Franco Califano, Calisutra, Castelvecchi editore, 2006, 111 pagine, 10 euro., 20 febbraio 2007
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BIOGRAFIA DI FRANCO CALIFANO
Infanzia. Franco Califano nasce da famiglia povera ("direi disastrata"), per madre una brava donna, per padre, un uomo eccezionale, che muore quando lui ha appena diciannove anni ("episodio che mi distrusse la vita"). Nasce a Tripoli: "In breve mia madre mi partorì in uno scalo aereo, mentre stavamo tornando a Roma" (a questo episodio sarà ispirato la canzone Il parto in aeroplano, del 1991). Essendo il maggiore di tre figli, tocca a lui passare tre anni in collegio, prima ad Amalfi, poi a Roma ("E il collegio mica è il college: si dormiva soltanto con un lenzuolo, anche quando faceva freddo, e stavamo anche scalzi… e se mi guardo sotto i piedi adesso mi ritrovo ancora il callo di colui che ha sempre camminato scalzo. Anche se poi sarei arrivato lontano").
Crescere. "Durante la mia infanzia mi sono dovuto inventare uomo subito… Dovevo crescere. In fretta".
Vocazioni. "Da piccolo mi ritrovai già grande. Non volevo chiedere niente a nessuno e diedi inizio a quei passatempi, o meglio a quelle vocazioni, che i miei compagni avrebbero conosciuto molto più tardi: le donne, il sesso, i sensi".
Iniziazione. A nove anni è iniziato al sesso dalla madre, trentaduenne, vedova, di un compagno di scuola. Tutto inizia perché Franco non ne vuole sapere di studiare da solo ("me rompevo li cojoni"), e va a fare i compiti da un amichetto secchione. Ma c’è un problema ("e chiamalo problema!"). Vai oggi torna domani, questa madre ("Pensate a una di quelle attrici dei film neorealisti, di quelle donne che praticamente sono nude da vestite"), mentre il figlioletto ripete la lezione, si mette alle sue spalle e schiude le gambe verso Califano, che sotto il tavolo si contorce e tocca. Finché un bel pomeriggio si libera del figlio con la scusa che manca qualcosa in dispensa, e schiude anche il petto a Califano. "Da quel giorno diedi inizio alla mia prima, vera e propria relazione. La storia durò un anno, sembra strano a dirlo ma era nato anche un bel sentimento. Facevo di tutto per stare con lei, mi capitava di fare sega a scuola e di passare tutta la mattinata nel suo letto". Insomma, la signora gli insegna tutto: "A dodici anni mi ritrovavo già abilissimo". La storia finisce quando Califano si trasferisce nel quartiere Trionfale. In uno degli ultimi rapporti raggiunge finalmente l’eiaculazione.
Trionfale. "Il quartiere della mia adolescenza, il luogo che mi ha fatto diventare uomo… e nessun nome è stato più azzeccato". Quando si trasferisce al Trionfale inizia la sua seconda vita. "E troppe altre ne avrei vissute".
Scuola. Alle superiori si iscrive al Ludovico Ariosto, Ragioneria, scuola serale, perché la sera tira tardi. Sfanga sempre la sufficienza ("sebbene non facessi veramente un cazzo"), perché a lezione sta attento: "Volevo finire in fretta. Non potevo passare tutta la vita con le zampe sotto il banco: il mondo mi stava aspettando". A scuola non risparmia nessuna, neanche le bidelle.
Semine. la metà degli anni Cinquanta, le ragazze non la danno facilmente. "Ma a me non interessava per forza la penetrazione fine a se stessa, mi piaceva molto anche giocare. Non sapete quante me ne sono fatte, fra i prati dove adesso hanno costruito il Tribunale. Li ho seminati quei campi".
