, se è vero che poco più di un anno fa, gli arrabbiatissimi aderenti alla Fipe, la federazione dei pubblici esercizi, hanno messo in atto un vero e proprio sciopero dei tagliandi, rifiutando di accettarli in pagamento, a causa delle commissioni troppo alte. Del resto, la "filiera" del buono-pasto è un percorso ad alto rischio annunciato, tra le gare di appalto per i fornitori e i guadagni di bar e ristoranti, giù giù fino ai clienti, che negli anni hanno visto troppo spesso alzare i prezzi dei piatti e ridurne la qualità. Nessuno, comunque, intende rinunciare ai magici blocchetti. Non le aziende, che risparmiano sui costi - economici, logistici e di servizio - delle mense. Non i locali pubblici, bar in primis, ai quali i buoni - pasto fruttano in media il 15% del fatturato. E non i fruitori finali, ovvero tutti coloro che li ricevono insieme allo stipendio a ogni fine del mese: utilizzandoli per mangiare e non solo. Il businness dei Ticket Restaurant (nome della società storica, che ormai identifica i buoni-pasto tout court) infatti, travalica i confini del vassoio e dei piattini passati rapidamente nel microonde: molti, i locali che li accettano, chiudendo entrambi gli occhi sulla condizione fiscale border-line. Ormai, con i buoni-pasto si può fare la spesa in negozi e supermarket, grazie all’ alibi che anche la più modesta delle offerte gastronomiche - basta qualche vaschetta, o un sandwich confezionato in qualche modo al banco-pane - fa scattare il bonus. In compenso, esistono soddisfazioni nascoste, che sono il possessore del Ticket può provare. Come quella di andare a comprare nella gastronomia più pregiata e costosa della città, quella dove non metterebbe mai piede dovendo pagare in denaro. I buonetti regalano la meravigliosa illusione che il trancio di salmone al vapore, la vaschetta di insalata di mare, la scatoletta di patè siano a buonissimo prezzo, sospesi nel limbo goloso delle prelibatezze quasi gratuite. Peccato che finiscano così in fretta. Obbligando a pranzi super raccogliticci nel bar più disgraziato della zona. Meglio allora ricorrere al buon vecchio panino fatto in casa. Fino al prossimo stipendio. Licia Granello