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 2007  febbraio 23 Venerdì calendario

BIOGRAFIA DI LINO BANFI


Scrocconi. "Quando passa in televisione cinque giorni la settimana, come ho fatto io negli ultimi anni, un attore diventa un ospite del suo pubblico, pranza e cena con lui. Tutto molto bello, ma non bisogna esagerare, sennò diventi uno scroccone e un seccatore, e la mano del padrone di casa corre al telecomando".

Principi. Prima di diventare famoso Lino Banfi, allora in arte Lino Zaga, si appostò sotto casa di Totò, ”il Principe”, con una busta contenente la lettera di raccomandazione di Graziano Jovinelli, e quando lo vide arrivare a bordo della sua limousine, la consegnò all’autista, ma in cambio ricevette la stessa busta con dentro tanti soldi. Solo rifiutandola riuscì a parlare direttamente col Principe, che per prima cosa gli chiese quale fosse il suo nome d’arte, e quindi gli disse: "Cambialo. I cognomi tagliati portano male… Ma sì, Lino lo puoi lasciare".

Banfi. Lino Zaga diventa Lino Banfi a Roma, durante un pranzo di lavoro con un impresario, che di primo lavoro fa il maestro. Memore del consiglio del Principe, Lino rivela l’intenzione di cambiare il cognome, al che l’altro tira fuori dalla borsa il registro di classe ("Anno scolastico 1964/65 – classe quinta D"), e glielo porge, dicendogli di puntare su una pagina senza guardare. Quando riapre gli occhi, il suo dito, un po’ sporco di sugo, è sul nome ”Aurelio Banfi”. "E da quel giorno porto il nome di un bambino di dieci anni, che senza saperlo mi ha adottato".

Emigrati. Pasqualino Zagaria, in arte Lino Banfi, nasce ad Andria nel 1936, e a tre anni si trasferisce con la famiglia a Canosa. Il padre diceva di essere troppo pigro per emigrare in America: "Troppo lontano. Così ho pensato di emigrare più vicino: Andria-Canosa, dodici chilometri in tutto". A Canosa coltiva semi di porri e cipolle, per spedirli in Francia, dove li commerciano due suoi fratelli.

Trucchi. Siccome erano tempi difficili e di carne se ne mangiava poca, ogni volta che la mamma di Lino cucinava pollo o coniglio, l’odore attirava qualche vicina, che con la scusa di non avere il prezzemolo chiedeva invece una porzione di carne. Il trucco è procurarsi un tavolo con un ripiano sottostante, dove nascondere i piatti non appena bussino alla porta.

Lucia. Lino frequenta il ginnasio al seminario, poi non ne vuole proprio più sapere di scuola. Uscito dal seminario, la prima richiesta che fa agli amici del paese è di trovargli una ragazza. Gli segnalano una ragazzina di tredici anni, proprio carina, Lucia, che però non dà confidenza a nessuno, e non la dà nemmeno a Lino, che tentando di avvicinarla si sente rispondere: "vattinn’". Dopo vari appostamenti al negozio di parrucchiera dove lavora, riesce a conquistarla, ma non suo padre, che proprio non ne vuole sapere di concederla in moglie a un aspirante attore, che sicuramente la sfrutterà e ne farà una prostituta. Tanto che i due, per sposarsi, dovranno fare la fuitina, ”fuga d’amore”.

Dilettanti. "Un provino d’esordio non l’ho fatto mai. Il mio provino sono state le imitazioni di cantanti che facevo nell’ora del dilettante, quando arrivava una compagnia di varietà. Il pubblico cominciava a scandire ”Za-ga-ria, Za-ga-ria!” come allo stadio, e io salivo sul palcoscenico a fare la mia imitazione di Nat King Cole, di don Marino Barreto, di Louis Armstrong, magari con una calza nera di mamma sulla faccia…".

Bucce. Una delle volte in cui si esibisce nell’ora del dilettante, Lino Banfi tenta il suicidio, che non gli riesce "per mancanza di professionalità suicida". Succede che nel corso di una imitazione di Rascel si impapera e dal pubblico qualcuno gli lancia tre o quattro bucce di fico d’india. Ritiratosi dal palco Lino fa per impiccarsi al graticcio, la griglia dove si fissano le funi che sorreggono le quinte, ma non ha molta destrezza, e il fratello Peppino lo raggiunge in tempo. "Col senno di poi, una cosa la dice chiara, questa storia: che per me fare l’attore non era un capriccio: era una questione di vita o di morte".

Premi. La decisione definitiva di intraprendere la carriera artistica è presa da Lino Banfi dopo aver vinto il primo premio al concorso per dilettanti a Bari, alla Fiera del Levante, Il microfono d’argento, presentato da Nunzio Filogamo. Il padre lo lascia andare per la sua strada, anche se avrebbe voluto che si laureasse: "Noi siamo una bella famiglia, ma siamo ignoranti, e uno colto in famiglia servirebbe. Pazienza, si vede che questa soddisfazione non me la devo prendere".

