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 2007  febbraio 14 Mercoledì calendario

LATINO Claudio. Mantova 30 ottobre 1957. Terrorista, leader della cellula milanese delle Nuove Brigate Rosse, fu arrestato il 12 febbraio 2007

LATINO Claudio. Mantova 30 ottobre 1957. Terrorista, leader della cellula milanese delle Nuove Brigate Rosse, fu arrestato il 12 febbraio 2007. Accusato di aver preparato il delitto del giuslavorista Pietro Ichino, nel giugno 2009 fu condannato a 15 anni, pena ridotta a 14 anni e sette mesi nel giugno 2010 • «[...] il ”cattivo maestro” che a Padova ha reclutato due giovani studenti, Amarilli Caprio e Alfredo Mazzamauro. Autore di uno dei due sopralluoghi presso il quotidiano Libero. Responsabile della cellula di Milano, impiegato in una ditta che distribuiva riviste. [...]» (Alberto Custodero, ”la Repubblica” 13/2/2007) • «[...] residente a Padova, domiciliato a Vimodrone (Mi). Viso da impiegato modello e pignolo, si forma politicamente nei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo, fa parte della Direzione Nazionale, salvo poi essere espulso come ”dissidente” nel 1999. Indagato dalla Procura di Bologna nel procedimento per l’omicidio di Marco Biagi, subisce una perquisizione domiciliare durante la quale, tra le pagine di un libro, si trova un elenco di materiale (timbri, cappelli, parrucca, 16 det. non meglio precisati). [...]» (Marco Neirotti, ”La Stampa” 13/2/2007) • «’Figlio di un commerciante di coperte e lenzuola della provincia di Lecce, sono nato a Mantova nel 1957. Mio padre girava per i paesi con un’auto provvista di altoparlante per reclamizzare le sue merci. I miei primi quindici anni sono stati un continuo girovagare da un luogo di residenza all’altro...”. Comincia così l’autobiografia del ”capo” della cellula milanese delle nuove Br. Due pagine fitte, scritte a macchina, nelle quali l’ideologo del gruppo si presenta a Giuseppe Maj, il capo dei Carc, i comitati di appoggio alla resistenza per il comunismo, arrestato a Parigi nel 2003. Quella carta doveva consentirgli di entrare nel movimento, ma il tentativo fallì e la sua candidatura venne respinta, forse perché Latino fu considerato troppo estremista. Rimane però questa sorta di memoriale nel quale Latino racconta ai compagni la sua vita secondo lo schema classico dell’agiografia brigatista: l’infanzia difficile, l’aria acre dei lacrimogeni, la rivelazione della necessità della lotta armata, la trasformazione in terrorista. La lettera di Latino fu ritrovata dalla polizia di Bologna e di Modena, durante l’inchiesta sul delitto Biagi del pm Paolo Giovagnoli, insieme a due altre autobiografie quelle con le quali si accreditavano la compagna di Latino, Maria Zanin - ”figlia di contadini” cresciuta nell’area della sinistra radicale cattolica - e Davide Bortolato. Maj esigeva schede dettagliate, forse per capire se gli aspiranti membri della ”commissione preparatoria” del nuovo partito comunista avessero vincoli familiari, un problema in caso di latitanza. Latino indugia sulla sua adolescenza. ”Da ragazzo sono stato in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto - racconta - perché il tipo di attività che svolgeva mio padre lo costringeva a continui cambiamenti di zona a causa dell’assottigliarsi della sua piccola fascia di mercato. Fino a quindici anni sono stato in collegio dai padri Giuseppini a Oderzo, in provincia di Treviso. Alla fine del periodo scolastico scappai di casa e andai in giro per l’Italia. Quando venni a sapere che i miei si erano rivolti ai carabinieri, tornai a casa in cambio della promessa, però, che non sarei mai più tornato in collegio”. Puntuale, dopo l’adolescenza, arriva il contatto con la contestazione. ”Le prime esperienze politiche risalgono al liceo, anno scolastico 1974-75, nei comitati di base. A giugno del ”75 fui arrestato, per la prima volta, durante una manifestazione antifascista. Rimasi in carcere venticinque giorni ma poi fui assolto per insufficienza di prove. La breve esperienza fu molto significativa perché mi staccò dalla famiglia e mi fece conoscere una realtà molto diversa da quella in cui ero vissuto”. In galera Latino venne a contatto con ”una realtà violentemente antagonista e io formai così il mio carattere antagonista e antistituzionale. Nel ”78-’79 venni coinvolto nella riorganizzazione del collettivo politico Padova. Capivo istintivamente, però, che qualcosa non andava”. In quegli anni, Latino è impegnato in spedizioni punitive contro docenti universitari rei di aver denunciato lo squadrismo dell’Autonomia padovana, come lo psicologo Guido Petter, preso a sprangate sotto il portone di casa sua. Latino si fa le ossa rompendo quelle altrui, ma non frequenta i giri dei brigatisti. Succede dopo. ”Nell’80-’81 iniziò la mia latitanza che si protrasse fino all’ottobre 1984, quando fui arrestato a Bologna. Rimasi in carcere fino al marzo dell’87. Visitai parecchie carceri italiane. A Padova trovai detenuti autonomi e poi entrai in contatto con detenuti delle Br successivamente dissociati. Cominciai una lotta politica contro la pessima qualità del cibo e contro le spie. In occasione di due suicidi organizzai una fermata all’aria di quasi tutti i detenuti”. Dopo l’87, ”fu congelata tutta l’attività illegale a causa del riflusso di alcuni membri e per i limiti dell’impostazione politica”. Mancava, insomma, ”una prospettiva generale, non c’erano le condizioni politiche per continuare. Proseguii l’attività sul piano legale dirigendo il collettivo che, attraverso alti e bassi, ha manifestato continuità”. Un personaggio segnerà particolarmente la storia di Latino: Pietro Greco, detto ”Pedro”. Latino lo conosce a Padova negli anni caldi. Pedro, condannato nel 1979, diventa latitante ma nel 1985 viene rintracciato a Trieste dagli uomini della Digos e del Sisde, che il 9 marzo lo uccidono mentre esce di casa. Pedro gli era molto legato e nel 1986, quando i magistrati vogliono sentirlo come testimone, scrive dal carcere di Novara: ”Una mattina di luglio del 1985 vengo chiamato in matricola e dirottato in una stanzetta in cui mi attendono tre agenti della Digos di Trieste. Si qualificano e iniziano chiedendomi se conoscevo Pietro Greco. Io tronco subito chiamandoli assassini e dichiarando che non ho niente da dire loro”. Latino non dimenticherà mai Pedro. In una delle ultime intercettazioni segnala a Ghirardi: ”Gli sbirri che hanno ammazzato Pedro sono ancora nel corpo a Trieste”. La scheda autobiografica di Latino fa parte di un rapporto di 500 pagine che fotografa il periodo del ”risveglio” delle aspirazioni terroristiche dell’ex autonomo padovano. In alcuni appunti Latino commenta con entusiasmo l’omicidio D’Antona. In quella fase, però, si muove per lo più in circuiti ”legali” e individua nella pratica degli ”espropri proletari” uno dei canali di finanziamento e di proselitismo. Un mese fa la polizia lo arresta. Finalmente Latino è riconosciuto come uno dei capi delle nuove Br e davanti al giudice Guido Salvini si dichiara ”prigioniero politico”. Il coronamento di una vita da aspirante brigatista» (Davide Carlucci, ”la Repubblica” 4/3/2007).