Califfo. Al Trionfale Califano si guadagna il titolo di ”Califfo”, perché tutte le donne sono sue. "Ero una macchina: potevo fidanzarmi anche con quattro o cinque alla volta, e senza farmi scoprire". In pratica di volta in volta ha una fidanzata ufficiale che ignora le amanti, e queste, in quanto tali, che tengono la bocca chiusa, ma si ignorano tra loro. "Chiaramente il motivo di tanto silenzio è anche un altro: di solito la ragazza più facile da scopare è la migliore amica della tua donna, oppure, se merita (e molte di loro hanno meritato), è addirittura sua sorella. E stando così le cose nessuna se la cantava".
Sport. Per farsi il fisico si iscrive a pugilato, ma ne piglia troppe: "io pensavo, come sempre, di risolvere tutto con la maestria, mentre lì dovevi menare, e pure forte". Il suo sport preferito, infatti, è il calcio.
Casini. Inizia a frequentare i casini a diciassette anni (falsificando il documento con la scolorina), ma siccome è squattrinato, si limita a languire in sala d’aspetto, finché una prostituta, non solo gliela dà senza chiedergli niente, ma anzi, lo paga: "Capito? Pagato da una prostituta per fare sesso, da una persona che non fa altro tutto il giorno. Rendetevi conto". La voce si sparge e il Califfo ha accesso libero e gratuito ovunque: "Per loro ero come una vacanza, me se magnavano… Finché non arrivò la signora Merlin, e l’incantesimo si spezzò".
Chiuse. Raggiunta la maggiore età e conseguito il diploma, Califano entra nella Dolce Vita ("eravamo sempre fuori casa, in moto perpetuo") e inizia la carriera di playboy ("il mio nome iniziava a risuonare nella capitale"). Affetto da pigrizia capita però che invece di uscire apra l’agenda e convochi le ragazze a casa. Sono le cosiddette ”chiuse”: due, tre giorni a letto, senza quasi mangiare, a cibarsi di solo sesso.
Provincia. Pochi viaggi, non ne ha voglia, se non qualche gita in provincia, dove il bello è che arriva come un dono del cielo. Allora gli basta imbucarsi a una festa, corteggiare la più bella o la più ricca e sfoggiare il repertorio ("Poi andava scopata cattivamente a mestiere, come non lo era stata mai in vita sua"). E il gioco è fatto: la prescelta si vanta con le amiche, che il giorno dopo fanno la fila in albergo. Indimenticabile una trasferta a Parma con gli amici: "Abbandonammo la città camminando come Giulio Cesare Augusto Trionfatore, su tappeti de fregna fino all’orizzonte, lasciando profumo di sesso nell’aria di Parma".
Matrimonio. "Non ci crederete, ma è proprio così: sono stato sposato. Ero molto giovane, credetemi, non sapevo cosa stavo facendo". Lo fa a diciannove anni, un po’ perché è appena morto il padre e gli sembra l’unico modo per diventare uomo subito, un po’ per fare una festa ("sul serio, è andata così"), ma soprattutto perché la ragazza che frequenta, di cinque anni più grande, ha la macchina ("All’epoca una donna con la macchina era una rarità, una conquista assoluta, soprattutto per me che ero povero. Pensate che mi veniva a prendere al bar, di fronte agli amici, con quello che per me era il simbolo assoluto del successo"). Dopo sei mesi, senza dare troppe spiegazioni, da un momento all’altro, abbandona il tetto coniugale ("tra lei e suo fratello hanno veramente fatto di tutto per cercarmi, perché m’ero proprio dato"), e dopo cinque anni divorzia.
Cinismo. "Ora vi potrà sembrare cinico ma io l’ho sempre pensata allo stesso modo: quando ho visto che qualcosa nei miei rapporti non andava, me ne sono sempre andato. Perché trascinarsi? Oggi otto matrimoni su dieci sono portati avanti con l’ipocrisia, procedono per pigrizia, magari perché all’uomo non va di rimettere tutto in discussione: la casa, l’affido, trovarsi una ragazza nuova… e così aumentano le persone infelici. D’altronde, come dicevo in una mia canzone, ”L’amore muore e non somiglia a Gesù Cristo, che si stacca dalla Croce, torna in vita e tutto è a posto, perché sa resuscitare, cosa questa che l’amore non ha mai saputo fare".