Divisioni. "Nel nostro mondo piccolo, la grande divisione di classe passava tra i miserabili e i poveri… Mio padre ebbe tanta paura per me, quando comprese che volevo fare l’attore, perché un povero che insegue un miracolo rischia – rischia grosso – di diventare un miserabile".

Debutti. Debutta a Napoli, a diciotto anni, esibendosi nelle sue imitazioni negli avanspettacoli. Ogni giorno fa tre o quattro spettacoli, a seconda dei film proiettati. "Alle dodici e mezza o l’una entravamo in scena noi, proprio mentre il pubblico tirava fuori i panini e i fiaschi di vino: tutto il primo spettacolo lo facevamo con la colonna sonora di questi che mangiavano a quattro palmenti".

Milano. Cerca l’abbrivio per fare carriera anche a Milano, dove vive due anni ("Ho un bel ricordo. Mi sono successe tante cose, belle e brutte, che mi è sembrato di viverci vent’anni"). La scelta della città è dettata dal fatto che tutti suoi parenti sono emigrati lì ("in caso di necessità, a Milano potevi sempre trovare una fune di salvataggio"), e comunque, male che vada, almeno lì avrebbe la possibilità di trovarsi un lavoro qualsiasi. Per sopravvivere fa il cantante girovago, esibendosi nelle osterie, e passando per i tavoli in cambio di qualche spicciolo. Ma racimola così pochi soldi che finisce per dormire dove capita, sotto un portone, dentro una casa in costruzione. Il giorno in cui non ha messo su nemmeno i soldi per mangiare fa pena perfino a un mendicante, che gli consiglia, se non l’ha già fatto, di farsi ricoverare in ospedale per togliersi le tonsille e mangiare gratis, e gli dà un cartoccio di sale nerastro da sciogliere in un cappuccino per fare infiammare la gola. L’espediente funziona, ma tolte le tonsille il dottore gli prescrive solo gelato (l’ospedale non li passa). Al che Lino confessa il motivo per cui si è fatto ricoverare e il medico, per venirgli incontro, ordina al personale di tenerlo in osservazione per una settimana, e somministrargli vitto ricostituente e quattromila calorie giornaliere.

Espedienti. La conoscenza più importante che fa a Milano è tale don Ludovico Festa, "un padre di famiglia che, privo di ogni certificabile mezzo di sussistenza, riuscì a educare sei o sette figli". Con lui vive di espedienti, tra cui il gioco delle tre carte. Ma il più ingegnoso consisteva nel farsi regalare pettini e lamette difettose dalle fabbriche produttrici (fingendo di essere rappresentante di una ditta di profumi francese appena avviata, e di avere intenzione di promuovere il prodotto con un omaggio, appunto, un pettine o una lametta), e poi andarli a vendere per strada su un tavolino pieghevole.

Incidenti. Lino Banfi ha cominciato a ingrassare e a perdere i capelli dall’incidente automobilistico di cui è stato vittima a Mentone, dove era andato con un gruppo di milanesi, salvandosi per miracolo: "Siccome ero spiritoso e li facevo ridere, mentre loro da soli erano allegri come una rapa vedova, mi invitavano ad uscire con loro, mi pagavano la cena al ristorante, mi offrivano la consumazione nei locali, mi scarrozzavano sul loro macchinone".

Roma. Dopo Milano Lino tenta l’avventura a Roma. Si è da poco sposato con Lucia, che da Canosa continua a mandargli vaglia postali coi soldi che riesce a scremare dagli incassi del negozio dove lavora. Integra con qualche apparizione nell’avanspettacolo, ma i soldi di nuovo non gli bastano e per un po’ dorme nella sala d’aspetto della stazione di Trastevere, finché l’avanspettacolo diventa un lavoro regolare e trova un appartamentino a poco prezzo in una casa popolare dove si fa raggiungere da Lucia.

Cravattari. Quando il lavoro ingrana riesce a mettere su trenta-quarantamila lire al mese ("sono uno stipendio da ricco: le guadagna un direttore di banca. Ma io non ce la faccio. Sono sempre in giro, devo pagare l’affitto, la lavanderia, almeno un pasto o un pasto e mezzo al giorno"). Senza contare che ci sono periodi in cui non lavora. Insomma, i soldi non bastano nemmeno per nutrire la prima figlia, Rosanna, tanto che questa si ammala di rachitismo, per insufficienza di proteine e vitamine. Banfi ricorre allora agli usurai, che a Roma si chiamano ”cravattari” ("perché a prima vista una cravatta è una cosa bella, che quando la indossi ti fa sembrare un signore; ma se stringi il nodo ti ci puoi impiccare"), e dopo un po’ arriva anche il secondo figlio, Walter.

