Carlo Rimini, La Stampa 9/2/2008, 9 febbraio 2008
Abbiamo un testo: finalmente. Il dibattito sulla disciplina della convivenza per mesi non ha avuto un oggetto concreto
Abbiamo un testo: finalmente. Il dibattito sulla disciplina della convivenza per mesi non ha avuto un oggetto concreto. Ora è nata «la cosa». Non potremo più chiamarla disciplina dei Pacs. Questa sigla infatti è tratta dall’esperienza francese; ma il testo varato dal governo - che ora dovrà essere sottoposto all’esame del Parlamento - è lontanissimo dalla legge approvata in Francia qualche anno fa. Le nuove norme non introdurranno nel nostro ordinamento una disciplina dei patti di convivenza. Il disegno di legge si limita ad attribuire alcuni effetti al fatto che due persone convivano per un certo tempo. Il nuovo istituto non prenderà vita dalla manifestazione di volontà di due persone di unire la loro storia, ma da asettiche «risultanze anagrafiche». I conviventi si recheranno all’anagrafe dichiarando di vivere assieme. Lo potranno fare «contestualmente», ma anche separatamente. In quest’ultimo caso il convivente che ha fatto all’anagrafe la dichiarazione di convivenza dovrà «darne comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento all’altro convivente». Insomma, niente cerimonie. Con diritti inferiori a quelli del coniuge Ma quali saranno gli effetti della dichiarazione di convivenza? Gli ospedali dovranno garantire il diritto del convivente di far visita e di assistere l’altro malato. Ciascun convivente potrà designare l’altro quale proprio rappresentante in caso di malattia. Potrà essere richiesto, da parte del cittadino straniero extracomunitario, il permesso di soggiorno per convivenza. Si dovrà tener conto della convivenza ai fini dell’assegnazione di alloggi di edilizia popolare. In caso di morte di uno dei conviventi, l’altro potrà succedergli nella locazione, purché la convivenza duri da almeno tre anni o vi siano figli comuni. Si dovrà tener conto della convivenza che duri da almeno tre anni ai fini delle graduatorie per i trasferimenti dei dipendenti pubblici o privati. Vi sono poi due effetti della dichiarazione di convivenza particolarmente rilevanti. Se uno dei conviventi verserà in stato di bisogno, l’altro sarà tenuto a versargli un assegno per far fronte alle sue necessità e ciò anche dopo la cessazione della convivenza, purché questa sia durata per almeno tre anni. Una specie di assegno di mantenimento, anche se di serie B. Inoltre, trascorsi nove anni dall’inizio della convivenza, i conviventi saranno eredi legittimi (ma con diritti inferiori a quelli del coniuge). Nessuno sconquasso in altri Stati europei Molti in questi giorni hanno sostenuto che l’introduzione di una legge sugli effetti giuridici della convivenza produrrà lo scardinamento dei valori su cui si fonda la nostra società, ma non sarà certo una dichiarazione all’anagrafe a distruggere la famiglia fondata sul matrimonio. Quasi tutti gli Stati europei hanno introdotto leggi sulla convivenza omosessuale o eterosessuale ben più coraggiose di quella di cui oggi discutiamo, senza che ciò abbia provocato alcuno sconquasso. Vi è tuttavia un elemento a cui il Parlamento dovrà prestare attenzione: gli effetti giuridici della convivenza devono essere la conseguenza di una chiara manifestazione di volontà dei conviventi. Molte persone scelgono di non sposarsi, proprio perché non vogliono che dalla loro convivenza derivino reciproci diritti e doveri. La legge non può imporre che dalla consuetudine di vivere assieme derivino effetti giuridici.