Fotoromanzi. Aspetto fisico, disinvoltura e fama da playboy gli fruttano la scritturazione come attore nei fotoromanzi, genere molto in voga negli anni Sessanta, nel ruolo del cattivo che porta via le donne ai mariti. Ne fa centoventi e conquista la prima notorietà. "Quello che dico sempre è che se da grande non avessi fatto il cantautore avrei fatto l’attore, mestiere per cui mi sono sentito sempre molto portato". Ma un grande amico, Edoardo Vianello (già famoso per I Watussi e Abbronzatissima), nota la sua inclinazione per la scrittura e gli chiede di scrivere qualcosa per lui ("Fu l’inizio di una nuova vita"). Primo titolo, Da molto lontano, 1964.
Vianello. "Penso che lui vedesse in me quello che avrebbe voluto essere, dal punto di vista fisico, intendo. Non era geloso, diceva sempre: ”Guardate quanto è bello l’amico mio!”. Ero una sorta di specchietto per le allodole, anzi, per le passere".
Dominique Boschero. la seconda nave scuola di Califano: la madre del compagno di scuola gli aveva insegnato il sesso, Dominique gli presenta il mondo. Francese, attrice affermata (interprete di I magnifici tre, Una domenica d’estate, … e la donna creò l’uomo), se lo porta sempre dietro, in alberghi di lusso, condivide la sua casa con lui, dove i maggiordomi lo servono e riveriscono ("Figurateve per me che venivo dal Trionfale. Il fatto curioso era che mi ci abituavo subito: tutte quelle sciccherie non mi mettevano in soggezione, stavo come a casa"). Un giorno intercetta una telefonata di Dominique, con Brigitte Bardot, mentre le confida che non vuole farlo conoscere in giro perché le piace troppo: "Quando ti mettevi con uno prezioso, a cui tenevi, dovevi stare in campana, perché se arrivava una ragazza come BB, alla quale non si poteva certo dire di no, solo per curiosità e per la voglia di metterci la firma, ti si scopava e ti rispediva al mittente".
Zingaro. Il fidanzamento con Dominique dura due anni, il suo record, poi prevalgono l’indole di zingaro e la vocazione per la scrittura. Califano le restituisce la Maserati cabrio ricevuta in regalo per il compleanno ("un po’ di dignità ancora ce l’avevo"), si mette al volante della sua Taunus e parte per Milano, capitale della musica (in seguito Dominique s’è sposata con un certo Claudio, fratello di Gian Maria Volontè, e si è data alla politica nella Sinistra extraparlamentare).
Roma. "Roma è grande e nello stesso tempo è provincia, è chiusa nei suoi giri, io la amo ma non sempre sono stato ricambiato: se non la corteggi si dimentica subito di te, nun te se fila manco se mòri, per farti sentire devi urlare e devi ricordarle che ci sei".
Milano. "Milano invece è più piccola, è una città europea e per questo ti sta ad ascoltare, anche perché puoi essergli utile, si arricchisce delle esperienze e delle diversità di chi ci abita e non vede l’ora di premiarti per aver dimostrato ciò che sei capace di fare".
Autore. A Milano si fa subito un nome con la canzone E la chiamano estate, scritta per Bruno Martino, in seguito incisa da Ornella Vanoni. Seguono i brani scritti per Mina, Gino Paoli, Fred Bongusto, Peppino Di Capri, e di nuovo Vianello.
