Pierluigi Battista, Corriere della Sera 9/2/2008, 9 febbraio 2008
Il Vaticano e i vescovi italiani attaccano frontalmente il governo sulle unioni di fatto. Romano Prodi aveva messo in conto questa tempesta
Il Vaticano e i vescovi italiani attaccano frontalmente il governo sulle unioni di fatto. Romano Prodi aveva messo in conto questa tempesta. Cionondimeno è partito per l’India dopo aver imperiosamente impresso un’imprevista accelerazione alla ratifica in Consiglio dei ministri dei «Dico», riuscendo a conciliare posizioni che apparivano incompatibili. Clemente Mastella il dissenziente paventa le dimissioni, ma nessuno crede che l’annuncio di questo strappo possa davvero mettere in discussione il governo. Si apre di nuovo nell’Unione la zuffa sull’Afghanistan, ma dopo il pasticcio del Senato, costretto a soccombere all’opposizione, il centrosinistra ha sfoggiato un’immagine di concordia per mezzo di un vertice di maggioranza appositamente convocato. Accordo fragile, precario, fittizio? Probabilmente sì, ma forse non basteranno lettere di ambasciatori, proclami di fuoco degli irriducibili della sinistra antagonista, confusione babelica di lingue, minacce di veti contrapposti, a decretare la fine del governo Prodi nel pantano di Kabul. Romano Prodi vive di una forza enigmatica, che paradossalmente trae energia dalla sua debolezza. forte perché è debole. O meglio, trasforma la debolezza in un fattore di forza. Va avanti da otto mesi in mezzo alla tempesta, ma ogni volta trova la porta stretta per sottrarre il suo governo alla conclusione catastrofica da tutti pronosticata. All’inizio sembrava che nemmeno riuscisse a formarlo, un governo minato ancor prima di nascere dalla guerra intestina per i ministeri: ce l’ha fatta. La controversia di luglio sull’Afghanistan è apparsa come l’inizio della fine: con tortuosa perizia, ma l’ostacolo è stato superato. Con l’indulto qualcuno ha temuto l’implosione della maggioranza, che non si è verificata. La Finanziaria poteva diventare la tomba del governo, ma il governo, pur nel crollo degli indici del consenso, ha tenuto. Tra mugugni e malumori la «fase 2» è sembrata la nuova trincea di una guerra distruttiva tra «liberalizzatori» e «conservatori», ma Caserta ha gelato gli spiriti più bollenti e imposto la filosofia del rinvio come cemento ideologico del governo: il cemento della debolezza senza alternative, antidoto a ogni spallata. Sempre sull’orlo della fine apocalittica, Prodi è riuscito sinora a fagocitare con duttilità ogni contrasto, disinnescando meticolosamente le innumerevoli micce che promettevano ogni volta una deflagrazione che non è mai arrivata. Laicisti e «teodem », occidentalisti e anti- occidentali, liberisti e statalisti, filoisraeliani e filopalestinesi, Di Pietro e Mastella, Bonino e Di Pietro, Giordano e Rutelli, Rutelli e Bersani, Binetti e Grillini, D’Alema e Veltroni, Diliberto e Pannella, si sono scontrati senza requie ma nel prodismo hanno puntualmente ritrovato il luogo della mediazione e dello smaltimento dei conflitti. Debolissimo in Parlamento, Prodi tesse con implacabile tenacia la sua rete di influenza nella società e nell’economia. Malgrado manovre, velleità e rivalità, sta per assicurarsi la leadership del costituendo Partito democratico. Minacciato da un’opposizione vincente nei sondaggi, trova un’imprevista sponda proprio in quel Berlusconi che nella caduta del governo Prodi sarebbe obbligato a rimettere in discussione la sua leadership in un quadro politico terremotato. uno schema che finora ha vinto e che, tra tumulti e divisioni, potrebbe durare ancora molto tempo. Apparentemente sempre più debole, nella sostanza sempre più forte. Una legge che rivali ed avversari di Prodi dovrebbero cominciare ad imparare.