Raccomandazioni. A trentatré anni, una famiglia da mantenere, e nessun titolo di studio, sta per gettare la spugna e si fa raccomandare dal senatore Jannuzzi, suo compaesano, che gli trova un lavoro in banca come messo. Ma la notte di vigilia del primo giorno di lavoro, la moglie non riesce a prendere sonno, sapendo quanto Lino tenga alla carriera artistica, e gli dice di non mollare. "Allungai il braccio sulla coperta, cercai la sua mano con la mia, le sfiorai il palmo con un dito, e poi la strinsi forte".

Puff. Qualche giorno dopo un vecchio amico, Nino Terzo, lo chiama per un mese di repliche all’Ambra Jovinelli (all’ultimo momento si era sciolta una compagnia e il teatro era rimasto scoperto). Alla fine di uno spettacolo bussa al suo camerino Lando Fiorini, proprietario del locale Puff, per ingaggiarlo nel suo cabaret, e gli spiega: "Tu lo sai quanti comici dal Puff sono arrivati in televisione, vero? Montesano, per dirne uno". "Solo parecchi anni dopo seppi com’era andata davvero. Per non so quali motivi, Enrico Montesano e Lando Fiorini avevano litigato, e nella foga Lando gli aveva lanciato una sfida: ”Fai la prima donna? Con me che t’ho tirato su dar gnente? Dar gnente, sissignore, caro er mio divo de la televisione! Devi sape’ che è er Puff che fa li personaggi, no i personaggi che fanno er Puff! Ah, nun ce credi? E mo’ domani vado a l’Ambra Jovinelli, prendo er primo srtonzo che trovo, lo metto la posto tuo, e te faccio vede’”. Quel primo stronzo ero io".

Trac. "Il terrore di entrare in scena che può prendere a tradimento anche i performer più esperti: mani e ginocchia che tremano, fauci aride e palme fradice, vista sfuocata, e soprattutto, memoria zero. Certuni, anche celebri, bravissimi e osannati, lo provano ogni volta che entrano in scena, e per tutta la vita".

Accenti. Banfi, da quando aveva iniziato la sua carriera artistica, aveva cercato di perdere l’accento pugliese ("L’accento pugliese non aveva tradizione scenica. I tre dialetti che avevano diritto di cittadinanza sulla scena, a quei tempi, erano il napoletano, il siciliano e il romanesco"). La prima volta che ricorre al suo dialetto è proprio al suo esordio al Puff, quando il suo numero è accolto con un’ovazione.

Svolta. Dopo il Puff continua lavorare nel cabaret, al Cab 37, con Fiorenzo Fiorentini, che gli fa conoscere gli autori di una piccola trasmissione che va in onda da Napoli. Combinazione proprio la sera in cui va in onda Banfi, Dino De Laurentiis bisticcia con la moglie, Silvana Mangano, che esce da sola lasciandolo a casa a fare zapping col telecomando, finché non appare Banfi sullo schermo. "La mattina dell’8 settembre 1970, scesi dal taxi davanti agli stabilimenti di Dinocittà , sulla Pontina, e nel giro di mezz’ora firmai un’esclusiva di due anni con De Laurentiis. Uscii con la tasca interna della giacca rigonfia di ottanta biglietti da diecimila. Come in un film americano, quando il protagonista torna a casa dalla pupa dopo il colpo, sparpagliai quelle ottanta esotiche farfalle sul tavolo da cucina, sotto gli occhi increduli di Lucia. Sembravano un tesoro in valuta straniera".

Stakhanovisti. "Iniziai la serie dei film ”didattici”, con le liceali e le professoresse; e quella dei film ”igienici”, con le dottoresse, le infermiere e le tante, tantissime docce. Lavoravo come uno stakhanovista sonnambulo. Una volta arrivai a girare due film contemporaneamente, cambiandomi in macchina fra un set e l’altro".

Fughe. "La mia carriera è stata così: fatica, stenti, illusioni, mezze gioie e delusioni intere, fino a una svolta netta, alla celebrità, ai guadagni, alla fama… Per essere un altro, sono scappato di casa, dalla mia terra, dalla mia lingua; e più scappavo e mi allontanavo da quel che ero stato e non volevo più essere, più la povertà, i fallimenti, le umiliazioni mi afferravano per la giacca e mi riportavano indietro. Come al gioco dell’oca, quando fai un tiro sfortunato: ”Tornare alla casella di partenza”".

Discesa. "Poi, quando non ci credevo quasi più; quando a credere c’era rimasta solo Lucia; quando avevo tutto da perdere – che è come dire avere niente da perdere – d’istinto o per caso, ecco che comincio a recitare la parte di me stesso. Il me stesso che parla la lingua da ignorante dei pugliesi…: ed ecco che per magia, la salita diventa una discesa, i sogni realtà, la povertà ricchezza, una folla che ti ride in faccia un pubblico che ti rende omaggio, che si ricorda il tuo nome, che ti dà il pane quotidiano".