Esaurito. A Milano, dove Califano vive per otto anni, la sua vita sessuale raggiunge il parossismo: "Se aprivo l’elenco telefonico di Milano, nella fascia venti/trentacinquenni, era difficile che ci fosse qualcuna che non mi fossi portato a letto. Credo di averle finite per esaurimento". Questione di maggiore apertura delle Milanesi: "Fatemela dire, loro lo sanno che il culo sta a un passo dalla fica! Nel senso che non la fanno mai troppo lunga. Se bussi al culo di una ragazza di Milano, dopo qualche resistenza ti fa entrare, e che sarà mai? Per qualche centimetro più in là… Se ci provi con una romana, invece, il culo, te lo devi fare tu per ottenere!". Motivo per cui, mentre a Roma si era fidanzato, a Milano non ha legami duraturi: "La romana è un vero impegno, richiede più dedizione, più concentrazione. La libertà, poi, te la puoi scordare: se ti metti con lei hai firmato un contratto, ti sei messo con la sua famiglia e perfino col suo quartiere. Con la milanese invece è più semplice".
Francis Turatello. Nel 1977 pubblica l’album Tutto il resto è noia, in copertina una foto che lo ritrae mentre tiene in braccio il figlio di Francis Turatello, boss della mala di Milano, signore incontrastato delle bische clandestine. Califano, che viene dalla strada come lui, si conquista la sua amicizia: "Insomma ci capivamo. Io ero per lui la sua amicizia pulita". Francis, da parte sua, va pazzo per la sua musica, e quando gli va di sentirlo cantare, gli basta una telefonata in un locale a piacere ("Pronto? Buongiorno, sono Francis Turatello, stasera vorrei sentire il Maestro Califano, veniamo tutti alle nove"), e il contratto per la serata è fatto. Invariabilmente lui offre champagne a tutti, pagando regolarmente il conto, perché non vuole mai dire grazie a nessuno. A Califano chiede sempre di cantare a suo figlio la canzone Fijo mio, e ogni volta si commuove. Il suo sogno, aprire un’azienda cinematografica da affidare al figlio e a Califano, ma muore prima, in galera, in Sardegna, per mano di Pasquale Barra detto ”’o animale”, che durante l’ora d’aria, gli apre la pancia, gli strappa il fegato e se lo mangia davanti a tutti (l’errore era stato di allearsi con la mafia).
Angeli. Astuzia, freddezza e selvaggia cattiveria, le doti che hanno fatto di Francis Turatello il boss del crimine milanese. La pistola la tirava fuori per le grandi occasioni, "ma se c’era da metterti un dito dentro l’occhio te lo metteva senza problemi". Menare era la sua specialità ("mi ricordo che un giorno ha aperto la faccia di uno, spalancandogli la bocca con le dita"), ma la sua forza era il carisma: "quella faccia d’angelo ti impediva di credere che potesse fare tutte le cose di cui era accusato. Era bello, sempre sorridente, ma non dovevi mai dimenticarti che con lo stesso sorriso stampato in volto avrebbe potuto anche ammazzarti". Temuto, ma rispettato, perché aveva un codice d’onore, se trovava un portafoglio girava finché non trovava il proprietario, senza neanche aprirlo. Anche per questo, quando finì in prigione, chiese a Califano di non scrivergli più, perché non voleva che si mettesse nei guai.
Malavita romana. "E poi a Roma sono tutti boss, so’ dei cazzari. Io quando vado a cantare nei locali di periferia, mi vedo sempre arrivare uno di questi che si avvicina con la mano sulla bocca e mi dice frasi del tipo: ”A Califfo, te saluta Er Pesce!”, detta in modo malandrino. E io gli rispondo: ”E chi è Er Pesce?”, e lui: ”Er cuggino del Ciriola”. Ma se io non so chi sia Er Pesce, figuriamoci se conosco Er Ciriola. E di queste persone è piena la città".
Macchine. Califano ha scritto le sue migliori canzoni al volante. Le macchine le ha sempre preferite senza stereo, perché a bordo gli piace pensare. La prima in cui ha fatto l’amore, una Cinquecento modificata. Ma negli anni della Dolce Vita, in società con gli amici, compra modelli più costosi per andare a fare sfoggio al Pincio o a Villa Borghese: "E che macchine, ragazzi, manco le pagavamo! Giusto il tempo di un giro in giostra con le nostre meraviglie, poi gli ufficiali giudiziari ce le sequestravano perché non pagavamo le cambiali".
Casco. "Il massimo della bellezza l’uomo la raggiunge a cavallo della sua moto, coi capelli al vento, mentre sgasa. E infatti ho smesso di andarci quando hanno fatto il casco obbligatorio: la peggio cazzata degli ultimi anni. Ma scusa, in moto ce vai pe’ fa’ er fico, no? Ma se cor casco nun te vede nessuno che ce vaia fa’? Cor casco ”ndo vai…".
Compagnia. Renato Speziali, Gianfranco Piacentini, Beppe Piroddi, Franco Rapetti, Maurizio Arena, Renato Salvatori, Gigi Rizzi, Beppe Ercole. Nomi degli amici di Califano al tempo della Dolce Vita, tutti playboy: "Non era affatto facile: ci voleva il fisico, la classe, il coraggio, una bella dose di sfrontatezza e molto tempo libero". Metà pomeriggio, infatti, lo passano da Amedeo, il barbiere di piazza Euclide, a rifinire il taglio, con l’immancabile passata di borotalco dietro il collo e un giro dalla manicure ("che veniva di seguito regolarmente chiavata"). A Roma questi nomi hanno fatto epoca: "tanto per capirci, con le ragazze non avevamo nessuna tecnica di rimorchio, bastava esserci, il resto veniva da sé". A Califano nessuna ha mai detto no, anche perché, in caso di incertezza sulla di lei disponibilità, bastava invitarla a ballare un lento, stringerla un po’ per farle sentire il pacco e capire se ci stava. "Oggi, invece, se vai a ballare con una, ti ritrovi cha stai ballando con un’altra perché la tua sta da tutt’altra parte. Diciamocelo, non lo capirò mai il motivo per cui li hanno aboliti i lenti".
Galanteria. Essere playboy implicava omaggiare le ragazze con grandi mazzi di fiori, andarle a prendere in taxi, e al momento dell’abbandono, farlo in modo dignitoso: "La nostra fuga non era mai vigliacca… devi lasciare alla tua donna delle parole che le possano fare compagnia fino al giorno in cui non se ne trova un altro… anche perché, una volta passata la tristezza e una volta finita la storia col tuo successore, quella torna dritta dritta a chiederti il pezzo".
Menu. "Ci piaceva il sesso e ci piaceva cambiare il menu: a me è capitato di farlo con tre donne diverse in un giorno. Al mattino mi sono scopato la cameriera, un po’ come fare colazione a letto, il pomeriggio un’attrice che veniva da Parigi, subito dopo esserla andata a prendere in aeroporto, e la sera quella con cui ho concluso la serata al Club 84. Ed era stato un giorno come tanti altri".
Suore. Tra i trofei di Califano anche una suora, addetta ad assisterlo durante il ricovero, durato un anno, alla Mater Dei di Roma, per meningite virale: "Perse la testa per me e si accorse che non era esattamente tagliata per quella vita: preferiva l’uccello della libertà alla colomba della pace. Ancora oggi penso che le feci bene".
Coca. Califano non ha mai avuto dipendenza dalla cocaina, anche se ai tempi della Dolce Vita nel suo ambiente ne scorreva a fiumi (allora era anche buona e ne valeva quasi la pena). L’assumeva con gli amici o per scrivere, quando aveva una scadenza da rispettare: "Il bello era che la smaltivo… la droga ti resta dentro se tu non fai un cazzo: è come se riempi una macchina di carburante e poi stai fermo: dopo un po’ la macchina scoppia, se non la metti mai in moto". Di recente ha collaborato con una comunità di recupero di don Gelmini: "nonostante il mio impegno, non ho mai creduto del tutto in questo tipo di terapie, perché la forza di smettere la devi trovare dentro di te, e una volta che l’ha trovata hai vinto… Bisogna chiedersi se si vuole vivere oppure no".
’n bastardo venuto dal sud. Primo album come cantautore (1972), all’età di trentaquattro anni, con titolo riferito alla sua nascita a Tripoli. Ne seguono altri 27: "tra cd, compilation e 45 giri, per un totale di più di mille canzoni nell’arco di quarant’anni di onorata carriera, grosso modo quante le donne che ho scopato. E ancora non ho smesso". Attualmente ha in preparazione un disco e dei concerti, ma con tutta calma: "La questione è che nun me va de’ fa’ le prove.. Io non sono un tipo da prove, sono uno che improvvisa, non ho mai avuto il problema di dimenticarmi una parola, oppure una battuta". Quando gli è capitato non si è certo scoraggiato come certi gruppetti rock di oggi, "che se vai a sentirli cantare te sembra dei senti’ ”n disco".
Interpreti. Il motivo per cui si è messo a cantare le canzoni che scriveva: "una canzone come tutto il resto è noia, a chi la dovevo far cantare, a Gianni Morandi?".
Fortuna. "La mia fortuna è stata quella di aver cominciato a cantare tardi, dopo i trent’anni, perché se solo fossi diventato così famoso, mettiamo, dieci anni prima, non so se sarei riuscito a non fottermi il cervello". L’altra fortuna, aver verificato il suo successo con le donne prima di diventare famoso: "le più belle fiche, le donne di nome, quelle da sfoggio, le ho avute quando ancora non ero nessuno nel mondo dello spettacolo". Dopo non ha approfittato della fama: "Sarebbe stato troppo facile… Così finiva che mi portavo a letto solo chi mi andava veramente: l’infermiera, la commessa, che non dovevano per forza essere le più belle del mondo, ma che magari mi affascinavano per un qualche particolare".
Don Giovanni. Califano cerca di trovare sempre il lato positivo della donna, come diceva Don Giovanni: " tutto amore: chi a una sola è fedele verso l’altre è crudele. Io, che in me sento sì esteso sentimento, vo’bene a tutte quante. Le donne, poi che calcolar non sanno, il mio buon natural chiamano inganno".
Piazze. Gli hanno già intitolato una piazza, ”Piazza Franco Califano, musicista e poeta”, a Borbona, vicino Rieti (un magistrato avrebbe provato senza riuscirci a rimuovere la targa). "Non ho bisogno di morire per diventare leggenda".
Laurea. Tra i riconoscimenti a cui tiene di più la laurea honoris causa in Filosofia alla New York University, per il testo di Tutto il resto è noia, concessa contemporaneamente a Francesco Cossiga e Eduardo De Filippo.
Accuse. Nel 1972 è arrestato per detenzione e spaccio di stupefacenti, ceduti, tra gli altri, a Walter Chiari, secondo l’ipotesi d’accusa, e sconta un anno di carcere preventivo. Dieci anni dopo è imputato nel maxi-processo contro la camorra facente capo a Raffaele Cutolo, accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti (coinvolto dalle dichiarazioni dei pentiti Panico e Barra - l’omicida di Turatello -, confermate da Giovanni Melluso). Condannato in primo grado, dal giudice Renato Squillante, e infine assolto per non aver commesso il fatto, questa volta sconta due anni e mezzo di carcere preventivo. Per intercessione di Bettino Craxi, Presidente del Consiglio in carica, ottiene gli arresti domiciliari simulando un infarto (diagnosi confermata da un medico compiacente mandato proprio da Craxi), ma dopo un po’, sentendosi più prigioniero in casa perché non beneficia nemmeno dell’ora d’aria, chiede di ritornare in carcere.
Gabbio. L’impatto più duro al Regina Coeli è dovuto alla mancanza di servizi igienici: "C’era il buiolo. Un secchio, col coperchio. Bisognava alzare il coperchio, sedersi davanti a tutti, e cacare. E quel secchio te lo dovevi tenere giorno e notte in cella perché veniva vuotato ogni ventiquattr’ore". I primi tempi si trattiene per pudore, e così i suoi compagni di cella, tre rapinatori ("per rispetto al Maestro, capite?"). Con i detenuti se la cava, perché lo riconoscono come uno del loro ambiente. Gli capita di scambiare pagine di giornaletti porno ("Scusa, mi dai la pagina trantasei di ”Playman” che io ti do la diciotto di ”Playboy”?"), o di essere svegliato nel bel mezzo della notte con domande del tipo: "Aoh, a’ Califfo, ma come ce l’ha Ornella Vanoni" ("E come vuoi che ce l’ha? Dritta, no? Come tutte l’artre"), oppure: "ma chi guadagna di più, Morandi o Ranieri?". Riceve perfino richieste di raccomandazioni dai secondini, che coi detenuti sono quasi solidali: "stavano fermi lì come lo eravamo noi, in qualche maniera erano detenuti pure loro".
Bettino. "Quando questa brutta storia fu finita, mi andai a fare una bella magnata di pesce da Quinzi e Gabrielli". La stessa sera incontra nel locale Bettino Craxi, che lo abbraccia ("Ma quale Presidente, io per te sono Bettino"), e gli promette di intercedere di nuovo per lui per un contratto con Raidue. Ma Califano rifiuta: "Non sono mai stato capace di fare queste cose, odio rompere i coglioni".
Imola. Il primo concerto dopo la fine delle vicende giudiziarie, il più lungo della sua vita, due ore e mezza (alla fine è dimagrito di due chili). "Da quel giorno l’eco del mio ritorno rimbombò nella zona, cominciarono a fioccare gli articoli di giornale… e ripartì il Califfo".
Adolescenza. "Il problema di essere nati grandi, di aver voluto avere tutto subito, dall’indipendenza, alla fica, al lavoro, è che l’adolescenza, in qualche modo, bisogna viverla per forza. Ci sono alcuni momenti della nostra esistenza che fanno parte di noi stessi e che chiedono semplicemente di essere percorsi, amati, sofferti".
Gioventù. Adesso preferisce frequentare i giovani e lavorare con loro (ha scritto E un tempo piccolo per i Tiromancino e non gli dispiacerebbe collaborare coi Negroamaro). "Il fatto è che, con tutto il mio rispetto, se arrivasse Ornella Vanoni a chiedermi un pezzo, io non saprei più che scriverle, proprio perché oggi io mi sento di avere il linguaggio della gioventù".
Tv. "Non ho nessun rancore. E come potrei, dopo essere riuscito a infrangere anche l’ultimo tabù che mi riguardava: quello della sconvenienza delle mie apparizioni televisive. Adesso con la Tv va alla grande! Me telefonano tutti i giorni, sembra che non abbia mai fatto altro… e io me diverto come un matto!".
Regole. "Regola n. 1: lo scopo primo e ultimo del sesso, è senza dubbio, la ricerca del piacere della donna… Regola n. 2: mai schiavi".
Gusti. "Ovviamente ognuno ha i suoi gusti, ma resta comunque fondamentale saper valutare l’altro sesso: io, per esempio, all’inizio guardo l’insieme, e poi mi soffermo su qualche particolare che attira la mia attenzione. Può essere un polpaccio, il seno, le gambe, della donna mi basta una sola cosa particolarmente positiva per farmela piacere. Pensate ai piedi. Quelli particolarmente armoniosi (e sono pochi) mi piace baciarli, succhiarli leccarli, ma deve trattarsi di un esemplare assolutamente strepitoso e igienicamente conosciuto, sennò è inutile perder tempo". L’elemento più importante, comunque, è la passera: "Quindi smettetela, e iniziate a esprimere i vostri giudizi. In verità vi dico che la tana dei nostri sogni mi piace poco pelosa".
Epitaffi. Califano ha già pensato al suo epitaffio: "Non escludo il ritorno".